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La Parola della Domenica - V Domenica di Quaresima

Riflessioni sulle letture bibliche proposte dalla liturgia domenicale a cura di padre Valter Arrigoni, monaco diocesano

(pubblicato il 10-04-2011)
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In queste domeniche di Quaresima che ci avvicinano alla Pasqua siamo accompagnati dal Vangelo secondo Giovanni. Dopo la Samaritana ed il cieco nato eccoci a Lazzaro. Dopo i temi della catechesi battesimale dell’acqua e della luce, eccoci al tema della vita. Potremmo dire che nel Vangelo di questa domenica il sepolcro, la tomba di Lazzaro diventa il grembo fecondo dal quale scaturisce la vita. Lazzaro risuscitato da Cristo diventa il segno per ognuno di noi che da Cristo siamo generati a vita nuova nel battesimo. In questa penultima domenica di Quaresima Lazzaro, con la sua vicenda di morte e risurrezione, diventa l’anticipazione della Pasqua di morte e risurrezione di Gesù. Ancora una volta, purtroppo, la scelta liturgica della divisione del brano per la lettura lascia fuori un versetto significativo. Il racconto della risurrezione di Lazzaro di san Giovanni finisce con le parole: “Da quel giorno dunque decisero di ucciderlo”. È il collegamento chiaro con la persecuzione che diventa condanna a morte. La ragione è nell’invidia dei capi del popolo, nel loro chiudersi alla novità che Gesù porta e che chiede la revisione di vita, la conversione, il riconoscere che la fede non è qualcosa di lontano, di ideale, di astratto ma qualcosa che ci dice ogni giorno novità, vita, cambiamento. Essere credenti nel Dio di Gesù Cristo significa non fermarsi mai ma essere sempre per strada. Il Prefazio quinto della Quaresima così prega: “È veramente giusto benedire il tuo nome, Padre santo, ricco di misericordia, nel nostro itinerario verso la luce pasquale sulle orme di Cristo, maestro e modello dell’umanità riconciliata nell’amore. Tu riapri alla Chiesa la strada dell’esodo attraverso il deserto quaresimale, perché ai piedi della santa montagna, con il cuore contrito ed umiliato prenda coscienza della sua vocazione di popolo dell’alleanza, convocato per la tua lode nell’ascolto della tua parola e nel’esperienza gioiosa dei tuoi prodigi”.

Il  senso profondo della Pasqua, del cammino della Quaresima, della fede, della vita del credente consiste proprio in questo alternarsi della morte e della vita, del deserto e dell’oasi. Siamo chiamati quotidianamente, anzi ogni istante, a morire a noi stessi per rinascere uomini nuovi. Come la samaritana che passa dall’essere emarginata, la pubblica peccatrice alla testimone annunciatrice del salvatore, della venuta di Cristo. Come il cieco nato che viene ricreato dal fango impastato con la saliva di Gesù. Così nuovo, così ricreato da non essere riconosciuto! Oggi ci viene presentato Lazzaro, morto già da alcuni giorni, che manda odore di cadavere. Non c’è speranza per lui neppure nella fede della sorella Marta. Solo Maria continua anche in questo racconto il gesto che le è tipico di mettersi ai piedi di Gesù ed attendere da lui “il compimento della beata speranza”. La fede è proprio questo momento di morte, di cecità, di arsura nel quale invece di agitarci, di cercare risposta nelle nostre potenzialità umane cerchiamo la risposta in Gesù. Ci affidiamo a Lui. Lasciamo a Lui l’agire. Certi, perché la fede ha la caratteristica della certezza, che quello che Lui farà è il meglio per noi. Anche questa domenica, come per il cieco nato, la malattia del cieco e la morte di Lazzaro sono l’occasione perché si riveli la gloria del Padre attraverso l’opera del Figlio. Il tempo della Pasqua è vicino e l’annuncio del Vangelo si fa sempre più pressante, più chiaro. Non si tratta più solo della prova della sete e del buio ma della prova stessa definitiva della morte. Epicuro scrive: “a causa della morte, noi gli uomini, siamo come città senza mura”. La morte è l’estrema domanda della fede. La morte nostra di fronte alla quale siamo pieni di spavento e la  morte di coloro che amiamo di fronte alla quale siamo pieni di dolore, di sgomento. A questa estrema domanda, a questa estrema frontiera della vita e della fede, siamo come Marta “Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto”. Affermazione che nasconde una incertezza, un dubbio di fede: “se tu fossi veramente Dio, come dici di essere, non ci sarebbe la morte”. Eppure proprio nell’ultima affermazione di questo racconto di Giovanni, “ da quel giorno dunque decisero di ucciderlo”, c’è il legame strettissimo fra la morte di Lazzaro, la morte di ognuno di noi, e la morte del Cristo. Il Figlio di Dio viene sacrificato dal Padre per noi. “Condivide in tutto la nostra natura umana”. “Si umilia fino a farsi uomo, schiavo, a morire sulla croce”. “È dalla sua morte, dalla croce che ci viene la salvezza”. È solo se abbiamo il coraggio di morire che possiamo risorgere. Morire all’uomo vecchio che è dentro di noi. Morire alle certezze, anche a quelle di fede, che andiamo cercando perché non abbiamo il coraggio di affrontare la vita, certi che Dio non ci lascia soli. Il Dio nel quale noi crediamo non è lo sclerotico, vecchio, irremovibilmente morto su cui basiamo la nostra “fede”. La morte del Figlio di Dio è lo scandalo, l’ostacolo, più grande per molti, a cominciare dai capi del popolo di Israele ai tempi di Gesù. Ancora oggi viviamo una idealizzazione della Passione di Gesù che la priva della drammaticità umana dell’incontro con la  morte che ha condiviso con noi il Figlio. Gesù vero uomo ha sentito il dolore della Passione, il senso dell’inutilità del morire. Per molti mistici, infatti, il grande dolore dell’Orto del Getsemani era l’effetto dell’acquisire coscienza dell’inutilità della sua morte. Gli uomini avrebbero continuato a vivere nel non sapere quanto è grande l’amore di Dio per noi. La morte di Gesù è l’estrema prova dell’amore del Padre per i suoi figli, per noi, peccatori come la samaritana, nel buio come il cieco, nella morte come Lazzaro.



Padre Valter Arrigoni



Monaco diocesano