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La Parola della Domenica - XI Domenica del Tempo Ordinario

2 Samuele 12,7-10.13; Galati 2,16.19-21; Luca 7,36-8,3.

(pubblicato il 13-06-2010)
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Un detto dei Padri del deserto recita: “Chi  riconcilia un peccatore è più grande di  chi risuscita un morto”. Gesù è riconosciuto dalla gente di Nain come “un grande profeta”, perché ha richiamato un morto in vita, ridato alla vedova del villaggio il figlio perduto (cfr Luca 7,11-17). Ma più grande di tutti i profeti, “un uomo che perdona anche i peccati”, è riconosciuto dalla peccatrice che si presenta a lui in casa di Simone e crede alla sua parola che le annunzia: “La tua fede ti ha salvata, va in pace!”. L’anonima peccatrice, forse una donna pubblica, crede che Gesù è il più grande di tutti i profeti e lo testimonia proprio perché egli l’ha accolta in un luogo e in un modo in cui nessun altro l’avrebbe mai accolta. Accoglie la sua persona e il suo esprimere simpatia e ravvedimento nei gesti a lei abituali, che sono quelli dell’adescamento e della seduzione. Gesù la guarda, la penetra dentro con lo sguardo e con il cuore del profeta, e vede nei suoi gesti un amore nuovo, un amore che si schiude al suo per lei, proprio in quanto peccatrice, bisognosa di essere accolta e “rialzata” dal sepolcro di una vita “sbagliata”, perché sbagliato è stato il suo modo di amare, o meglio, il suo modo di farsi amare. E’ lo sguardo di Gesù che fa nuovo l’amore della donna, ma lo sguardo di Gesù le cambia il cuore, perché da questo sguardo ella si lascia tutta invadere e conquistare.



Nelle braccia di tutti era diventata una cosa, un corpo da possedere per il semplice piacere di possedere. E, ora, ai piedi di lui, del “Maestro”, è una persona che può dare libero sfogo al suo bisogno d’amore vero: si sente capita nei gesti che compie. Le si permette d’amare, si sente corrisposta nel suo amore. Al fariseo che l’ha invitato a pranzo e che crede che il Maestro è in debito di riconoscenza con lui, il Maestro vorrebbe far intendere che non basta l’avergli offerto il pranzo. Un pranzo si può offrire perché si può sperare di trarre vantaggio anche per il semplice fatto di averlo offerto: una più grande considerazione da parte della gente accorsa a “vedere” chi è stato invitato e chi no, una sperata, se non pretesa, maggiore disponibilità da parte dell’ospite, specie se uomo di Dio, un Maestro, ad accondiscendere alla propria vanità di essere osannato come benefattore, buon amico dei religiosi e pii.



Il fariseo è interessato solo al suo buon nome. Riceve Gesù non come amico, ma come uno che passa per profeta e va “ridimensionato”. Ospite, sì, ma un ospite da tenere sotto osservazione, in modo che si riesca a cogliere sulle sue labbra e nei suoi gesti parole e modi che certamente non sono da profeta e da uomo di Dio. Nessuna, quindi, delle attenzioni riservate a un ospite. Ma Gesù proprio queste attendeva da Simone. Uno che invita a tavola s’indebita con l’ospite tanto quanto non gli è offerto quel che gli è dovuto. E la prima cosa che gli è dovuta è farlo sentire a proprio agio. Gesù, alla tavola del fariseo, avverte un enorme disagio, perché si sente, da chi l’ha invitato, giudicato e condannato: “Se costui fosse un profeta, saprebbe chi e che specie di donna è colei che lo tocca: è una peccatrice”. Il fariseo non dovrebbe dedurre dalla parabola dei due debitori con la quale Gesù intende rispondere ai suoi “pii”  pensieri, che, se è capace di leggere nel suo cuore, è capace di leggere anche nel cuore della peccatrice? E che è, quindi, un profeta? Ma il fariseo non si sente in debito con lui per non averlo accolto da profeta, giustificandosi in cuor suo che il modo di relazionarsi di Gesù con i peccatori non lo qualifica come uomo di Dio.



Eppure quello di Gesù è lo stesso relazionarsi di Dio con il peccatore contrito così come rivelato proprio dai profeti. Dio non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva. Che ritorni a lui, che si lasci guardare e guarire nel cuore e si abbandoni al suo abbraccio per non più perdersi. Avrebbe voluto Gesù fare della mensa del fariseo quella alla quale trovassero posto tutti gli accolti da lui nel suo perdono e nel suo abbraccio. Poiché accogliere lui è disporsi ad accogliere tutti coloro che a Dio ritornano e nelle braccia del Figlio sono accolti. Pretendere di accoglierlo, ma senza di loro, è come imporgli una logica e un modo di relazionarsi che non gli appartiene. Non si sentirà a suo agio presso di noi se lo chiamiamo Maestro e rinneghiamo ogni ragionevolezza al suo insegnamento.



Luca non lo afferma esplicitamente, che la donna peccatrice e perdonata abbia fatto parte del seguito femminile di Gesù: “C’erano con lui i Dodici e alcune donne che erano state guarite da spiriti cattivi e da infermità, Maria di Magdala, dalla quale erano usciti sette demoni, Giovanna, moglie di Cusa, amministratore di Erode, Susanna e molte altre, che li assistevano con i loro beni”. Tra queste c’è anche la donna cui Gesù ha “perdonato i suoi molti peccati, perché ha molto amato” e si è molto lasciata amare? Noi lo crediamo. Ella ci aiuti a riconoscerci peccatori, a bagnare di lacrime d’amore e a ungere con l’unguento della carità i piedi del nostro Maestro e Signore che nel nostro amore per il prossimo ci schiude al suo.            



mons. Donato Coco