OMELIE

Rivestirsi di Cristo

Omelia di Mons. Ferretti del 13-04-2022

Omelia nella Messa Crismale - Santuario “Madre di Dio Incoronata”

Carissimi,

la vita del sacerdote è anzitutto la storia di salvezza di un battezzato. Ogni specifica vocazione, compresa quella dell’Ordine sacro, è compimento del battesimo. Non possiamo pensare al sacerdozio ministeriale senza fare memoria del battesimo, senza la memoria della nostra prima chiamata, quella di conformarsi a Gesù, che ci ha amato per primo. Ciascuno, guardando alla propria umanità, la storia, deve essere consapevole di quel potenziale di amore che abbiamo ricevuto nel giorno del battesimo. Ricorda san Paolo: «Voi che siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo».

Nel battesimo ci rivestiamo di Cristo, entriamo in una comunione esistenziale con Lui, dove il suo e il nostro essere confluiscono. Il presbitero rimane un credente che ha compreso sino in fondo il dono ricevuto nel battesimo. Egli è figlio di Dio, fa continuamente memoria di avere un Padre che lo cura. Ciò dona al sacerdote la vicinanza al popolo di Dio, perché nella figliolanza battesimale si rafforza l’appartenenza al popolo dei credenti e viceversa; nella vicinanza alla gente si riscopre l’appartenenza a Dio che è Padre.

Questa teologia del battesimo deve ritornare in modo nuovo e con una nuova insistenza nell’ordinazione e nella vita sacerdotale. Come nel battesimo viene donato uno scambio dei vestiti, uno scambio del destino, una nuova comunione esistenziale con Cristo, così anche nel sacerdozio si ha uno scambio: il sacerdote agisce e parla nella persona di Cristo. Nei sacri misteri egli non rappresenta se stesso e non parla esprimendo se stesso, ma parla per Cristo. Ciò abbiamo espresso con il nostro Eccomi durante la consacrazione sacerdotale: io sono qui perché tu possa disporre di me. Metterci a disposizione di Cristo significa che ci lasciamo attrarre dentro il suo “offerti per tutti”: essendo con Lui possiamo esserci davvero per tutti.

Nel momento dell’ordinazione sacerdotale, la Chiesa ci ha reso visibile questa realtà del “vestito nuovo” anche esternamente mediante l’essere stati rivestiti con i paramenti liturgici. Nel gesto esterno, essa vuole renderci evidente l’evento interiore e il compito che da esso ci viene: rivestire Cristo; donarsi a Lui come Egli si è donato a noi.

Questo evento, il rivestirsi di Cristo, già prefigurato dalla veste battesimale, viene rappresentato di nuovo in ogni santa Messa mediante il rivestirsi dei paramenti liturgici. Indossarli è più di un fatto esterno: è l’entrare sempre di nuovo nel “sì” del nostro incarico – in quel “non sono più io che vivo” – del battesimo e che l’ordinazione sacerdotale ci dona in modo nuovo e al contempo ci chiede.

Rivestirsi di Cristo: i pensieri non devono andare dietro le preoccupazioni quotidiane; i sensi non devono essere attirati da quanto vorrebbero gli occhi e gli orecchi. Il mio cuore deve aprirsi alla Parola di Dio, raccogliersi nella preghiera con lo sguardo rivolto al Signore che è accanto a noi.

Il vestito di luce, che abbiamo ricevuto nel battesimo, si collega nell’ordinazione sacerdotale al vestito nuziale rappresentato dall’imposizione della casula. La veste bianca della rinascita è il vestito dell’amore che la casula ci accostano alla festa nuziale del cielo, con quell’amore che solo può renderci felici.

Ogni qualvolta indossiamo la casula per la celebrazione, ricordiamo il battesimo e il giorno della nostra ordinazione. Come nel rito, l’imposizione della casula rappresenta il giogo del Signore che a noi, come sacerdoti, è stato imposto. E ricorda la parola di Gesù, che ci invita a portare il suo giogo e ad imparare da Lui, mite ed umile di cuore. Essere sempre disposti ad andare a scuola da Lui, per imparare la mitezza e l’umiltà. A volte vorremmo dire a Gesù: Signore, il tuo giogo non è per niente leggero, anzi è troppo pesante. Ma guardando poi a Lui, che su di sé ha provato l’obbedienza, la debolezza, il dolore, tutto il buio, il nostro lamento si spegne. Il suo giogo è quello di amare con Lui. E più amiamo Lui, e con Lui diventiamo persone che amano, più leggero diventa per noi il suo giogo, apparentemente pesante.

Come il discepolo amato, anche noi vantiamo una speciale prossimità rispetto a Gesù; chinandoci sul suo petto, non solo vogliamo esprimere una dimostrazione di affetto, ma anche di comunione di vita e di sentimenti. Questo gesto del chinarsi è il testamento di un amico. Lo sguardo di un amico su Gesù, che ci implica profondamente.

«Se mi amate». Carissimi, queste parole Gesù le ha pronunciate durante l’ultima cena, nel momento in cui istituiva l’Eucaristia e il sacerdozio. Pur rivolte agli apostoli, esse, in un certo senso, sono indirizzate a tutti i sacerdoti. Noi le riascoltiamo quest’oggi, come un invito a vivere sempre più coerentemente la nostra vocazione nella Chiesa; le ascoltiamo con particolare emozione, lasciamo che si scrivano nel nostro cuore, meditiamo rimanendo fedeli all’amore di Cristo.

Ci accompagni e ci protegga la Vergine Maria, che vi esorto ad accogliere ogni giorno, come fece l’apostolo Giovanni sotto la croce, quale Madre e stella della nostra vita e del nostro sacerdozio.