OMELIE

Uno tornò, per ringraziarlo

Omelia di Mons. Ferretti del 08-10-2016

Ingresso di mons. Vincenzo Identi come nuovo parroco della Sacra Famiglia

È veramente difficile essere grati, perché richiede il coraggio di far morire il proprio narcisismo per entrare nella schiera di coloro che si dicono ricchi di doni. Il Vangelo ora ascoltato ricorda che dieci lebbrosi furono guariti, ma che uno solo torna indietro per ringraziare Gesù.
Era un samaritano, oggi diremmo uno lontano dalla Chiesa, che riesce a prendere la distanza dal suo io e riconoscere la grazia del Signore. Per allenare il cuore alla gratitudine è necessario innanzitutto educarlo all’altro, a partire dall’Altro con la A maiuscola. Scoprire l’enorme sproporzione tra il tanto che riceviamo e il poco che doniamo è il primo passo perché sulle nostre labbra possa sbocciare un grazie.
La gratitudine, poi, ha un valore salvifico, tanto che ripetiamo nel prefazio della Messa: «è veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, rendere grazie»; tanto che l’Eucaristia stessa è letteralmente un grande Rendimento di Grazie. Perché ringraziare è fonte di salvezza? Perché stabilisce un dialogo molto positivo tra Gesù e la persona. La persona, che diventa, così, capace di porsi vicino agli altri, specialmente nei momenti di prova, portando consolazione, speranza e luce. 
Nove ottengono la salute fisica, mentre il samaritano, oltre a questa, ottiene anche la salute spirituale, perché realizza una relazione interpersonale con Gesù, tale da produrre frutti di una gioia infinita. I nove non tornano e si limitano ad obbedire all’ordine di presentarsi ai sacerdoti, come previsto dalla Legge. Ma alle volte l’obbedienza formale, come quella dei nove, è un tradimento più profondo dell’attesa che Dio ha nei nostri riguardi. C’è una fedeltà del cuore, frutto di una legge non scritta, che precede la fedeltà delle opere; la prima aumenta il valore della seconda.
Uno torna, travolto dallo stupore. Non solo è guarito, ma viene salvato, e quando se ne accorge torna indietro, si getta ai piedi di Gesù, e lo ringrazia. La riconoscenza è, dunque, l’atto secondo di chi prende consapevolezza che ogni suo bene viene dall’Alto. Il samaritano manifesta, perciò, la verità del detto popolare “il fiore della gratitudine ha le sue radici in cielo”; non gli basta tornare dai suoi, alla felicità di una vita normale; egli scopre la Fonte della sua gioia, accostandosi al mistero del Figlio di Dio. 
«Alzati e va’, la tua fede ti ha salvato»: egli intuisce che il segreto di quel legame non sta nella guarigione, ma nel Guaritore, che fa fiorire il gusto della vita e la bellezza della storia. Il Donatore è più prezioso del dono accordato. Prima che il dono venga concesso, il samaritano aderisce a Colui che dona.
Anche per noi, al di là di ciò che Dio ci offre quando lo invochiamo, il dono più grande che può darci è la sua amicizia, la sua presenza, il suo amore. Lui è il tesoro prezioso da chiedere e sempre custodire. Diversamente, sperimentiamo il rischio che si continui a parlare di Qualcuno che in realtà non si conosce, perché non ci si è mai relazionati a Lui davvero. 
In Dio, così, anche le cose più insensate e dure possono trasformarsi in occasioni di crescita e di serenità, ma occorre guardarsi dentro per giungere al riconoscimento di ciò che è avvenuto e, quindi, al ringraziamento. Per il Signore, questo, è un miracolo più importante della stessa guarigione fisica. In realtà Egli guarisce perché si ritorni da Lui, per conoscere di nuovo, una seconda volta, il suo amore. Posare lo sguardo su Dio diventa, per il samaritano, la via per ri-posare lo sguardo su se stesso e sugli altri in una luce nuova, capace di andare oltre ogni tenebra e di dare calore al proprio cuore e a quello di quanti gli si avvicinano. 
«Alzati e va’, la tua fede ti ha salvato»: avvicinarsi a Gesù, fa sì che la sua vita diventi la nostra. Così smuoviamo l’onnipotenza divina non solo per i beni ricevuti, ma anche per un futuro dove non si faranno attendere altri segni e prodigi. 
«Vedrai cose migliori di queste»: non c’è, infatti, una esperienza di lode autentica ed esistenzialmente efficace senza questo atteggiamento interiore, che è esercizio di fidarsi, confidare e affidarsi al Signore. Alla fine sorge spontaneo dire grazie, quando si entra in comunione con il proprio corpo, i propri sentimenti, con il Signore e si rende gloria. Che poi, gloria di Dio è l’uomo vivente. 

Signore, 
sciogli il mio cuore ingrato 
e insegnagli la delicata poesia del grazie. 
Apri i miei occhi, 
troppo spesso incapaci di riconoscere 
i doni del tuo amore.
Rassicura il mio animo, che teme di scoprirsi povero, mentre invece proprio quella povertà
è la porta della salvezza.