OMELIE

L’arte di attendere il Signore

Omelia di Mons. Ferretti del 19-06-2023

Omelia nella celebrazione esequiale di Maria Tricarico, già Direttrice della Caritas Diocesana

Chiesa di San Giuseppe Artigiano, Foggia

 

Carissimi,

la vita non è mai un cerchio che si chiude su se stesso, ma un cammino che giunge alla sua meta: la casa del cielo. L’esistenza è un legame che unisce e nessuno può spezzare, perché un legame di amore vero che ci rende liberi, autonomi, non perché individualisti, ma persone e insieme. Stamane accompagniamo la nostra cara Maria con affetto, dolore, ma anche con tanta consolazione e speranza. Gesù è stato vero compagno della sua vita, è stato in mezzo, dentro, davanti a lei e alla sua famiglia, vincendo ogni solitudine. Niente potrà separarci dall’amore di Dio in Cristo Gesù.

Nella prima lettura, dal libro delle Lamentazioni, abbiamo ascoltato questo invito: è bene aspettare in silenzio la salvezza del Signore. Questo atteggiamento non è un punto di partenza, ma di arrivo. L’autore, infatti, riapproda al termine di un percorso complesso e difficile che lo ha fatto maturare. Egli arriva a comprendere di fidarsi del Signore, il quale non viene mai meno alle sue promesse. Ma la fiducia in Dio non nasce da un entusiasmo momentaneo, non è una emozione o un sentimento. Essa, al contrario, viene dall’esperienza e matura nella pazienza. Con una conoscenza viva e palpitante del Signore. E perché ciò avvenga, è necessaria una lunga trasformazione interiore che, attraverso il crogiuolo della sofferenza, porta a saper attendere in silenzio, con animo mite e pazienza fiduciosa. La venuta del Signore è certa e non delude. È bello e importante, perciò, imparare l’arte di attendere il Signore, allontanando fantasmi, fanatismi e clamori; custodendo, anche nel tempo del dolore, un silenzio carico di speranza.

Nel Vangelo di Matteo ci siamo soffermati sul grido degli oppressi, dei deboli, dei poveri…un grido che provoca paura e rifiuto. Ma se è ascoltato, può anche svegliare il cuore di tutti noi, a volte insensibili e distratti, chiamati al cambiamento e alla conversione; chiamati non solo a organizzare e fare cose caritatevoli, ma entrare cuore a cuore in comunione con gli altri. Gesù, nella parola biblica ascoltata, ha rivelato di essere presente, nascosto, nel povero, nello zoppo, nel paralitico, in colui che viene rifiutato e messo da parte: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me.

Nutrire chi ha fame è nutrire Gesù. Dare acqua a chi ha sete è togliere la sete di Gesù. Visitare chi è malato o in prigione è visitare Gesù. Accogliere lo straniero è accogliere Gesù. Vestire chi è nudo è vestire Gesù. I poveri possono creare il dis-ordine chiamando a un nuovo ordine. Essi sono profeti che interrogano e ci fanno male. Noi vogliamo tanto fare delle cose, vedere i risultati, provare le nostre qualità. Ma la testimonianza della nostra sorella Maria insegna che l’amore non è mai per un risultato, ma è un dono gratuito.

Gesù chiama tutti noi a prendere questa strada in discesa, non per un’opera sociale, ma per vivere una comunione di amore con Gesù, presente nel debole e nel povero. Questa comunione introduce al silenzio, alla contemplazione. Il Signore ci rivela che incontrando il povero ed entrando in una relazione di amore con lui ci apriamo ad una relazione di amore con Dio, perché il povero è sacramento, dimora divina.

Dio è amore: ecco cosa resta, esigente come è l’amore vero che non si vende e non si compra, che non possiede e per questo possiede tutto, che è anche pienezza della nostra umanità, perché l’amore tutto copre e tutto trasforma. La nostra sorella Maria non ha fatto lezioni sull’amore, ma lo ha spiegato e non interpretato, con gesti concreti, semplici e umili. L’amore, infatti, ripara e guarisce anche strappi dolorosi, che richiedono rammendi ancora più attenti. Ecco perché Gesù, cuore di Dio, ci rende umani e rende l’animo libero dalla volgarità e dal consumismo, restituendoci al vero amore che è per il prossimo e per Dio. Così è stato per Maria: con tanto impegno per il prossimo, tanto da poterle attribuire l’espressione biblica: ben superiore alle perle è il suo valore. Maria è stata sempre mite, con quel radicalismo dolce che era la sua fermezza e che la coinvolgeva attivamente dinanzi ad ogni vicenda quotidiana. Una maestra di vita evangelica, sempre riservata, in un mondo pieno di esibizione, che riduce anche le nostre attività caritative ad apparenze e formalismi. Maria preferiva la sobria e solida vicinanza alla vita vera, imparando dalle persone più fragili a vivere l’urgenza di cambiare e la programmazione per costruire soluzioni idonee. Non a caso, fu la presidente della Caritas diocesana che inaugurò l’apertura a tanti progetti di infinita generosità. In realtà si è sempre consegnata agli altri, considerandoli via di servizio evangelico e mai di onore e potere.

Concludendo, vorrei attribuire a lei e a chi si spende per la carità una poesia di Ada Negri:

Fammi uguale, Signore, a quelle foglie moribonde che vedo oggi nel sole tremar dell’olmo sul più alto ramo. Tremano, sì, ma non di pena: è tanto limpido il sole, e dolce il distaccarsi dal ramo per congiungersi alla terra. S’accendono alla luce ultima cuori pronti all’offerta, e l’agonia per esse ha la clemenza di una mite aurora. Fa’ ch’io mi stacchi dal più alto ramo di mia vita, così, senza lamento, penetrata di te come del sole.