OMELIE

Iniziare e accompagnare

Omelia di Mons. Ferretti del 21-10-2018

Giornata diocesana dei Catechisti - Santuario Incoronata - Foggia
Il pluralismo religioso, il confronto con le religioni orientali e l’islam, la secolarizzazione, la privatizzazione del fatto religioso, la confusione e l’incertezza in cui vive l’uomo di oggi, la crisi della metafisica e della ragione sono coordinate entro cui il cristiano deve vivere oggi la propria fede e annunciarla agli uomini del nostro tempo. Senza lasciarci spaventare o scoraggiare, dobbiamo prendere consapevolezza delle difficoltà anche aggravate dal materialismo e dal consumismo, proteso all’accumulo di danaro e al godimento dei beni materiali, per cui il benessere e il piacere sono considerati i valori più alti dell’esistenza. In un tale clima la fede cristiana, che proclama il primato di Dio e dei valori spirituali e pone come fine della vita la partecipazione alla felicità in Dio nella vita eterna, perde ogni interesse e diviene anzi incomprensibile. Nel passato, in tempo di cristianità, nascere e divenire cristiano andavano insieme. La fede si trasmetteva con l’ambiente culturale; la dottrina si offriva nella modalità di un triplice “si deve”: le verità da credere, i comandamenti da osservare e i sacramenti da ricevere. Al contrario, con l’avvento della modernità, ciò che la società trasmette non è più la fede, ma la libertà religiosa del cittadino. Tra l’altro emerge un secondo momento della secolarizzazione: non solamente la secolarizzazione della vita pubblica, ma della stessa vita privata, per cui si verifica una consistente presa di distanza dalle istituzioni religiose, dalle loro credenze e pratiche. Non è che le domande di senso o le aspirazioni spirituali scompaiono. Ma ciò che regna è piuttosto la perplessità, il bricolage delle credenze, dei percorsi ogni volta “singolarizzati” in un mondo complesso. In questo contesto le rappresentazioni della fede cristiana che abitano gli animi sono spesso a pezzi, caotiche e parziali; non permettono di rendere la fede leggibile o desiderabile; addirittura a volte la rendono odiosa. A nessuno sfugge come la pratica religiosa sia di pochi, salvo affidarsi a forme devozionali e rifugiarsi in esperienze pseudo-religiose. La larga maggioranza non si pone contro, ma sta imparando a vivere senza il Dio del Vangelo e senza la Chiesa. Penso ai nostri giovani indifferenti alla religione, ai quali genitori e nonni, lontani e increduli, non ritengono più utile annunciare Gesù Cristo. Purtroppo gli adulti si accaniscono a voler chiedere: “chi sono io?”, dimenticando che si vive in relazione agli altri e che è importante domandare: “per chi sono io?”. Difatti si oscura quella dinamica vocazionale, che è seminata in ogni persona e non si risponde al senso della vita con la responsabilità di una relazione (anche verso le nuove generazioni) diventando figure demotivate e poco autorevoli, senza una chiara identità umana, una solida appartenenza ecclesiale, una visibile qualità spirituale, una vigorosa passione educativa e una profonda capacità di discernimento. I sintomi della crisi sono evidenti anche nel nostro territorio: diminuzione del numero di praticanti, meno bambini catechizzati, crisi delle vocazioni sacerdotali, comunità stanche; nelle nostre famiglie tante persone, poco a poco, sono divenute estranee alla fede. Ma si osservano anche evidenti segni di vitalità: un crescente numero di catecumeni e di battesimi di adulti, la moltiplicazione della formazione teologica e pastorale per i laici, progetti di catechesi rinnovati, l’impegno dei laici, nuove iniziative nei media, grandi raduni. Si vedono affermarsi un bisogno di spiritualità, un appello ai valori, un affinamento della coscienza etica insieme ad una ricerca di senso. Si ricerca un nuovo equilibrio tra la religione e la laicità. I temi religiosi ed interreligiosi sono discussi con grande interesse. Ogni cultura è evangelizzabile, e, a questo riguardo, la disponibilità a riascoltare il Vangelo in modo nuovo è sempre molto presente. Lasciamoci inquietare, perché rischiamo di diventare Chiesa: senza ragazzi e giovani, che assieme ai genitori ci lasciano al termine del percorso di Iniziazione cristiana; con famiglie che rinunciano ad un legame significativo con il mondo ecclesiale; con adulti, ministri istituiti e non, che frequentano parrocchie, associazioni, gruppi e movimenti, senza incarnare nelle loro case e nello spazio pubblico la gioia del Vangelo. Opportunamente dichiara Papa Francesco: «Fratelli e sorelle, nell’ovile abbiamo una pecora; ci mancano le 99! Dobbiamo uscire, dobbiamo andare da loro…è una responsabilità grande. È più facile restare a casa con quella pecorella, pettinarla, accarezzarla…ma noi preti, anche voi