OMELIE

Custoditi dall'Amore

Omelia di Mons. Ferretti del 01-04-2015

OMELIA DELLA MESSA CRISMALE

CATTEDRALE - 1 APRILE 2015

Carissimi amici della Chiesa di Foggia-Bovino

Cari sacerdoti,

ringrazio il Buon Pastore per la gioia spirituale che oggi dona a tutti noi, in questo momento sacramentale, nel quale facciamo memoria del sacerdozio, esprimendo anche visibilmente la grazia della comunione presbiterale.

            Da questa Cattedrale, rivolgiamo al Santo Padre il pensiero e il cuore con sentimenti di affetto, gratitudine, ammirazione e preghiera.

            Un saluto speciale a Sua Eccellenza Mons. Francesco Pio che, come Arcivescovo emerito, continua ad essere legato alla nostra Chiesa e a far parte del nostro presbiterio.

            Seguendo la tradizione di rivolgerVi la parola nel giorno in cui ci raduniamo nella Cattedrale per il dono incommensurabile dell'Eucaristia, desidero rinnovare i miei sentimenti di gratitudine per il vostro generoso ed instancabile servizio ecclesiale nella Chiesa di Foggia-Bovino.

            Un pensiero riconoscente desidero far pervenire ai sacerdoti ammalati, anziani e a coloro che, pur non avendo più le energie fisiche per l'esercizio ministeriale, restano guide forti e sagge per il mio ministero episcopale in Diocesi. Non possiamo, poi, dimenticare i confratelli impegnati come fidei donum, quanti vivono momenti di difficoltà o di crisi e coloro che ci hanno lasciato e partecipano a questa celebrazione nella luce della gloria di Dio.

Nell’intimità dell’Ultima cena, dopo aver rivolto ai suoi parole di sofferenza e tenerezza, di conforto e consolazione per l’imminente distacco, Gesù, commosso profondamente, apre il cuore al Padre per consegnargli se stesso e i discepoli.

La preghiera risuonata in quell’Ora e in quel luogo non si è spenta, ma sino alla fine dei tempi aiuta a comprendere una storia d’amore che si gioca in Dio stesso. Dio è amore e chi vive questo amore vive di Dio ed è in Dio, come Dio in lui.

«Consacrali nella verità; la tua parola è verità». Essere immersi nella Verità e, così, nella santità di Dio significa accettare il carattere esigente della verità; contrapporsi nelle cose grandi come in quelle piccole alla menzogna, che in modo così svariato è presente nel mondo. Unirsi a Cristo suppone la rinuncia, l’abbandono in Lui, ovunque e in qualunque maniera Egli voglia servirsi di noi.

Nella preghiera sacerdotale, il Signore ha pensato a noi, affidandoci al Padre con una impressionante sollecitudine: «Custodiscili nel tuo nome: io ho dato loro la tua parola e il mondo li ha odiati… che tu li custodisca dal maligno».

Chiamati a celebrare il mistero della fede, misterium pietatis, non possiamo non contrastare il misterium iniquitatis, gli attacchi e le insidie del maligno. «Se il mondo vi odia, prima di voi ha odiato me… Se hanno perseguitato me perseguiteranno anche voi» (Gv 15,18.20). Gesù è particolarmente preoccupato della potenza del mondo e della possibile influenza sui discepoli. Nel mondo opera il tentatore che, con il suo spirito di menzogna, circuisce e combatte la verità che è Cristo.

Non sempre, infatti, sappiamo discernere i sottili inganni del male dalla volontà di Dio. Il mondo delle libertà, delle uguali possibilità concesse a tutte le opinioni e modi di vivere ha un suo fascino. Abbiamo l’abitudine alla tolleranza, al permissivismo, alla laicità, alla trasgressione, alle mode che sono offerte come normali, al gusto dello scandalo e della ipocrisia che sembra abbiano il diritto esclusivo di circolazione su qualsiasi mezzo di informazione.

Noi cristiani siamo chiamati a vivere nella compagnia degli uomini ma a rompere con la mondanità. Non possiamo conformarci all’ideologia dominante né sottometterci alle potenze di questo mondo (cf. Ef 6,12): restando fedeli alla terra, cerchiamo di conformare le nostre vite alla vita umana di Gesù. Nostro dovere è, dunque, prendere posizione riguardo alla mondanità: se infatti cediamo ad essa, non può esserci in noi l’amore che scende da Dio, perché quest’ultimo può solo risolversi in amore dei fratelli e delle sorelle, non degli idoli. La forza seducente della tentazione rende noi presbiteri martiri o idolatri (cf. Origene, Esortazione al martirio 32,4-5).

L’evangelista Giovanni fornisce un ritratto chiaro della mondanità: «tutto ciò che è del mondo - la voracità della carne, la pretesa degli occhi, l’arroganza della vita - non viene dal Padre, ma dal mondo» (1Gv 2,16). Voracità di ricchezza, di potere, di piacere, di gloria. Anche noi possiamo essere attratti a soddisfare il nostro egoismo, trasformarlo in bisogno impellente, spinti alla brama di possesso. L’accumulo di denaro o di beni diviene un fine a se stesso, in vista del quale tutto è giustificato. La logica che presiede a tale insaziabile smania è quella mortifera del tutto e subito.

