OMELIE

Vescovo per voi, cristiano con voi

Omelia di Mons. Ferretti del 23-10-2016

Anniversario della Dedicazione della Chiesa Cattedrale di Foggia

Da due anni sono tra voi e il mio sentire è di profonda gratitudine. Benedico il Signore che mi ha chiamato ad annunciarlo in questa Chiesa, ricca di fede e di carità. Mi donate affetto e comprensione; il Signore vi ricambi in gioia e consolazione.
Stasera siamo entrati nella nostra Cattedrale e, diversamente dal fariseo del Vangelo, tutto rivolto a se stesso, ciascuno desidera imitare il pubblicano che, inginocchiato nel tempio, non osava neppure alzare gli occhi, si batteva il petto e pregava: «O Dio, abbi pietà di me peccatore». Due parole cambiano tutto nella preghiera del pubblicano. La prima è: tu abbi pietà. Il fariseo costruisce la sua religione attorno a quello che lui fa, il pubblicano attorno a quello che Dio fa. La seconda parola è: io peccatore. Il nome di peccatore va sempre riferito a noi stessi, mai agli altri. Il pubblicano torna a casa perdonato perché confida in un Dio più grande del suo peccato. Apre la porta del cuore alla Misericordia, a questa straordinaria debolezza di Dio, che è la sua onnipotenza. 
Anche noi avvertiamo di non essere degni di aver ricevuto la chiamata da Dio a stare insieme (con-vocati) in questo tempio per ascoltare la Parola, accostarci all’Eucarestia e trasformarci in creature di comunione. Diciamo il grazie alla Chiesa che ci ha rigenerati alla fede con il battesimo, continua a perdonare i peccati con la confessione, che dona la grazia della vocazione alla vita familiare e coniugale come a quella di speciale consacrazione. 
Come camminiamo in diocesi? Vorrei richiamare due impegni prioritari: la vita dei sacerdoti e quella della famiglia e dei giovani. Il primo riguarda la conoscenza dei sacerdoti, convinto che senza un presbiterio motivato e generoso, il ministero del vescovo è in affanno. Sto cercando, perciò, di creare legami di affetto, condivisione e collaborazione. Certo non è facile. Ma, cari sacerdoti, solo se uniti, anche nella disciplina ecclesiale, potremmo testimoniare la comunione. Ogni iniziativa pastorale viene dal Signore ed è autentica e fruttuosa, se innestata nell’unico progetto della Chiesa di Cristo. Non è concepibile che due sacerdoti non si parlino, non si accettino e non armonizzino il proprio servizio uno con l’altro. 
Che bello se le iniziative di una parrocchia fossero condivise dalle altre, senza invidie e gelosie, e se idee e percorsi pastorali fossero avvalorati e sostenuti senza personalismi che rallentano gli sforzi comuni. Con voi vorrei non sentire mai parlare male degli altri, che si evitassero giudizi cattivi e che non si offendesse, da parte di qualcuno, con volgari menzogne scritte, la diocesi e il presbiterio. 
Cari sacerdoti, coraggio! Continuiamo a edificarci a vicenda; già tanti segnali incoraggianti ci fanno sperare bene: i nostri ritiri ed esercizi spirituali, il periodico incontro con i parroci, la fantasia creativa che sta emergendo negli appuntamenti delle diverse vicarie, il consolidato accompagnamento dei giovani presbiteri, il rilancio della casa del clero. E qui il mio pensiero va alla carenza di sacerdoti e alla esigenza di un entusiasmo maggiore nella proposta vocazionale. Eppure, ci sono delle possibilità di annuncio vocazionale nascoste e dovute alla straordinaria sensibilità degli operatori pastorali, alle esperienze di iniziazione cristiana, alla rete di oratori che consentono un prezioso lavoro educativo, alla scuola come ambito di discernimento vocazionale per i giovani. L’altro impegno di questi due anni di ministero