cristiani, tutti: il Signore ci vuole pastori! E quando una comunità è chiusa, sempre tra le stesse persone che parlano, questa comunità non è una comunità che dà vita» (Alla Diocesi di Roma, 17 giugno 2013). Tutto ciò spinge ad approfondire maggiormente e fortificare la fede cristiana, anche in vista di nuove vie di evangelizzazione nel mondo che cambia, dove non è scomparsa la sete di Dio e dove l’incontro con Gesù morto e risorto, nella preghiera e nell’esercizio della carità, può dare all’uomo la pienezza di vita su questa terra e aprirlo alla gioia futura. In realtà, la fede non è un concetto astratto, ma una realtà vivente. Di per sé non esiste la fede, ma il credente, colui che vive in quel particolare atteggiamento dello spirito che è la fede. Perciò, come ogni realtà vivente, la fede ha una sua vita: nasce, cresce, si sviluppa, matura e fruttifica; oppure, non riesce a crescere e a svilupparsi, ma si indebolisce, entra in crisi e muore. Di qui la responsabilità del credente. La fede ha bisogno di essere coltivata e nutrita. Come? Anzitutto con la preghiera, poi, con la purificazione del cuore dal peccato, con la vita sacramentale, le opere di carità e le diverse forme di forti esperienze di Dio (momenti di silenzio durante la giornata, tempo di meditazione personale, giornata di spiritualità…). È molto difficile sviluppare una fede adulta e matura se non si coltiva la vita interiore e non si partecipa a momenti di spiritualità. Il che richiede il passaggio dalla fede tradizionale a quella personale mediante una vera e propria conversione. Convertito è colui che prende coscienza di ciò che la fede esige sul piano intellettuale (l’accettazione di verità che superano la ragione umana e trascendono l’intelligenza); sul piano della libertà (il dono della propria libertà a Cristo e la rinuncia a cercare in se stesso o in altre religioni la propria salvezza, poiché Cristo è l’unico salvatore degli uomini); sul piano esistenziale (l’impegno a vivere da cristiano e camminare in una vita nuova). Soprattutto oggi in un contesto di indifferenza religiosa, penso al catechista come colui che si è messo al servizio della Parola di Dio, che questa Parola frequenta quotidianamente per farla diventare suo nutrimento e poterla così partecipare agli altri con efficacia e credibilità. Il catechista sa che questa Parola è «viva» (Eb 4,12) perché costituisce la regola della fede della Chiesa (cfr. Dei Verbum, 21; Lumen gentium, 15). Il catechista, di conseguenza, non può dimenticare che la sua parola è sempre un primo annuncio. Che arriva a toccare il cuore e la mente di tante persone che sono di attesa di incontrare Cristo. Anche a loro insaputa, ma sono in attesa. «E quando dico primo annuncio – afferma Papa Francesco – non lo intendo solo in senso temporale. Certo, questo è importante, ma non è sempre così. Primo annuncio equivale a sottolineare che Gesù Cristo morto e risorto per amore del Padre, dona il suo perdono a tutti senza distinzione di persone, se solo aprono il loro cuore a lasciarsi convertire! Spesso non percepiamo la forza della grazia che, anche attraverso le nostre parole, tocca in profondità i nostri interlocutori e li plasma per permettere loro di scoprire l’amore di Dio. Il catechista non è un maestro o un professore che pensa di svolgere una lezione. La catechesi non è una lezione; la catechesi è la comunicazione di un’esperienza e la testimonianza di una fede che accende i cuori, perché immette il desiderio di incontrare Cristo. Questo annuncio in vari modi e con differenti linguaggi è sempre il “primo” che il catechista è chiamato a realizzare!»
Iniziare: una mentalità da acquisire
Nell’attuale situazione dei percorsi formativi merita di essere incoraggiata e sostenuta una nuova mentalità per avviare un cammino di crescita nella fede. Questo aspetto racchiude innanzitutto il passaggio da una logica dell’organizzazione (fissare strutture, incontri, date, scadenze, istruzione da gestire) a quella delle relazioni attraverso le quali una comunità cristiana educa alla fede (relazioni con la persona, la famiglia, l’ambiente di lavoro). Al centro della pastorale non ci può essere solo l’organizzazione dell’itinerario, ma piuttosto l’accompagnamento della persona che desideriamo introdurre nell’esperienza cristiana. Si tratta di privilegiare l’annuncio e l’accoglienza più che la richiesta di sacramenti o gli obblighi da adempiere. Modello di riferimento di tale scelta è la logica catecumenale, percorso di maturazione mediante il quale la comunità cristiana introduce nella vitalità dell’incontro con Cristo. Nasce così una pastorale di “accompagnamento” che si pone al servizio della fede, misurandosi con le sfide, le necessità e i passi da fare nella iniziazione cristiana.
