OMELIE

Come bambini che ragionano con il cuore

Omelia di Mons. Ferretti del 25-12-2018

Carissimi,
cosa offro a te, in questo giorno santo, Signore Gesù, che ti sei mostrato sulla Terra, per noi, come uomo? Ogni creatura ti porta il proprio ringraziamento: gli angeli, il loro canto; i cieli, le stelle; i magi, i loro doni; i pastori, il loro stupore; la terra, la grotta, il deserto, la mangiatoia. E io che cosa ti offro? Forse il vuoto del cuore, l’aridità della mia fede, l’ipocrisia della mia vita. Ti porto il lusso, la vanità, il piacere, il divertimento, la mondanità di queste giornate della nostra Chiesa e della Città. Come i pastori, devo andare a Betlemme a vedere cosa succede; intraprendere, cioè, un cambiamento di vita, iniziare un viaggio, compiere un passaggio nella mia esperienza di ateo-credente, lasciando ciò che è sicuro per questo mondo e abbandonarmi a un coraggioso orizzonte di vita spirituale. Mi piace allontanare le immagini dell’evangelista che racchiudono il riferimento alla grande luce, al cantico di pace, alla contemplazione del Bambino, per soffermarmi sulla fatica del viaggio di Maria e Giuseppe, da Nazaret a Gerusalemme, sul rifiuto ricevuto da Giuseppe che cerca un posto dove far nascere il Primogenito, sul freddo della notte e sul disinteresse con cui il mondo accoglie il Figlio di Dio. Non è quello di allora lo stesso grigiore, lo scetticismo, la superficialità evidenziata dalle gravissime ingiustizie presenti ieri come oggi nel mondo? Il contesto del primo Natale, come quello del 2018, è di oscurità, dolore, solitudine, nonostante i bagliori luccicanti, i regali e le cene. Basti pensare all’urlo di bambini ammalati e denutriti, di giovani disorientati e spenti, di famiglie senza casa, di anziani abbandonati, di fratelli fuggiti dalla propria terra che respirano paura e rifiuto. Tutto questo è il nostro peccato. Abbiamo mondanizzato il Natale escludendo Gesù, il festeggiato, che “venne tra i suoi, ma i suoi non l’hanno accolto” (Gv 1,11). Non posso incolpare il mondo, ma ricordare che Gesù chiede di non farci trascinare e di vegliare pregando. Il Natale cristiano è buono se interiore, celebrato nel silenzio, dentro la coscienza fatta attenta e preziosa. Gesù non lo conosco. Gli posso chiedere: chi sei e cosa vuoi? Ascoltando la coscienza, avverto che Egli è il mio sogno, il mio desiderio, il mio amore, il senso della vita, il futuro positivo della storia violenta e insanguinata. Natale diventa, così, impegno a crescere nell’amicizia di Gesù. È possibile se facciamo tesoro di una massima dell’Imitazione di Cristo: “di tanto progredirai nella conoscenza di Dio, di quanto sarai capace di fare violenza a te stesso” (I,25.52). Rinunciare all’amore dell’io e lasciarsi andare all’amore di Dio è la chiave dello sforzo spirituale che mette ordine nel passato, interpreta il presente e lascia che Gesù infiammi di bene la vita. Il Signore, infatti, insegna a guardare le cose non per quelle che sono, ma per ciò che rappresentano: sono creature che richiamano il Creatore; sono belle e riflettono la bellezza divina; sono vere e dicono la verità tutta intera. In questo Natale, Gesù mormora nel nostro animo: sono la Parola, l’Amico, la Luce, la Vita, il Pastore buono, il Bambino che giace nella mangiatoia e ti accompagna nell’intimità divina. Dio ha voluto avvicinarsi a noi, vulnerabile come un fanciullo e noi possiamo presentarci a Lui con il viso e il cuore di bambini. La santità è tutt’altro che chiusura in se stessi. Essa è apertura e disponibilità del Bambino che sorprende e tutto rende possibile, come quel grazie che non ti aspetti e che arriva diritto o come il profumo di una speranza che si accende nel buio del dolore. Ora è il tempo del mio Natale: Cristo nasce perché io nasca. La nascita di Gesù vuole la mia nascita dallo Spirito di Dio, perché sia sempre piccolo, libero e così umile da ragionare con il cuore. Buon Natale perché Dio è con noi, non siamo soli, non lo saremo mai.