OMELIE

Sulla Via Crucis della vita

Omelia di Mons. Ferretti del 09-08-2018

Anniversario della morte dei fratelli Luciani - San Marco in Lamis
Carissimi,
noi non abbiamo parole che siano all’altezza di un evento così grave e importante come la morte. Il ricordo di Aurelio e Luigi continua a suscitare in noi il silenzio come linguaggio adeguato. Perché il dolore innocente?
Dio si ammanta di silenzio e si rivela nel profondo del cuore aiutandoci ad entrare nel significato della morte. E noi, nel silenzio adorante, ci lasciamo avvolgere da una luce che sorprende e abbaglia, perché silenzio e fede si fecondano insieme.
Ce lo ricorda la santa di oggi, Santa Teresa della Croce, morta innocentemente in un campo di concentramento: «La morte presenta al vivo davanti agli occhi dei discepoli l’immagine del Crocifisso, e la presenta, ancor oggi a chi legge o ascolta il Vangelo. Da esso si sprigiona un silenzioso richiamo che invita a una risposta. Gli inviti a seguirlo sulla via crucis della vita ci danno anche in mano l’adeguata risposta. Cristo fa dono della sua vita per aprire agli uomini l’entrata alla vita eterna ».
La morte è una esperienza che riguarda tutte le famiglie, senza eccezione alcuna. Fa parte della vita; eppure, quando tocca gli affetti familiari, la morte non riesce mai ad apparirci naturale. La perdita di una persona amata, ferma il tempo; si è aperta una voragine che inghiotte il passato e anche il futuro. La morte è uno schiaffo alle promesse, ai doni e sacrifici di amore gioiosamente consegnati alla vita.
La vostra famiglia, pur in questo lutto terribile, trova, però, la forza di custodire la fede e l’amore che vi uniscono ad Aurelio e Luigi. Essa impedisce, già ora, alla morte di prendersi tutto. Il buio della morte va affrontato con più intenso lavoro di amore. «Dio mio, rischiara le tenebre» (cf. Sal 17, 29).
In questa fede possiamo consolarci l’un l’altro, sapendo che il Signore ha vinto la morte una volta per tutte. Aurelio e Luigi non sono scomparsi nel buio del nulla. Come ricorda Santa Teresa della Croce: essi «hanno conquistato la vita eterna, sacrificando quella terrena…come la morte di un martire, hanno sparso il loro sangue per il messaggio di Cristo».
L’amore è più forte della morte. Per questo la strada è far crescere l’amore, renderlo più solido, e l’amore custodirà fino al giorno in cui ogni lacrima sarà asciugata, quando «non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno» (Ap 21,4).
Se ci lasciamo sostenere dalla fede, l’esperienza del lutto può generare una più forte solidarietà dei legami familiari, una nuova apertura al dolore di altre famiglie, una nuova fraternità con le famiglie che nascono e rinascono nella speranza.
Certo, non possiamo nascondere l’amarezza di fronte all’ingiustizia che ha causato la morte dei nostri cari. Aurelio e Luigi, persone della nostra cittadina, cresciuti con amore e fatica, lavoratori instancabili e preziosi, con famiglie che contavano su di loro, in un istante hanno incontrato la morte, per mano di malavitosi.
La corruzione non è un atto, ma uno stato personale e sociale, nel quale ci si abitua a vivere. I non-valori della corruzione, purtroppo, sono integrati in una cultura che coinvolge proseliti al fine di abbassarli al livello di complicità. Questa cultura si serve di un doppio dinamismo: dell’apparenza e della realtà, dell’immanenza e della trascendenza. L’apparenza è l’elaborazione della realtà, che mira a imporsi in una accettazione sociale la più generale possibile. È una cultura della sottrazione: si sottrae realtà a favore dell’apparenza. La trascendenza, poi, si avvicina sempre più al di qua, tanto da farsi quasi immanenza, avvolta da molta sfacciataggine, che si impone come prepotenza quotidiana.