Accompagnare: esperienza di incontro
Impegniamoci nell’accompagnare, attivamente, con discernimento e competenza, una rigenerazione di cui non siamo i padroni. Cogliere, cioè, le nuove opportunità che si offrono, discernere le aspirazioni, pesare le cose, prendersi il tempo necessario, fidandoci di forze che non sono le nostre, consapevoli che l’essere umano è “capace di Dio”. La fede non si trasmette senza di noi; ciononostante, non abbiamo il potere di comunicarla. Il nostro compito è vegliare sulle condizioni che la rendono possibile, comprensibile, praticabile e desiderabile. L’accompagnamento è attento alle condizioni; il resto è questione di grazia e libertà. «Il seminatore è uscito a seminare; dorma o vegli, il seme cresce e, come, egli non lo sa» (Mc 4,26-27).
Atteggiamenti per l’accompagnamento:
- Il primo aspetto per una pastorale di accompagnamento è chiedersi non come annunciare il Vangelo, ma cosa il Vangelo dice a me oggi. Noi pure siamo i destinatari, anche se spesso non ce ne rendiamo conto e agiamo come proprietari che hanno il compito di trasmettere la Parola agli altri. Il Vangelo mette in guardia pastori e fedeli: essi possono mettersi in una condizione per cui, annunciando il Vangelo, non si lasciano più evangelizzare. La pretesa di sapere, la tentazione del potere possono rendere ciechi. Conosciamo alcune pratiche pastorali che, nonostante siano portate avanti con zelo in nome del Vangelo, esprimono più autoreferenzialità, la volontà di potere o la nostalgia del passato che la stessa Buona Notizia. Da qui l’importanza per l’evangelizzatore di rimanere instancabilmente destinatario del Vangelo.
-  Se rimaniamo destinatari del Vangelo, Cristo abita in noi e ci spinge a uscire dalle nostre case, lasciando il nostro ambiente e andando nel luogo dell’altro dove Egli ci precede. In effetti siamo sempre preceduti dallo Spirito di Cristo dovunque andiamo. Non portiamo agli altri ciò che non hanno, ma li raggiungiamo sulla loro strada, per scoprire con loro le tracce del Cristo risorto già presente. La fede è un cammino di riconoscimento di chi si è già donato.
- Le nostre comunità parrocchiali devono essere accoglienti. Ma in questo invito ad essere accoglienti verso gli altri non  c’è una posizione di superiorità nei loro confronti, quasi a dire: «Venite a trovare da noi ciò che non avete da voi»? Bisogna non tanto cercare di accogliere l’altro presso di sé, quanto assumere il rischio di lasciarci accogliere da lui, affidandosi e fidandosi: «Zaccheo, oggi devo fermarmi a casa tua» (Lc 19,5). 
- Nell’incontro con l’altro, è opportuno distinguere un duplice annuncio: il primo riprende la predicazione di Gesù, il secondo è una predicazione su Gesù. In cosa consiste la predicazione di Gesù? Egli chiamava le persone a una più grande umanità, alla fraternità e al riconoscimento, dentro l’esperienza di comunione, di quella potenza di grazia che dona vita e che ci fa invocare Dio come nostro Padre. Umanità, fraternità, filiazione: tale è l’oggetto della predicazione di Gesù, tutta centrata sul Regno di Dio che si è avvicinato gratuitamente a noi. «Questo Gesù che voi avete crocifisso, Dio lo ha costituito Signore e Cristo» (At 2,36). In tal modo si dispiega, a partire dalla confessione pasquale, la predicazione dei cristiani su Gesù.
Una pastorale di accompagnamento si ispira al metodo di Gesù che accosta i discepoli di Emmaus per condurre, lungo il cammino, a rendersi conto della fede nella sua resurrezione.
