OMELIE

Non temere!

Omelia di Mons. Ferretti del 19-03-2015

OMELIA NELLA SOLENNITA’ DI SAN GIUSEPPE
CAPPELLA DEL SEMINARIO DI MOLFETTA - 19 MARZO 2015

            Carissimi,

i brani della Liturgia presentano una storia vera quella di Giuseppe, chiamato «uomo giu­sto» (Mt 1,19).

Giuseppe, figlio di Davide non aver paura di ac­cogliere Maria tua sposa e di rimanere con lei. Quello che è ac­caduto in lei è realmente opera dello Spirito Santo: tu lo sai. E tu devi imporre il nome al bambino, il nome Gesù, il Salvatore. Il tuo compito, Giuseppe, è quello di essere il padre legale davanti agli uomini, il padre davidico che rende testimonianza della sua stirpe... E sappi, o Giuseppe, che anche tu hai trovato grazia agli occhi del Signore... Dio è con te...

            Di fronte al mistero divino, Giuseppe non si lascia prendere da umani senti­menti. Non è in grado di comprendere ciò che vede in Maria e non vuole penetrare a forza il mistero. Si ritira in di­sparte, con timida e rispettosa venerazione, abbandonandosi al volere di Dio.

            Quando comprende, infatti, la volontà divina, non esita un istante né oppone difficoltà, ma fa subito ciò che l’angelo gli a­veva ordinato. Egli dunque obbedisce alla Parola, la mette in prati­ca, dichiarandosi concretamente strumento docile nelle mani dell’Altissimo. Prende quindi con sé Maria, sua sposa, perché possa dare alla luce il suo Figlio.

            Giuseppe è della stessa tempra di Maria: un credente in religioso a­scolto di ciò che avviene. E noi? Noi non possiamo essere felici, se non riusciamo a leggere in profondità con gli occhi del cuore gli eventi della storia. Per Maria e Giuseppe, l’annunciazione è incredibile. Nessuno può essere all’altezza di una simile verità, ma entrambi hanno rinunciato alla loro volontà per assentire a quella divina. Non temere mai, perché in ogni vicenda quotidiana si annuncia l’intenzione del Signore di dirci e darci qualche cosa. È una verità da scoprire.

            Giuseppe è l’uomo di fede, persona concreta che fa sua la prima parola con cui da sempre Dio si rivolge all’uomo: non temere, risposta alla prima parola con cui Adamo si rivolge a Dio: «Ho avuto paura» (Gn 3,10).

            Non temere: la paura, principio di ogni fuga, è il contra­rio della fede, del matrimonio, della paternità. Giuseppe non ascolta la paura, diventa vero padre di Gesù, anche se non ne è il genitore. Generare un figlio è facile, ma essergli padre e madre, amarlo, farlo crescere, farlo felice, inse­gnargli il mestiere di uomo, questa è tutta un’altra avven­tura: padri e madri lo si diventa nel corso di tutta la vita.

Giuseppe è la figura di ogni uomo che, troppo grande per bastare a se stesso desidera aprirsi al mistero, nonostante tutte le resistenze a ciò che è più grande e incomprensibile. Avremmo potuto pensare a Giuseppe come un uomo potente, in grado di aprire la strada al Cristo arrivato nel mondo o forse come un profeta, un sapiente, un uomo di attività sacerdotali pronto ad accogliere il Figlio di Dio nella generazione umana. Invece egli resta semplice, modesto, umile.                                                                                                                                Spesso crediamo di essere persone eccezionali, avere doni di natura e di grazia che portano a una nostra ideale realizzazione. Abbiamo fiducia in cose umane, ma poi scopriamo che tutto è come l’erba che, appena falciata, dissecca.

            Tre volte, nel Vangelo di Matteo, si parla di colloqui dell’angelo con Giuseppe nel sonno. Ciò significa che Giuseppe era guidato e consigliato nell’intimo dal messaggero celeste e il suo comportamento era mosso da un dialogo che indicava il da farsi: Giuseppe non temere; fa’ questo; parti; ritorna!

            Che cosa impariamo da S. Giuseppe? Una stupenda docilità e una pronta obbedienza. Egli non discute, non esita, non adduce diritti o aspirazioni. Giuseppe accetta il suo compito, perché gli è stato detto: «Non temere di prendere Maria quale tua sposa, poiché quel che è nato in lei è opera dello Spirito Santo».

            E obbedisce. Più tardi gli sarà ingiunto che occorre partire, perché il neonato Salvatore è in pericolo. Egli affronta un lungo viaggio, attraversando deserti infocati, senza mezzi e conoscenze, esule in paese straniero e pagano; sempre ligio e pronto alla voce del Signore che, in seguito, gli ordinerà di tornare.

            Appena rientrato a Nazareth, vi ricompone la vita consueta, di riservato artigiano. Suo il compito di educare il Redentore del mondo al lavoro, alle esperienze della vita.

Il problema serio per ogni persona è capire il futuro come progetto, come chiamata di Dio. Molti pensano che una vita riuscita vada plasmata sulla base dei propri talen­ti, attitudini, capacità umane, possibilità econo­miche. Altri aggiungono che una sistemazione appagante debba tener conto delle attese sociali, degli spazi che la società bene o male sembra facilmente concedere. Insomma si crede che la partita del futuro si gioca su due fattori: risorse personali e offerte sociali, senza troppe sorprese. E Dio? Certo, la vita di ciascuno, in una pro­spettiva di fede, comporta un disegno personalissimo, una vocazione, in cui l’adesione a Dio è asso­lutamente necessaria. Il Signore, quando si fa largo nella vita dell’uomo, può turbare pro­getti umani. Di qui la fede, fatica di capire per discer­nere e aderire a ciò che Dio mi chiede.

Sappiamo che il far coincidere la nostra volontà capricciosa, non docile, talvolta perfino ribelle con il volere di Dio è il segreto di una vita serena. Innestare se stessi sopra i pensieri del Signore permette di penetrare nei piani della sua misericordia e magnanimità. Se vogliamo appartenere a Dio occorre raccordare la volontà nostra e quella sua nel vissuto della storia. Nessuna vita è banale, trascurabile, dimenticata; respiriamo e ci moviamo nel mondo e siamo dei predestinati a qualche cosa di divino.

            «Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore» (Mt 1,24).

            La vita di Giuseppe è stata la realizzazione di un sì fiducioso al Signore, anche se non tutto gli tornava comprensibile; un sì doloroso, come nell’esperienza piena di incognite e difficoltà nel dover lasciare il proprio paese per rifugiarsi in Egitto; un sì faticoso, come nel lavoro di ogni giorno.

Il Santo di oggi ci invita a non opporci ad una vita nuova, a rinnovarci cominciando dallo stile nel giudicare, nel parlare e nell’operare; uno stile che sia sempre rispettoso di ogni persona, aperto alle esigenze di tutti e in particolare dei più deboli, attento a quanto esiste di positivo e di costruttivo da qualunque parte provenga, disponibile all’ascolto al dialogo e alla collaborazione, ricco di sincero amore al bene comune.      
            La Quaresima, con il suo forte invito alla conversione, impegna a crescere nel senso del dovere personale, di responsabile dedizione al bene, di servizio disinteressato e generoso verso chi ha bisogno. Non c’è dubbio che il cristiano, sull’esempio di Giuseppe, grazie all’adesione convinta e coerente al Vangelo, è chiamato a promuovere una moralità che si radica nella spiritualità e dunque in una vita evangelica di carità e di servizio a tutti, nell’ambito non solo della comunità ecclesiale ma anche nella società.