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Ordinazione sacerdotale di don Michele Tutalo

Lo scorso 16 maggio nella Chiesa dei santi Guglielmo e Pellegrino mons. Tamburrino ha imposto le mani sul giovane presbitero.

(pubblicato il 16-05-2009)

La nostra comunità parrocchiale sta vivendo un momento di giubilo per la presenza di un nuovo presbitero nel clero diocesano: è don Michele Tutalo che ha ricevuto l’ordine sacro il 16 maggio scorso nella Chiesa dei Santi Guglielmo e Pellegrino. È stato l’Arcivescovo di Foggia-Bovino, Mons. Francesco Pio Tamburrino a presiedere la solenne concelebrazione e a imporre le mani sul capo di Michele, che da qualche anno lavoro al fianco del nostro presule in qualità di segretario personale. Questo rapporto di stima e di amicizia ha reso la celebrazione ancora più partecipata e intima ed anche la presenza di un nutrito presbiterio che ha sostenuto con affetto il candidato all’ordine e la presenza dei seminaristi di Molfetta e di Benevento, ha reso la cerimonia più intensa e suggestiva. Dopo la presentazione del candidato da parte di don Franco Colagrossi, parroco della chiesa dei Santi Guglielmo e Pellegrino, che ha delineato la nascita del germe della vocazione nel giovane Michele, quando cominciava a cogliere la scintilla divina nell’esperienza dello scoutismo.

Nella ricca omelia l’Arcivescovo ha ricordato il significato profondo dell’ordinazione sacerdotale: “Tra qualche istante, carissimo don Michele, il Signore, attraverso il suo Spirito prenderà possesso di te in maniera nuova e ti farà suo sacerdote. È questo un momento in cui ti rendi conto, almeno un po’, del tracciato tortuoso e provvidenziale del sentiero, attraverso il quale il Signore ti ha condotto. Tappe di oscurità e di ricerca appaiono ora come appuntamenti di grazia, in cui Dio ti stava formando perché fossi pronto a ricevere il sigillo sacramentale del presbiterato e a donarti una missione che non ha confini. Adesso prendi coscienza che dietro ogni passo del tuo cammino di preparazione stava un disegno che il Signore componeva e nel quale ti scopri ammirato e grato”.

Poi riferendosi alla liturgia della VI domenica di Pasqua, mons. Tamburrino ha ricordato che offre testi che parlano dell’amore e di Dio che è amore: “Siamo veramente al vertice della rivelazione del Nuovo Testamento. Nell’ultima cena Gesù dice ai discepoli: “Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore” (Gv 15, 9). Sono parole che ci illuminano e che infondono una grande gioia nel nostro cuore. L’amore viene dal Padre, passa attraverso il cuore di Gesù e giunge sino a noi. Non possiamo presumere di essere noi la sorgente dell’amore. La vera sorgente è Dio; il cuore di Gesù è il ruscello che irrora su di noi l’agape del Padre. Egli è mediatore di questo amore, colui che ce lo trasmette in modo attivo, offrendo la propria vita per le persone amate: non soltanto per i suoi discepoli, ma per tutti gli uomini. L’apice dell’amore, infatti, sta nel porre la propria vita a favore degli amici. E noi siamo suoi amici, se rispondiamo al suo amore facendo come lui ha fatto”.

Gesù fa una affermazione di grande interesse per gli apostoli che lo circondano nel cenacolo, ma anche per il candidato a ricevere il rito sacramentale, concentrando le sue parole sul concetto di amicizia e non di subordine che lega loro al Cristo: “Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi” (Gv 15, 15). ‘Servo’ è un titolo onorifico nelle Scritture. Servi del re sono i ministri, i grandi della corte; servi di Dio sono i re del popolo eletto, i profeti, i sacerdoti, i leviti e i giusti. Il servo esegue la volontà del suo Signore, ma con un rapporto di sudditanza, non di uguaglianza. La servitù è caratterizzata dall’ignoranza e dalla paura (“il servo non sa quello che fa il suo padrone”), l’amicizia, invece, si caratterizza per la confidenza, l’intimità e la familiarità con lui. Gesù non vuole che gli apostoli gli siano servi, ma amici suoi, esaltati dalla sua misericordia e assimilati a lui”.

Mons. Tamburrino ha poi citato alcuni documenti della Chiesa in cui si evince proprio questo concetto di amore che si estrinseca nel ministro ordinato divenendo carità pastorale; nella sua realtà oggettiva il ministero sacerdotale è amoris officium (GIOVANNI PAOLO II, Pastores dabo vobis, 24), secondo l’espressione di sant’Agostino “sia un compito di amore pascere il gregge del Signore” (In Iohannis Evangelium Tractatus, 123, 5).

Riferendosi infine alla dimensione della missione sacerdotale ha sottolineato tra i compiti del presbitero in particolare la disponibilità nell’ascolto ai bisogni della comunità, l’attaccamento e la condivisione del percorso di fede da compiersi al fianco dei confratelli presbiteri e una virtù “che è oggi ancora più che nel passato” l’obbedienza: “L’obbedienza cristiana autentica, rettamente motivata e vissuta senza servilismi, aiuta il presbitero a esercitare con evangelica trasparenza l’autorità che gli è affidata nei confronti del popolo di Dio […]. Solo chi sa obbedire in Cristo, sa come richiedere, secondo il Vangelo, l’obbedienza altrui. L’obbedienza presbiterale presenta, inoltre, una esigenza ‘comunitaria’: non è l’obbedienza di un singolo che individualmente si rapporta con l’autorità, ma è invece profondamente inserita nell’unità del presbiterio, che come tale è chiamato a vivere la concorde collaborazione con il Vescovo e, per suo tramite, con il successore di Pietro (GIOVANNI PAOLO II, Pastores dabo vobis, 28)”.

Infine il presule ha rivolto un augurio particolare legando l’ordinazione di don Michele all’auspicio che il suo esempio porti con sé altre sentite e zelanti vocazioni sacerdotali che arricchiscano il nostro clero diocesano: “La tua vita sacerdotale non sia sterile. La gioia più grande che il Signore potrà riservarci nel tuo ministero, sarà il germogliare di altre vocazioni sacerdotali e di particolare consacrazione, come regali che il Signore potrà mettere sulle tue mani per offrirle a lui e alla nostra Chiesa”.

Francesca Di Gioia

Articolo tratto da Voce di Popolo n.20/09