È opportuno, poi, sottolineare il rischio di pastori e fedeli, di noi catechisti, di volere che l’altro creda “come noi”. Il rischio, allora, è di bloccare l’accesso alla fede con le nostre strettezze, imponendo il percorso e la nostra modalità di abitare la fede. Era già la tentazione dei giudei convertiti al cristianesimo, che volevano imporre ai pagani divenuti cristiani le loro tradizioni e costumi (cfr. At 15,19). Le parole dell’apostolo Giacomo, all’uscita del Concilio di Gerusalemme, dovrebbero ispirarci incessantemente il necessario rispetto dell’altro, perché possa divenire discepolo di Cristo. A questo proposito, la sfida delle chiese oggi, spesso bloccate dalle loro tradizioni, è di lasciar nascere ciò che è differente. È del resto la posta in gioco di una pastorale di rigenerazione che accolga le aspirazioni e la singolarità delle persone e faciliti così la fantasia dello Spirito nel vissuto quotidiano
- Spesso l’evangelizzazione è concepita a partire dalle nostre forze e ricchezze. Ma perché l’evangelizzazione dovrebbe avvenire quando si è forti e non quando si è deboli? Cosa fare, in un tempo di trasformazioni come il nostro, nel quale siamo presi dentro uno sconvolgimento che non controlliamo e dove ci sembra che ci manchino le forze? Era già la domanda dei discepoli a Gesù, quando facevano l’inventario del poco che possedevano per far fronte, in pieno deserto, ai bisogni delle folle: «Ma cos’è questo per tanta gente?». L’essenziale è apportare il poco che si ha e chiedere aiuto: è la sola soluzione a disposizione. «Chiedete e vi sarà dato», «Bussate e vi sarà aperto». Altrettanto, nella nostra missione di evangelizzazione, dobbiamo avere il coraggio di rivolgerci ad altri per chiedere aiuto e consigli, non solo in seno alla comunità cristiana ma anche fuori.                
Cosa fare in concreto?
- È necessario innanzitutto rendere la comunità parrocchiale un centro di evangelizzazione, cioè una comunità gioiosa, unita, solidale con i poveri, che mostra come la fede cristiana rende più vera, più giusta e bella la vita personale, familiare e sociale, rinnova i rapporti di amicizia, dà senso alla fatica del lavoro, all'impegno educativo e all'azione sociale.
- In secondo luogo è necessario formare i cristiani praticanti e renderli capaci di incontrare i non credenti là dove questi vivono, per stabilire con loro rapporti di amicizia e di dialogo e per comunicare loro la propria esperienza di fede. Oggi più che mai si rende urgente un’evangelizzazione casa per casa, un accostamento personalizzato, capillare, al messaggio cristiano
- In terzo luogo occorre dar vita a tutte le iniziative di evangelizzazione che servono a proporre il Vangelo ai non credenti ed agli indifferenti, a partire dalla valorizzazione delle occasioni offerte dalla vita di ciascuno e soprattutto dalla valorizzazione dei momenti nodali dell’esistenza (nascita, scelte di fondo, malattia, morte, ecc.).
- A modo di esempio, si propongono alcune opportunità da valorizzare, soprattutto per l’evangelizzazione degli adulti: la richiesta dei sacramenti. La richiesta dei sacramenti (per sé o per i figli) è una preziosa occasione per annunciare Cristo. Di solito le persone, in queste occasioni, sono più disponibili a riscoprire il messaggio cristiano, che non in altri momenti; gli itinerari biblici di iniziazione cristiana. Essi sono efficaci per il clima familiare che crea l’ascolto della Parola, per l’esperienza di comunione che fa vivere, per ispirare con le scelte evangeliche i problemi della vita quotidiana; la centralità dell’Anno liturgico che permette di attualizzare, rivivere e annunciare gli eventi della persona e della vita di Cristo. Ciò porta a collocare anche le solennità liturgiche e le espressioni della religiosità popolare nell’ottica della sequela di Cristo, come via di evangelizzazione; le iniziative caritative, sociali e culturali che costituiscono delle occasioni preziose per riproporre il nucleo fondamentale del messaggio cristiano.
Itinerari di rievangelizzazione degli adulti
Le persone che si accostano alla comunità cristiana per chiedere i sacramenti e nel momento della malattia si trovano a vivere nelle situazioni più diverse: giovani che chiedono di completare il percorso di iniziazione cristiana e di riceve il sacramento della Confermazione. È importante aiutarli a fare una scelta personale e consapevole della vita cristiana; fidanzati che desiderano celebrare il matrimonio in chiesa: vanno aiutati a percorrere un itinerario di riscoperta della fede cristiana anche dopo aver celebrato il rito in chiesa; genitori che si accostano per il Battesimo e l’iniziazione cristiana per i loro figli: è necessario coinvolgerli nella riscoperta della fede cristiana e aiutarli a vivere la fede in famiglia; penitenti che celebrano il sacramento della Riconciliazione dopo molti anni di lontananza da Cristo e dalla Chiesa. Occorre proporre loro una più approfondita esperienza ecclesiale.
