OMELIE

La ricchezza della povertà

Omelia di Mons. Ferretti del 17-09-2016

Insediamento di mons. Francesco Saverio Trotta come nuovo parroco di BMV Regina della Pace

La parabola evangelica, appena ascoltata, dell’amministratore furbo, non vuole essere un elogio della disonestà. Lo chiarisce il messaggio della prima lettura, dove il profeta Amos denuncia chiaramente che Dio non è mai vicino a chi calpesta il povero e stermina gli umili.
L’amministratore disonesto è indicato da Gesù come modello, non per la sua disonestà, ma perché nel momento in cui si prospetta il licenziamento, sa agire con scaltrezza.
Riducendo i debiti dei creditori del padrone, si assicura un futuro lavorativo, nonostante gli intrighi economici compiuti. Il Signore loda l’agire di quest’uomo senza scrupolo e lo propone come esempio a noi figli della luce, pronti nell’accumulare beni terreni e non sempre premurosi e furbi nel compiere gesti di bene e guadagnare il Regno dei Cieli. 
L’evangelista, al di là della parabola, apre la riflessione sull’ambiguità del denaro e sulla sua capacità di perversione nei confronti dell’uomo. La ricchezza viene definita “disonesta”, non solo perché è frutto e strumento di ingiustizia e di oppressione, ma soprattutto perchè ingannevole, in quanto promette, non mantiene la parola e delude. L’uomo divinizza il danaro rendendolo idolo, insostituibile, padrone della vita e della storia. Crediamo di gestire i soldi e invece sono essi a gestire noi: ci raggirano e spingono ad una folle e irrefrenabile corsa all’accumulo. 
Non possiamo servire Dio e il danaro. Questa espressione interroga noi consacrati e la comunità ecclesiale: perché, se economicamente benestante e ricca di tanti mezzi culturali, la parrocchia non sempre incoraggia la sequela di Cristo?
«Chi è fedele nel poco, è fedele anche nel molto» (Lc 16,10): c’è una ricchezza materiale e una vera ricchezza, non quantificabile: è quella dell’amore; sono le persone a cui possiamo fare del bene, aprendo loro le porte del cuore, la nostra disponibilità, offrendo la nostra amicizia. 
Carissimi, viene presentato stasera il nuovo parroco, don Saverio. La domanda è quella del Vangelo: cosa farà? Farà ciò che è gradito al Signore, seminando bene e amando i più poveri. Mi chiedo: in che modo? Scegliendo la povertà nel rapportarsi alle cose e nel relazionarsi alle persone. 
La dignitosa sobrietà e semplicità di Gesù e dei discepoli è un richiamo incessante per il parroco a verificare il suo rapporto con le cose, i be¬ni materiali, di cui possiamo e dobbiamo servirci senza diventarne servi. Questo vale per noi come singoli sacerdoti e vescovi, ma anche per la nostra diocesi nel suo insieme.
L’esistenza sacerdotale vuole evidenziare l’appartenenza a Cristo nella povertà degli apostoli. 
Con essi anche noi abbiamo trovato la «perla di grande valore» (Mt 13,46). Cristo è il bene assoluto davanti al quale le ricchezze di questo mondo vanno relativizzate. Di fronte a Cristo ogni bene perde la sua forza seduttrice. 
Un sacerdote non disprezza i beni reali che la società offre all’uomo, ma ne usa con il discernimento che gli dona lo Spirito. Non subisce passivamente le proposte allettanti di un diffuso consumismo. Sa fare a meno delle cose, quando queste soffocano i valori della solidarietà e rendono infruttuoso l’apostolato.
Il    parroco vive la libertà indispensabile per il suo servizio non disponendo normalmente di mezzi sofisticati e potenti, ma utilizzando e ap¬prezzando le cose piccole e umili, le strutture semplici che lasciano ancora spazio alla creatività dello Spirito e non appesantiscono il cammino dell’uomo, libero e fattivo uditore della Parola (cf. Gc 1,2.5).
Accanto al rapporto con le cose, c’è la povertà da vivere nel relazionarsi alle persone. È il tessuto delle relazioni interpersonali, i cui fili non sempre sono tesi nel modo giusto. Ci sono talora tensioni, nella vita del parroco, troppo rigide, che rischiano strappi; ci sono smagliature di una vita lasciata andare alla deriva.
In questa situazione, che ci stringe da ogni parte e ci provoca nel profondo dell’affettività e della sensibilità, Gesù ripete a noi quanto ha detto a Pietro: «In verità vi dico, non c’è nessuno che abbia lasciato casa o moglie o fratelli o genitori o figli per il regno di Dio, che non riceva molto di più nel tempo presente e la vita eterna nel tempo che verrà» (Lc18,29-30).
Senza assumere posizioni ambigue e fredde “distanze” di comodo, un parroco povero sa rinunciare alle gratificazioni offerte da un certo modo di impostare le relazioni umane. Soprattutto sa rinunciare ai condizionamenti affettivi e di potere, personali o di gruppi e movimenti e di strutture sociali. Vive libero, e aiuta gli altri uomini a crescere nella loro libertà personale e, di conseguenza, nella loro autentica capacità di accogliere il dono spirituale dell’amore.
Il presbitero è chiamato anche a vivere in qualche misura quella povertà sacerdotale che è la solitudine; una provvidenza per la sequela di Cristo: quando il sacerdote, apparentemente solo con se stesso, sperimenta con gioia che non si è mai meno soli di quando si è soli con Dio (cf. Gv 16,32) e di quando si sale sul monte per partecipare alla preghiera di Cristo “solo” (cf. Mt 14,22). È in forza di questa presenza che il parroco, povero di sé e ricco di Cristo, entra a sua volta nella vita degli uomini come vero amico, figlio e fratello, moglie, madre e padre. «Là dov’è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore» (Mt 6,21).

Cari fedeli, impieghiamo una parte del nostro tempo libero non per noi stessi ma per dedicarci agli altri, per esempio visitando delle persone malate o assistendo poveri ed esclusi. Genereremo, così, delle ricchezze umane e relazionali che prima non esistevano: il sorriso regalato a chi soffre, l’ascolto offerto a chi sente il bisogno di comunicare per le sue pene, la promessa di essere presenti nel momento del bisogno rappresentano dei sostegni umani non sostituibili con alcun tipo di ricchezza tecnica o materiale, e non reperibili sul mercato.
L’amicizia è gratuita e non si può comprare, e la mentalità individualistica da cui ci dobbiamo guardare ne dissecca la sorgente. Sia questa una parrocchia piena di fiducia reciproca e non di diffidenza; moltiplichiamo il bene e combattiamo, anzitutto in noi, la tentazione a isolarci e a difenderci da chi sentiamo diverso, sbarrando i confini e ripiegandoci nel conseguimento di una felicità solo apparente, perché vissuta per noi stessi. Maria, Regina della pace, realizzi questi santi desideri.