ha interessato la pastorale familiare e giovanile. Famiglie e giovani sono soggetti che devono integrarsi e interagire: la famiglia, perché nei giovani ha la sua continuità, non solo biologica, ma spirituale e missionaria; i giovani, perchè nelle famiglie hanno la loro radice e la loro prospettiva umana e cristiana. Guardiamo alle nostre famiglie. Tante volte sembra di non potercela fare e di non riuscire a superare fragilità, che rischiano di rendere sterile il quotidiano. Poi, in maniera imprevista e gratuita, direi provvidenziale, si incrocia una parola, uno sguardo, un invito che rimette tutto in un nuovo orizzonte di speranza. Si comprende, così, come Dio accompagna le famiglie delle nostre città nella direzione giusta. Non lasciamoci prendere da un pessimismo sterile, ma educhiamoci a partire col vedere ciò che di bello e di buono il Signore semina nella nostra storia. 
Cari amici, amiamo la Chiesa come figli che amano la Madre che ha dato loro la vita. Troviamola bella e degna di amore anche quando qualche ruga solca il suo volto o quando ci sembra di non capire fino in fondo le sue scelte e i suoi tempi. La Chiesa non si inventa, ma si riceve: è dono del Crocifisso risorto. Non possiamo dirci ed essere Chiesa senza fare atti di appartenenza ad essa. La mia Chiesa: mia non di possesso, ma di legame. Mia come lo è il respiro senza il quale non vivrei. Mia come lo è il cuore e, senza, non sarei. Noi apparteniamo ad una Chiesa viva e come popolo di Dio impariamo a pronunciare tre grandi “no” e tre grandi “sì”.
Il primo “no” è quello al disimpegno, cui nessuno ha diritto, perché i doni ricevuti da ognuno vanno vissuti nel servizio degli altri: a questo “no” deve corrispondere il “sì” alla corresponsabilità, per cui ognuno si faccia carico per la propria parte del bene comune da realizzare secondo il disegno di Dio. Il secondo “no” è alla divisione, cui nessuno può sentirsi autorizzato, perché i carismi vengono dall’unico Signore e sono orientati alla costruzione dell’unico Corpo, che è la Chiesa: il “sì” che ne consegue è quello al dialogo fraterno, rispettoso della diversità e volto alla costante ricerca della volontà del Signore per ciascuno e per tutti. Il terzo “no” è quello alla conservazione e alla nostalgia del passato, cui nessuno deve acconsentire, perché lo Spirito è sempre vivo ed operante nella vita e nella storia: a questo “no” deve corrispondere il “sì” alla continua riforma, per la quale ognuno possa realizzare sempre più fedelmente la volontà di Dio.
Quanto bisogno c’è di comunione! Vorrei si mostrasse a tutti una Chiesa in grado di suscitare e coltivare con ciascuno relazioni di rispetto e di reciproco amore.
Sogno con voi la Chiesa sempre più missionaria, in uno slancio di servizio, che invita tutti ad incontrare Gesù e il suo amore che riempie la vita. Tante persone nelle nostre parrocchie aspettano cha andiamo loro incontro e che le guardiamo con quella tenerezza che abbiamo sperimentato e ricevuto dal nostro rapporto con Dio. È il potere che abbiamo, non quello dei nostri ideali e progetti personali, bensì la forza della sua misericordia che trasforma e dà vita. Nonostante la fatica che tutto questo comporta, non pieghiamoci sulla lamentela di quello che manca, né concentriamoci sulla zizzania, ma sul grano buono. Dobbiamo educarci di più a partire con il vedere ciò che di positivo è presente nel nostro vissuto, così da aprire orizzonti nuovi e spazi di speranza. È il mio augurio per il nuovo anno pastorale.
Maria, Madre della Chiesa, interceda per noi e ci aiuti ad essere operatori pastorali credibili e degni dell’amore del Figlio Gesù.