Per queste persone è necessario dare vita a esperienze significative di ricerca e di ascolto, a percorsi di esplicitazione delle domande profonde, in una parola a veri e propri itinerari di riscoperta della fede... Si tratta di opportunità che esigono tempi prolungati e che hanno nel modello catecumenale il loro punto di riferimento.
A riguardo, proporrei qualche criterio circa la rievangelizzazione dei genitori nell’iniziazione cristiana dei figli.
- Evangelizzare i genitori significa aiutarli a scoprire ciò che essi sono diventati grazie al sacramento del matrimonio. La famiglia è oggetto della benedizione divina. Il Signore dice bene della famiglia, l’ha scelta come specchio della Trinità, come segno del suo amore per l'umanità, come segno dell’amore di Cristo per la Chiesa, come segno e strumento del Regno.
- Evangelizzare i genitori significa far risaltare la parola del Signore dai segni di amore, di pazienza, di ospitalità, di generosità che essa vive in sé. La vita familiare è il libro in cui si possono rileggere le tappe fondamentali della storia della salvezza e i segni della presenza e dell’amore di Dio. Ad esempio: gli sposi hanno vissuto l’esodo e hanno sperimentato il cammino nel deserto; sperimentano il dono della terra promessa, vivendo la fedeltà coniugale; vivono il mistero del Natale, accogliendo i figli; annunciano il Regno di Dio con la vita di famiglia e rivivono l’esperienza pasquale di Cristo; la Pentecoste con l’accoglienza di tutti e prolungano l’eucaristia domenicale in casa; preparano le celebrazioni liturgiche della comunità attraverso le feste di famiglia vissute con fede; testimoniano l’amore di Dio con i gesti di carità verso i poveri e l’attenzione ai problemi sociali; annunciano Dio quando benedicono e pregano con i figli, parlano di Lui e lo riconoscono nella vita quotidiana.
- Evangelizzare i genitori significa coinvolgerli nella vita di carità e di servizio. La Parola del Signore deve riecheggiare prima di tutto nei gesti della carità e del servizio vissuti in famiglia e nella comunità parrocchiale, per essere accolta quando viene annunciata nella catechesi.
Conclusione
       La nostra Chiesa possa essere sempre più una comunità credente e credibile, dallo sguardo attento e profondo sul mondo che cambia, armonizzando nei suoi orientamenti pastorali l’esistenza umana e la sapienza di Dio. Ciò di cui abbiamo soprattutto bisogno in questo momento della storia sono uomini che, attraverso una fede illuminata e vissuta, rendano Dio credibile in questo mondo. La testimonianza negativa dei cristiani che parlavano di Dio e vivevano contro di Lui ha oscurato l’immagine di Dio e ha aperto le porte dell’incredulità. Abbiamo bisogno di uomini che tengano lo sguardo dritto verso Dio, imparando da lì la vera umanità. Abbiamo bisogno di uomini il cui intelletto sia illuminato dalla luce di Dio e a cui Dio apra il cuore, in modo che il loro intelletto possa parlare all’intelletto degli altri e il loro cuore possa aprire il cuore degli altri. Soltanto attraverso uomini toccati da Dio, Dio può far ritorno presso gli uomini.
Vorrei concludere con le parole di Papa Francesco, rivolte in occasione della canonizzazione di sette nuovi santi lo scorso 14 ottobre: «Chiediamoci a che punto siamo nella nostra storia di amore con Dio. Ci accontentiamo di qualche precetto o seguiamo Gesù da innamorati, veramente disposti a lasciare qualcosa per Lui? Gesù interroga ciascuno di noi e tutti noi come Chiesa in cammino: siamo una Chiesa che soltanto predica buoni precetti o una Chiesa-sposa, che per il suo Signore si lancia nell’amore? Lo seguiamo davvero o ritorniamo sui passi del mondo, come quel tale? Insomma, ci basta Gesù o cerchiamo tante sicurezze del mondo? Chiediamo la grazia di saper lasciare per amore del Signore: lasciare ricchezze, lasciare nostalgie di ruoli e poteri, lasciare strutture non più adeguate all’annuncio del Vangelo, i pesi che frenano la missione, i lacci che ci legano al mondo. Senza un salto in avanti nell’amore la nostra vita e la nostra Chiesa si ammalano di “autocompiacimento egocentrico” si cerca la gioia in qualche piacere passeggero, ci si rinchiude nel chiacchiericcio sterile, ci si adagia nella monotonia di una vita cristiana senza slancio, dove un po’ di narcisismo copre la tristezza di rimanere incompiuti».