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"La speranza dei poveri non sarà mai delusa" (Sal 9,19)

Esortazione di S. E. Mons. Francesco Pio Tamburrino all'Arcidiocesi di Foggia-Bovino per la Quaresima 2011

(pubblicato il 11-03-2011)
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Di seguito riportiamo i passaggi cruciali dell’ultima pregevole pubblicazione del nostro Arcivescovo, mons. Francesco Pio Tamburrino. 



 



Carissimi Fratelli e Sorelle nel Signore, La cultura attuale e la coscienza contemporanea manifestano una acuta sensibilità verso il povero, quasi a riparare le ingiustizie della storia che ci ha preceduti. Tuttora la classe dei poveri è come un immenso arcipelago, popolato di persone e di gruppi in situazione stabile di povertà: popoli sottosviluppati del mondo, proletari, masse operaie, donne, bambini, anziani, malati, analfabeti, emarginati di ogni specie. Il campionario delle povertà umane è estremamente variegato e diffuso. Al presente, la povertà è sentita in termini sociologici, politici ed economici, giudicandola come condizione da scansare, perché zavorra per la società del benessere e del consumismo. In questo contesto sociale, il ricupero della visione biblica e della tradizione ecclesiale può portare una luce indispensabile per capire e superare il rifiuto dei poveri che, nonostante tutti gli sforzi, continuano ad accompagnarci anche oggi.



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2. I diversi volti del povero



Possiamo notare che la Bibbia parla poco della povertà come realtà sociologica ed economica, ma parla spesso dei poveri in carne ed ossa: uomini e donne. Dio invita a non ignorarli e a non far finta di non vederli. Il vocabolario concreto della Bibbia permette già di evocare la loro pietosa sfilata e scorgerne i vari volti: accanto all’“indigente”, ecco il “magro” o il “debole”, il “mendicante” non sazio, l’uomo “abbassato” ed afflitto. La Bibbia parla del misero, dell’indigente, dell’affamato, del carcerato, del cieco, dello zoppo, dello storpio, del vecchio, del malato, del bambino, dell’oppresso.



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5. Dio ama i poveri



Perciò Dio, a colui che vuole e sa ascoltarlo, dice di amare il povero e vuole che sia lui, il credente, la mano che soccorre, la casa che si apre, il cibo che viene condiviso, la veste che ripara dal freddo… Dio ama i poveri e insegna al suo popolo ad amarli e ad essere solidale con loro. Addirittura, Dio impone di superare il divario tra un membro del popolo israelita e lo straniero. “Il forestiero dimorante tra voi lo tratterete come colui che è nato tra voi; tu l’amerai come te stesso, perché anche voi siete stati stranieri in terra d’Egitto. Io sono il Signore, vostro Dio” (Lv 19, 33s). Quel “come” è decisivo, anche oggi per noi: c’è una uguaglianza radicale fra autoctoni e stranieri che determina l’origine e motiva nel profondo l’amore per loro. Questa è la legge della Prima Alleanza; questo è anche il comandamento supremo del cristiano.



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9. Un programma quaresimale



La Quaresima ci invita a riflettere a fondo sulle condizioni morali della nostra sequela di Cristo. Comprendiamo bene che la povertà in senso sociale non rende automaticamente graditi a Dio. Anche i poveri possono essere peccatori, viziosi, chiusi in se stessi, egoisti. La povertà che piace a Dio, sta nel profondo del cuore e si esprime nella mitezza, nella umiltà, nella mansuetudine, nella apertura verso i fratelli e nella fiducia in Dio. La Quaresima, tempo forte di cambiamento interiore e di conversione, sembra, purtroppo, svuotarsi di senso in un mondo distratto, ove persino il carnevale è più incisivo e presente. Il nostro rinnovamento spirituale e il ritorno a Cristo passa attraverso la carità operosa e il nostro servizio degli uomini. Così preghiamo nel III prefazio della Quaresima: “Tu vuoi che ti glorifichiamo con le opere della penitenza quaresimale, perché la vittoria sul nostro egoismo ci renda disponibili alle necessità dei poveri, a imitazione di Cristo tuo Figlio, nostro salvatore”. Il digiuno che Dio vuole “non consiste forse nel dividere il pane con l’affamato, nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto, nel vestire chi è nudo, senza distogliere gli occhi da quelli della tua gente?”(Is 58, 7). Il premio della misericordia è il perdono divino dei peccati: “Sconta i tuoi peccati con l’elemosina e le tue iniquità con atti di misericordia verso gli afflitti, e Dio perdonerà le tue colpe” (Dn 4, 24).