La corruzione non può essere perdonata, semplicemente per il fatto che alla radice di qualunque atteggiamento mafioso c’è un rifiuto della trascendenza. Di fronte a Dio, che non si stanca di perdonare, il corrotto si erge come autosufficiente nell’espressione della sua salvezza e non chiede perdono.
Per un criminale il problema principale è il controllo del senso di colpa. Se si riesce a dominarlo, si è poi in grado di poter continuare a delinquere e a ottenere consenso, potere e, perché no, anche la “protezione” del Cielo. Il cristiano non può vivere con la morte nell’anima, neanche essere causa di morte
Convincersi che Dio è dalla propria parte, che comprende la ragione delle azioni mafiose e criminali, pronto al perdono per tutto quel che di delittuoso si compie, è una incredibile comodità. Ma se degli assassini non provano rimorso per quello che commettono, e di norma si fanno il segno della croce prima di ammazzare, vuol dire che la credenza religiosa si è trasformata in auto-assoluzione. Tale comportamento, intriso di analfabetismo religioso, porta a trascurare e oscurare le gravi responsabilità delle proprie scelte. Non ci può essere autentico pentimento senza riparare con gesti concreti e costosi l’ingiustizia commessa e il dolore procurato. Preghiamo anche per i cosiddetti “cristiani mafiosi”, perché il Signore tocchi la loro anima.
Di sicuro noi non ci sentiamo arresi e sconfitti, perché la vita non è un maledetto caso, ma un dono di amore che viene dall’alto. Rinasca quel coraggio che cancelli l’“impossibile” di fronte alle strutture di peccato, ai peccati sociali, ad una cultura libertaria che sembra tenere saldamente la piazza e scoraggiare ogni passo verso la giustizia e la solidarietà.
Comprendiamo, carissimi, che solo le lacrime diventano linguaggio di consolazione e di speranza. Esse, infatti,  svelano un aspetto dell’anima, e quasi la mettono a nudo. Sono l’eloquenza discreta dell’anima, la parte visibi­le, per quanto debole e trasparente, del nostro desi­derio. Esse uniscono mirabilmente interiorità ed este­riorità, corpo e anima: Che sono mai le parole? Una lacri­ma le supera tutte in eloquenza. Grazie alle lacri­me io posso vivere con il dolore perché, piangendo, mi do un interlocutore che riceve il messag­gio “più vero”: quello del mio corpo e non già quello della mia lingua.
La perdita del genitore, di chi si è amato, non cancella il valore e l’in­tensità di ciò che si è costruito insieme. La morte dunque non solo può essere detta a partire dalla vita: essa anche parla alla vita, per questo è così dolorosa.
«Confidate! Abbiate fiducia!» (Gv 16,33). E la Parola che il Signore rivolge stasera anche a noi. Come dobbiamo vedere in tutto quello che Egli ha compiuto in ciascuno di noi, la caparra dì un amore immenso che ci verrà donato domani; di una forza immensa che ci trascinerà do­mani sempre più su, in una purezza luminosa, in una semplicità sempre più grande, in un amore più potente.
Che cosa volete che io vi dica se non precisamente questa sola parola? Abbandonatevi a Dio, lasciate che Egli vi por­ti e faccia di noi quello che vuole.
Il Signore compirà per noi il Suo disegno di amore e ci farà santi, come santa è stata l’esistenza di Aurelio e Luigi che hanno donato se stessi nell’intimità della famiglia; si sono sacrificati notte e giorno senza lamentarsi mai e senza chiedere nulla in cambio; hanno guardato gli anni della vita con gli occhi di Dio e hanno saputo tessere relazioni di tenerezza essenziali per la gioia.
La Vergine Maria, sempre accanto alle croci dell’umanità, accompagni e protegga le vostre famiglie. Impariamo da Lei a vivere con la mano nella mano del Signore.
† Vincenzo Pelvi