OMELIE

70° Anniversario della morte del Servo di Dio Mons. Farina - II domenica di Quaresima

Omelia di Mons. Ferretti del 25-02-2024

Gesù prende i suoi discepoli con sé, quelli che sente più vicini, e li porta su un monte alto, appartato, loro soli.

E una domanda antica quella che Dio pone agli uomini di salire su di un monte alto, per incontrarlo nella solitudine e nel silenzio. Questa domanda fu posta a Mosè, che salì sul monte Sinai per ascoltare Javhé e ricevere le tavole della legge. Ad Elia che sull’Oreb, attraverso il soffiare di una brezza leggera, ascoltò la parola di Dio.

Ma prima che a tutti la domanda di salire su di un monte alto è rivolta ad Abramo. “Prendi tuo figlio, il tuo unico figlio e offrilo in olocausto su un monte che ti indicherò”.

Il Signore parla al cuore degli uomini, ma chiede loro come due condizioni. La prima è il silenzio che si può ottenere solo quando ci si raccoglie in un luogo appartato, fuori dal rumore di ogni giorno, rumore rappresentato soprattutto dalla confusione presente nei nostri cuori, dal turbinio di pensieri agitati che non si interrompe, non ci lascia in silenzio.

Spesso sentiamo accanto a noi persone che ci dicono: “Come vorrei ascoltare la voce di Dio”. Oppure “Saprei credere se Dio mi parlasse”. E si pensa invece che il Signore resti in silenzio, come estraneo alla vita degli uomini, a coloro che soffrono.

Ma Egli parla al nostro cuore inascoltato. Si, inascoltato perché gli uomini e le donne sono troppo presi ad ascoltare loro stessi. E questa è una grande presunzione, quella di credere che “io ho cose da dire”, e come con chi ci circonda, infondo si pretenderebbe un dialogo anche con Dio alle mie condizioni, ponendo io le domande che voglio, ma poi come non si ascoltano le risposte, perché le risposte le abbiamo già noi.

E questa è, alla radice di tutte le altre, la grande presunzione racchiusa nel nostro cuore: “Nessuno può insegnarmi, perché io so come fare per la mia vita, io ho le risposte alle mie domande, di me solo e del mio giudizio mi fido”.

Un uomo e una donna così, non sentono allora il bisogno del silenzio, il bisogno di salire sul monte che la quaresima ci offre di salire.

Ritrovare l’umiltà di capire che non ho io le risposte, ma di doverle aspettare da qualcun altro è la prima condizione perché Dio possa parlare al nostro cuore.

La seconda è la fiducia. Nel silenzio, Dio parla al nostro cuore: nella preghiera, nell’ascolto della Scrittura, Dio ci parla, ma le parole sono vane se non sappiamo accoglierle con fiducia.

Infondo la Parola di Dio non è difficile da comprendere, ma spesso ne abbiamo paura, perché chiede di cambiare, cioè di abbracciare scelte nuove, e lasciare abitudini radicate, bisogni nostri che crediamo imprescindibili, e assolutamente anteponili a quelli degli altri.

Con questa fiducia va letto il brano della Genesi di oggi, in cui Dio pare chiedere ad Abramo di sacrificargli il suo unico figlio. Sembra una richiesta assurda, fatta da un dio tiranno, spietato. Eppure inspiegabilmente ai nostri occhi Abramo, l’amico di Dio, prende il figlio, lo porta su di un monte alto, costruisce un altare a si prepara ad immolarlo, quando il Signore ferma la sua mano: “Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli alcun male, ora so che ami Dio e non mi hai rifiutato l’unico figlio”.

E allo stesso modo a volte sembra a noi che Dio taccia e osservi gli uomini, i nostri cari colpiti dal male, dalla malattia. Nella storia di Abramo il dramma della fede raggiunge il suo punto più alto, dove è Dio di fronte al male, o forse è proprio lui a mandarlo?

Dio però ferma la mano di Abramo, ferma il male, dimostrando così che esso non viene mai da lui, e anzi che Egli non pretende sacrifici dagli uomini. L’unico sacrificio che vuole è la fiducia in lui, e in nome di questa, la conversione del nostro cuore. E così che la fede in Dio Padre, il sacrificio del suo unico figlio, per Abramo, si trasformerà in promessa di lunga discendenza.