E, ancora, l’arroganza che ci deriva dalle conoscenze, amicizie; la pretesa quotidiana che l’io sia da affermarsi contro o sopra gli altri; la ricerca della gloria ad ogni costo, l’ostentazione narcisistica di una sicurezza che si rivelerà falsa.

«L’amore della mondanità ti travolge? Tieniti stretto a Cristo… Se ricorderete queste parole (quelle pronunciate da Gesù in risposta a satana) e le praticherete non avrete in voi la concupiscenza mondana, non vi domineranno cioè né la voracità della carne, né la pretesa degli occhi, né l’ambizione terrena; allora farete maggiormente posto in voi alla carità, e così amerete Dio… Conservate l’amore di Dio affinché restiate in eterno, così come Dio è eterno: ciascuno è infatti tale, quale il suo amore» (S. Agostino, Commento alla prima Lettera di Giovanni II, 10.14).

«Ben volentieri - dice l’Apostolo - mi vanterò delle mie debolezza, perché dimori in me la potenza di Cristo. O beata debolezza, colmata dalla potenza di Cristo! Chi mi concederà non soltanto di essere debole, ma anche di perdere ogni mia forza, anzi di perdermi, per essere ristabilito dalla potenza del Signore onnipotente» (San Bernardo, Discorsi sul Cantico, XXV,7).

Il sacerdote da servo sofferente e intercessore si trasforma in servo offerente. Egli non teme il mondo, perché unto dallo Spirito del Risorto che dona franchezza nell’annunciare il Vangelo, nel patire per il nome di Gesù e, con la grazia divina, nel superare ogni scoraggiamento e solitudine. «Tieniti dunque stretto, in vita e in morte, a Gesù, e affidati alla fedeltà di lui, che solo ti potrà aiutare, allorché gli altri ti verranno meno» (Imitazione di Cristo, Libro II c. VII).

«Sono tuoi»: così parla stasera Gesù di noi al Padre. Ci chiama «gli uomini che mi hai dato dal mondo… - e aggiunge - Per loro io consacro me stesso». Il crisma di consacrazione fu il suo sangue; con lui sulla croce diventiamo offerta pura e santa, ferma confessione di fede, segno luminoso di speranza, ardente testimonianza di amore. Gesù non chiede al Padre che noi diventiamo esperti e competenti nel fare questa o quell’opera, ma che rimaniamo uniti a lui, che siamo una cosa sola con lui e con il Padre, nel vincolo dell’amore che è lo Spirito Santo. Avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino al segno supremo (cf. Gv 13,1).

Il «tutto è compiuto» (Gv 19,30) è la linfa vitale che ci immerge nella perfezione dell’unità; il consummatum est  feconda il consummati in unum. L’amore ha consumato tutto Gesù, perché ciascuno si consumi in lui e per lui e il mondo creda.

Di qui l’impegno, quasi un comandamento, a lasciare qualche attività a vantaggio dei fedeli per incontrarsi almeno mensilmente con i confratelli e costruire un presbiterio più saldo e unito. Ciò non indebolisce il ministero, ma lo fa crescere in qualità di bene e lo feconda di benedizione. So bene che negli appuntamenti presbiterali, emergono sensibilità diverse e qualche contrasto. Ciò non deve scoraggiarci. Quello che dispiace è la scarsa volontà di affrontare le divergenze e le differenze con il metodo della correzione fraterna che impedisce il radicarsi delle incomprensioni, che generano diffidenza e divisione.                    Pazienza, amoroso silenzio, presenza assidua e fattiva partecipazione valgono più di ogni altra cosa, convinti che il Padre che vede nel segreto ci ricompenserà.                                 

«Non separarti dalla Chiesa. Nessuna potenza ha la sua forza. La tua speranza è la Chiesa. La tua salvezza è la Chiesa. Il tuo rifugio è la Chiesa. Essa è più alta del cielo e più grande della terra. Essa non invecchia mai: la sua giovinezza è eterna» (San Giovanni Crisostomo, Omelia de capto Eutropio, cap. 6; PG 52, 402).

Apriamoci, fratelli, a una prospettiva di letizia pasquale, carica di speranza per il futuro. Il Signore risorto quando manda i suoi li accompagna sempre con le parole: «Non temete» e «Io sono con voi» (cf. Mt 28,10.20). E’ la certezza della presenza di Cristo che rende serena e fiduciosa la missione, pur in mezzo a difficoltà e limiti. Il suo invito a non temere ci spinge in ogni luogo e situazione. In questo spirito potremo vivere la comunione ecclesiale che allarga gli spazi, rompe i ghetti, supera le visioni parziali e rende solidali pastori e popolo.          
 

Signore Gesù,          
chiamandoci al sacerdozio,
tu ci hai amati
di là d’ogni desiderio del nostro cuore;
tu ci hai onorati
di là d’ogni nostro merito;
tu ci hai dato fiducia
di là d’ogni nostra affidabilità.
Aiuta, Pastore buono,
le nostre vite sacerdotali:
aggiungi un po’ di sapienza
alla povera luce delle nostre parole;
aggiungi un po’ di merito
allo scarso valore della nostra offerta;
aggiungi un po’ di fascino
alla debole presa della nostra testimonianza;
soprattutto, riaccendi, oggi e per sempre,
un’improvvisa speranza
sul nostro cammino sacerdotale
finché tu non venga a chiamarci nella grande sera della vita
(G. Masciarelli).