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La Parola della Domenica - VI Domenica Tempo Ordinario

Riflessioni sulle letture bibliche della liturgia domenicale a cura di padre Valter Arrigoni, monaco diocesano

(pubblicato il 13-02-2011)
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Lo abbiamo detto già varie volte ma “repetita iuvant”: Matteo scrive il suo Vangelo dedicandolo ai cristiani della prima comunità che provengono dal giudaismo. E’ quindi attento a mostrare come in Gesù Cristo si sono realizzate in pienezza le profezie e le attese dell’Antico Testamento. E’ anche attento a situare la predicazione e la vita di Gesù in ambientazioni particolarmente significative, dense di emozioni, per gli ebrei. Come Mosè salì sul monte Sinai per incontrarsi con YHWH e riceverne le tavole della legge così anche Gesù sale sul monte delle Beatitudini per dare al nuovo popolo di Dio la nuova legge. Siamo vicini al lago di Tiberiade, sopra la città di Cafarnao, così importante nella vita pubblica di Gesù. In Galilea, terra delle genti, sulla via del mare, dove passa molta umanità. Ancora oggi si trova una bellissima chiesa in ricordo del discorso della montagna, diremmo del discorso programmatico di questo profeta ancora sconosciuto che è Gesù. Ma accanto alla chiesa si può fermarsi a pregare, a celebrare la messa su dei massi di fronte al lago. Un paesaggio di grande pace che evoca il momento della predicazione del Cristo. Ci si siede su una roccia e si risente il discorso della montagna. In verità si tratta di una collina ma Matteo ne parla come di un monte nel ricordo del Sinai. Ancora per quattro domeniche ci verrà offerta questa Parola. La prima lettura ci parla proprio del valore della Parola, del sua centralità nella fede ebraica, della sua preziosità. Nell’Antico Testamento ci sono diversi richiami al dono della Legge che Dio ha fatto al suo popolo. Anzitutto voglio ricordare il salmo 118 (119) che in ognuno dei suoi 176 (è il salmo più lungo)  si parla della Parola di Dio usando tantissimi sinonimi: legge, parola, decreti, giudizio, insegnamento, precetto, promessa, comando, via. Nel libro del profeta Baruc leggiamo: “I figli di Agar, che cercavano la sapienza sulla terra, i mercanti di Merra e di Teman, i narratori di favole, i ricercatori   dell’intelligenza non hanno conosciuto la via della sapienza … Dio non ha scelto costoro e non diede loro la via della sapienza … essa è il libro dei decreti di Dio”. Sempre  Baruc continua scrivendo: “Beati noi, Israele, perché ciò che piace a Dio ci è stato rivelato”. Lo stesso autore della prima lettura di questa sesta domenica del tempo ordinario, il figlio di Sira, Siracide, scrive in un’altra pagina del suo libro, “la Legge di Dio è come un cedro del Libano (un abete altissimo), come un cipresso sui monti dell’Ermon, come una palma in Engaddi, deliziosa, come le rose di Gerico … assaporare il suo profumo è come sentire cinnamomo e balsamo, mirra scelta, onice e storace … la sapienza di Dio esce dalle pagine della Bibbia come il Giordano nei giorni della mietitura”. Gli ebrei chiamano “Torah”, Legge, i primi cinque libri della Bibbia ma la traduzione “Legge” non rispetta il senso profondo del termine torah che viene dalla radice yarah che significa indicare. La legge, i comandamenti di Dio, la sua Parola è l’indicazione della felicità, la via che conduce alla conoscenza vera e profonda del vero volto di Dio e di ciò che egli vuole da noi e per noi. La prima lettura è un inno alla Parola, ai comandamenti di Dio. Ci mostra anche la libertà con la quale Dio ci rispetta e ci tratta. “Davanti a noi sono la vita e la morte, il bene ed il male, la luce e le tenebre … là dove vuoi tendi la tua mano … a nessuno Dio ha comandato di essere empio”. Il tema della Legge, della via, della Parola donataci da Dio è quello che lega la prima lettura al Vangelo. Gesù inizia a parlare con noi dicendo “non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i profeti: non sono venuto ad abolire ma a dare pieno compimento”. A mostrare il cuore della rivelazione, il senso di ciò che Dio ci dice, la vera verità di Dio. Lo stesso Gesù ama la Parola, la rispetta e ce la presenta come fondamentale nella vita della fede, nello spirito, nella vita religiosa. “Chi trasgredirà una solo di questi minimi precetti ed  insegnerà agli altri a fare altrettanto sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà , sarà considerato grande nel regno dei cieli”. Eppure nonostante queste chiarissime parole di Gesù , attualizzate oggi dai documenti della Chiesa, dal Vaticano II all’ultima lettera del Papa “Verbum Domini”, anche nella lettera pastorale del nostro Vescovo sulla carità si parte dalla Parola di Dio, mi trovo a dover combattere con una mentalità devozionistica che alla Parola continua a preferire le “pie” devozioni lasciando le persone affidate a loro, come preti o suore, nell’ignoranza del vero volto di Dio. inizia qui la sezione che viene chiamata in esegesi “la sezione dei ma” dove all’affermazione della regola che si trova nelle tavole della legge Gesù fa seguire un “ma” e spiega cosa significa il cuore del precetto. Quello che Gesù ci dice è che alla formale, farisaica, ipocrita osservanza della legge Dio contrappone il cuore convertito. La nuova Legge, del nuovo popolo infatti inizia dal cambiamento del cuore. Le azioni scaturiscono dall’essere come il fiume dalla sorgente, come l’acqua dalla fonte. Gesù ci presenta oggi tre comandi “non uccidere, non commettere adulterio, non giurare il falso”. Il senso profondo e vero di questi comandi è però diverso dalla semplice osservanza delle parole. Noi uccidiamo prima di tutto nel nostro cuore quando decidiamo di poter vivere senza qualcuno, togliendolo e cancellandolo dalla nostra vita. Il dire al fratello stolto, pazzo, l’avere qualcosa che ci divide nasce dal nostro cuore e ci mette anche contro Dio rendendo vuoto anche il rito, la liturgia, la preghiera che stiamo facendo. Occorre prima i continuare ricostruire l’unità e la pace con tutti, occorre vivere lo spirito delle beatitudini, “miti, operatori di pace, misericordiosi”. Anche l’adulterio non è solo l’atto sessuale ma il modo di vedere gli altri come oggetti asserviti a noi per procurarci piacere o altro! Io commetto adulterio quando chi mi sta di fronte non è persona con la dignità dell’immagine e somiglianza di Dio ma una cosa che mi appartiene, che è per me. Il comando del non dire falsa testimonianza nella sua profonde verità ci dice di non usare Dio. di non servirci di Lui per i nostri interessi, per apparire onesti e per bene agli occhi degli altri. Penso al periodo elettorale quando alcuni politici si mostrano nelle chiese per accreditarsi una dirittura morale, familiare, una onestà che non sempre hanno!