Ma ecco allora che la storia di Abramo evidenzia chiaramente oggi un’altra storia, quella di un altro sacrificio, ben più drammatico. Sì, perché sarà poi Dio stesso a sacrificare il figlio suo in riscatto dei peccati degli uomini. E sul monte Golgota, dove Dio vede suo figlio ucciso dagli uomini, nessuno fermerà la mano degli assassini.

Dio non vuole il sacrificio, la sofferenza degli uomini, ma essi sì. Essi uccideranno il suo unico figlio. Uomini che non avranno fiducia in lui, non sapranno stare in silenzio ad ascoltarlo, non ne accetteranno il Vangelo di salvezza, sceglieranno di cancellare la promessa di discendenza e l’alleanza offerta da Dio.

La quaresima, sorelle e fratelli, è allora salire sul Monte della Trasfigurazione, e poi sul monte Golgota.

 

Cioè accompagnare Gesù facendo silenzio nel nostro cuore, interrompendo la nostra vita, per stare vicino a lui che non sfugge il male, per stare vicino a Dio che non rifiuta il suo unico figlio per il suo grande e misterioso amore degli uomini.

Il Tabor è silenzio nelle nostre giornate, è preghiera e vicinanza a Gesù, che possiamo incontrare nella lettura del Vangelo. Se sapremo stare vicino al Signore in questo tempo, comprendere il suo amore per noi, ecco che Egli si trasfigurerà anche per noi. Cioè mostrerà a noi il suo volto.

Nel silenzio del nostro cuore ci parlerà e mostrerà la via della vita per ciascuno. E il silenzio e la preghiera, che inizialmente sembrano agli uomini inutili e difficili, diverranno per noi preziosi, fonte di gioia e di amore per gli altri.

Il monte alto dell’incontro con il Signore è anche l’altare dell’eucaristia che Mons. Farina ha salito come sacerdote e vescovo. In uno dei suoi primi scritti nel suo diario di giovane seminarista annota: “Signore fammi santo”. Sembra un linguaggio antico, ma è il suo desiderio di una vita. Infatti quando sarà vescovo si spenderà per la santificazione dei sacerdoti: “La santissima Eucaristia – scriverà – diventi il centro dei pensieri del sacerdote, lo scopo delle loro fatiche: avranno così in mano il mezzo più efficace per convertire e santificare i popoli”.

Per il sacerdote l’altare è il Tabor dove santificarsi e santificare, trasfigurarsi e trasfigurare. Dal monte alto del sacrificio di Cristo il sacerdote guarda al mondo e prega per tutti, per la salvezza del popolo, per la santificazione, per la pace.

Per questo Pietro, di fronte a Gesù trasfigurato, sul Tabor dice ingenuamente: “E’ bello stare qui, facciamo tre tende”. Il sacerdote vorrebbe sempre stare presso l’altare, ma Gesù lo invita invece a scendere dal monte e guardare alla vita dei poveri, non più come prima, ma con occhi trasfigurati dall’eucaristia, dalla fede e dall’amore che Dio ha per ciascuno, e che va testimoniato.

La quaresima, il silenzio, l’amicizia con Gesù, infatti ci rende migliori, meno egoisti e così rende anche più incisivo il nostro servizio al popolo di Dio, ai poveri, perché lo trasfigura nella speranza.

E infine dovremmo forse riconoscere che per la vita di ciascuno di tutti noi, sorelle e fratelli, noi, la domenica, l’Eucaristia, è quel monte alto, che ci permette di fare silenzio da noi stessi e da una vita che scorre superficiale. Ringraziamo allora il Signore perché in questa quaresima non ci mancano le parole di conversione e di speranza. Ringraziamolo per la testimonianza e l’esempio di Mons. Farina e preghiamolo per la sua canonizzazione.

Preghiamo il Signore in questo tempo, per la conversione e la santificazione di ciascuno di noi, e perché il mondo liberi dal male e dalla guerra.

E accompagniamo Gesù nella sua passione d’amore per ogni uomo e ogni donna, accostandoci anche oggi con fede al suo santo altare, monte alto dove ogni domenica il Signore muore per ogni uomo, e ci mostra così la Resurrezione che nasce dal suo amore per tutti.

+ Giorgio
Arcivescovo