10. Malati di soldi



Un recente volume dello psichiatra Vittorino Andreoli, intitolato Il denaro in testa (Rizzoli, Milano 2011), afferma che, per molti, il denaro è diventato la misura di tutte le cose, con danni incalcolabili per l’uomo e il suo modo di pensare. Esso influisce sul comportamento. Sempre più un uomo è il corrispettivo del denaro che ha, o che rappresenta. Lo stile di vita sia dei ricchi che dei poveri ne è condizionato. È scontato che i poveri senza denaro stanno male, ma meno scontato è che il denaro, pure nell’abbondanza, sia in realtà un elemento disturbatore. Ci sono ossessioni di denaro, ci sono dipendenze, c’è la sindrome di “Paperon de’ Paperoni”, per la quale il denaro chiama denaro. I soldi vanno considerati un mezzo per vivere meglio. Ci sono tante cose di cui si può godere attraverso i soldi. Ma non sono la vita né il senso della vita. Il problema nasce quando questo strumento finisce per occupare uno spazio totale, che scaccia altre cose. “La società del denaro non coglie la bellezza del mondo e neanche il suo affanno, riduce l’uomo a un salvadanaio che si può rompere troppo facilmente, lasciando solo dei cocci. L’uomo non merita di diventare un contenitore di monete. Questa è la follia, oggi talmente diffusa da sembrare normale. Ma non lo è” (V. Andreoli, Il denaro in testa, cit., 214). È evidente che una tale deviazione si può annidare nel cuore di ogni uomo, ricco o povero che sia. Sì, è il cuore, il nucleo intimo della persona che può soccombere al fascino del denaro, alle passioni e agli istinti che vi si annidano. “Dal cuore provengono propositi malvagi, omicidi, adulteri, impurità, furti false testimonianze, calunnie” (Mt 15, 19). Con il cuore tutto l’uomo si trova irretito nella schiavitù della cupidigia, dell’avarizia e del peccato. Nel Vangelo di Matteo Gesù proclama beati i poveri nello spirito, ossia i miti, gli afflitti e quanti hanno fame e sete della giustizia (Mt 5, 3-6). Con questa precisazione si comprende quale categoria di poveri Gesù considera felici; non tutti i poveri infatti devono essere ritenuti beati, ma solo quelli “nello spirito”, ossia quanti sono tali “nel cuore”, hanno la purezza interiore (Mt 5, 8), e la generosità dell’animo. Un esempio esauriente della povertà gradita a Dio è rappresentato dalla vedova povera, che getta nel tesoro del tempio due monetine: ben poco rispetto alle laute offerte dei ricchi. Gesù commenta il gesto con queste parole: “In verità vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato più di tutti. Tutti costoro, infatti hanno gettato come offerta parte del loro superfluo. Ella invece, nella sua miseria, ha gettato tutto quello che aveva per vivere” (Lc 21, 2-4). È qui che ci deve condurre la riflessione e la conversione quaresimale. La conversione (metanoia) è affare che riguarda il cuore: la conversione si verifica nel cuore ed è quindi una cosa che implica tutto l’uomo. La Quaresima, questo chiede dal cristiano: “Fatevi un cuore nuovo” (Ez 18, 31). Dio promette di realizzare egli stesso ciò che esige: “Io vi purificherò. Io vi darò un cuore nuovo, io



porrò in voi uno spirito nuovo; toglierò dalla vostra carne il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne” (Ez 36, 25-26). La Quaresima chiede a tutti questo cambiamento nel profondo del cuore: “Gente del popolo e nobili, ricchi e poveri insieme”! (Sal 49, 3).”