OMELIE

Dal seno di mia madre

Omelia di Mons. Ferretti del 23-06-2018

Ordinazione diaconale di d. Michele Noto - Basilica Cattedrale
Carissimi, contempliamo stasera non solo il mistero della natività di Giovanni Battista, ma attraverso questa celebrazione siamo introdotti nel senso della nostra stessa vita: essere un dono per gli altri. Abbiamo letto un brano del Vangelo dell’infanzia del Precursore, dove la solennità dell’offerta dell’incenso si coniuga con il dramma della incredulità di Zaccaria. La nascita di Giovanni viene annunciata in un contesto di tristezza e di morte ed è così sorprendente da rendere muto suo padre e audace sua madre: “No, si chiamerà Giovanni”.
Sin da prima della sua nascita, il Battista apre strade nuove che esigono un rinnovato coraggio nell’accogliere il Figlio di Dio, fatto uomo. Egli, con lo spirito e la potenza di Elia, ossia con l’atteggiamento profetico, non ha mai avuto tempo di pensare a se stesso, ma sin dal seno materno è chiamato ad indicare la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Gli stessi genitori, Zaccaria ed Elisabetta, sono dei poveri in spirito, persone libere che non hanno un io da difendere, ma insegnano la grammatica di ciò che è veramente prezioso e si apprende con la fatica e la durezza della quotidianità. Giovanni è figura di essenzialità e semplificazione: di lui si dice la sobrietà del cibo, la povertà del vestire, il distacco da ogni forma di mondanità. Egli può così preparare la strada al Signore, perché la incarna nella sua persona. Lontano da ogni esibizionismo o infatuazione di sé, Giovanni è il testimone di un Altro e conduce chi lo vede e ascolta non a sé, ma a dare l’adesione a Colui a cui egli rende testimonianza. Testimoniare è l’arte di dire la verità su di sé, sugli altri e sulla realtà. La testimonianza evangelica non richiede di fare molte cose, ma di decidere se stessi davanti a Cristo, in relazione con Lui. Non è forse il ministero diaconale una testimonianza che suscita il senso di una presenza altra e che annuncia alle folle che Gesù è in mezzo a loro, anche se non lo riconoscono: “in mezzo a voi sta uno che voi non conoscete”. Ancora oggi, in mezzo a noi si trova Colui che quasi ignoriamo, che tanto fatichiamo ad individuare. Siamo sordi alla sua Parola. I nostri occhi sono ciechi, abbagliati anche dalla minima luce proveniente da Lui. Il nostro cuore è alquanto lento a credere. Signore, anche noi, diaconi, presbiteri e vescovi, chiamati ad essere testimoni, spesso sembra di non riconoscerti vicino a noi, a portata di mano, a portata di voce. Carissimo Michele, essere diacono significa essenzialmente operare un passaggio radicale dall’essere per sé all’essere per gli altri. La elezione o chiamata al diaconato non indica una preferenza che lascia che la persona viva per se stessa, ma obbliga ad inserirsi in una missione comune. Ciò indica il distacco dall’io per agganciare definitivamente la nostra storia all’esistenza di Gesù Cristo, allontanando la tranquillità delle proprie vedute e dei nascosti privilegi. Qui il pensiero alla promessa di celibato. Oggi c’è qualcosa di nuovo che lo Spirito santo ci chiama a fare: testimoniare al mondo l’innocenza originaria delle creature e delle cose. Il mondo è sprofondato molto in basso; il sesso ci è salito al cervello a tutti. Oc­corre qualcosa di molto forte, per rom­pere questa specie di narcosi e di ubriacatura di sesso: occorre ridestare nell’uomo la nostalgia di innocenza e di semplicità che egli porta nel cuore, an­che se spesso ricoperta di fango. Dinanzi a tutto ciò, la scelta del celibato e di una vita casta aiutano a capire che la virtù della purezza è più forte del vizio contrario che comincia con il risanare la radice che è il “cuore”, perché è da lì che esce tutto ciò che inquina veramente la vita di una persona. Certo, i toni e i tratti del ministero e della testimonianza del Battista, hanno qualcosa da insegnare alla Chiesa di sempre. Il suo essere una mano che fa segno, un indice che orienta la direzione dello sguardo e dei passi verso Cristo, il suo saper riconoscere il proprio posto e restarvi con fedeltà, il suo fare spazio al Signore: tutto questo dice una libertà e un amore grandi per non sostituirsi a Gesù. Carissimo, una sequela totale, la tua, che abbraccia tutto l’arco dell’esistenza sino a forme di martirio quotidiano: “su di te, Signore, mi appoggia sin dal grembo materno, dal seno di mia madre tu sei il mio sostegno…e anche nella vecchiaia annuncerò la tua potenza, a tutte le genti le tue meraviglie” (Sal 71, 6-18). Ti auguro di rassomigliare a Geremia: giovane senza parole, per parlare con le parole di Dio, per andare dove Egli ti manderà, per camminare facendo strade che nessuno ha mai fatto. Ricordati che sarai voce, solo voce.
Alla Vergine Madre Iconavetere, affidiamo il tuo ministero.