OMELIE

Una Voce nella mia vita

Omelia di Mons. Ferretti del 23-03-2016

Omelia della Messa Crismale

Cattedrale, 23 marzo 2016

            Carissimo,

non ti chiamo più servo ma amico (cf. Gv 15,15). Nella solenne celebrazione della Messa crismale, sento risuonare nel mio intimo questa parola di Gesù. Egli stesso, stasera, la dice a te, a me, a ogni sacerdote in modo del tutto personale. Egli ti chiama amico. Ti accoglie tra coloro ai quali si era rivolto nel cenacolo… nella cerchia di amici che egli conosce e che vengono a conoscerlo.

            Ripercorriamo la storia della tua amicizia con Gesù, iniziando, come in un percorso di vita, dal gesto sacramentale dell’imposizione delle mani da parte del Vescovo. Quelle mani rivelavano le mani di Gesù, hanno stretto le tue, quando hai incontrato il Signore e ascoltato la sua voce: Seguimi.

            Da allora lo hai seguito. Forse inizialmente un po’ impaurito, volgendoti indietro e chiedendoti se la strada fosse veramente la tua. In qualche momento hai fatto l’esperienza di Pietro: «Signore, allontanati da me che sono un peccatore!» (Lc 5,8). Hai avuto paura e volevi lasciare tutto, avvertendo la sproporzione tra quell’amore divino e meraviglioso e la piccolezza della tua umana fragilità. Ma il Signore, nella sua grande bontà, ti ha preso per mano, perché non affogassi nel mare dello spavento, ti ha tratto a sé e ti ha detto: Non temere! Non ti lascio, tu non lasciare me.

      Non più servo ma amico: in questa parola è racchiuso l’intero programma di una vita sacerdotale.

            Mano nella mano del Signore, il tuo sguardo ha incrociato il Suo. Ti sei immerso, così, nell’oceano di quegli occhi. Fu la risposta pronta e generosa che ti spinse ad abbandonare la logica rassicurante dell’avere senza calcolare più nulla.

            Dio solo sa ciò che vide in te quel giorno e solo tu conosci ciò che ti colpì in Gesù per lasciare immediatamente tutto. È Cristo il Senso, la forza indescrivibile e l’orizzonte ultimo che scuote e affascina noi sacerdoti.

            L’amicizia è una comunione del pensare e del volere. Il buon Pastore ti ha chiamato per nome. Ma tu conosci Lui? La tua volontà cresce verso il “sì” dell’adesione alla sua. Nell’amicizia la tua volontà, crescendo, si unisce alla sua; la sua volontà diventa la tua e così diventi veramente te stesso.

            Il Signore ti ha reso amico: quotidianamente ti affida tutto; ti affida se stesso e tu puoi pronunciare con il suo “Io” una parola che non è solo parola, bensì azione che produce un cambiamento nel più profondo dell’essere. Dietro tale parola c’è la sua Pasqua per noi. Quale immensa fiducia. Gli avevi chiesto di tenerti per mano ma ora Gesù si è consegnato nelle tue mani. I segni dell’Ordinazione sacerdotale non sono forse manifestazioni di amicizia divina: l’imposizione delle mani, la consegna della Parola, del Calice, il potere di assolvere? E tu sarai fedele a questo amore, se ti ossigeni alla sua presenza. Il Signore ripetutamente per notti intere saliva sul monte a pregare.

            In questo anno della misericordia è significativo, poi, collegare l’espressione giovannea “voi siete miei amici” all’altra: “Io sono la porta”. Attraverso Gesù si deve entrare nel servizio di pastore: chi sale da un’altra parte è un ladro e un brigante (cf. Gv 10,1). Questa parola “sale” evoca l’immagine di qualcuno che si arrampica sul recinto per giungere, scavalcando, là dove legittimamente non potrebbe arrivare. “Salire”: si può qui vedere anche l’immagine del carrierismo, del tentativo di arrivare, di procurarsi una posizione mediante la Chiesa; servirsi, non servire. È l’immagine dell’uomo che, attraverso il sacerdozio, vuole farsi importante, diventare un personaggio; l’immagine di colui che ha di mira la propria esaltazione e non l’umile servizio di Gesù Cristo. Ma l’unica ascesa legittima del ministero presbiterale è la croce. È questa la vera ascesa, è questa la vera porta.

            Non desiderare mai di diventare qualcuno, ma impegnati a esserci per Cristo, e così mediante Lui e con Lui esserci per gli uomini che Egli cerca e vuole condurre sulla via della vita. Lascia che il Signore disponga di te; tu serviLo. Sali ogni giorno sul monte della preghiera. Di questo monte abbiamo bisogno tutti. è l’altura interiore che dobbiamo scalare. Solo così si sviluppa l’amicizia; dando tutti la mano al Signore, stringiamo l’uno la mano all’altro.

            Carissimo, sei stato costituito per andare e portare frutto e il tuo frutto rimanga (cf. Gv 15,16). Il primo compito dato agli amici è mettersi in cammino, uscire da se stessi, andare verso gli altri. Supera i confini dell’ambiente in cui vivi, porta il vangelo evitando la pigrizia di rimanere adagiato su te stesso.

            Anche Giuda era stato chiamato amico, ma poi tradisce Gesù. Chi è Giuda? Uno dei Dodici e, perciò, amico come gli altri. C’era in lui qualcosa di incomprensibile: Gesù stesso aveva chiamato ed eletto Giuda. È questo il vero mistero. Nella notte della Cena, Gesù dà a Giuda un boccone di pane intinto, e con tale segno della massima familiarità Satana entra in lui. Allora Gesù gli dice con una preghiera che è al tempo stesso un comando: quello che fai, fallo al più presto (cf. Gv 13,27). Nessun altro capì. Tutto rimase fra Gesù e Giuda. Del resto, prendendo il boccone dell’amicizia e respingendo l’Amico, Giuda non poté restare nella cerchia degli amici: «subito uscì. Ed era notte».

            Carissimo, l’amicizia con Gesù non ti esime dalla vigilanza di fronte al tentatore, al peccato, al male e al tradimento che possono attraversare anche una vita sacerdotale. Il Signore ti aiuti a conservare mani innocenti, cioè una esistenza illuminata dalla verità che vince ogni indifferenza e menzogna. L’innocenza non è qualcosa da difendere. Non è innocente l’uomo che non sbaglia mai. Sarebbe un uomo impossibile. L’innocenza respira dove vince la carità; perciò le mani innocenti sono quelle che non ostacolano la luce dall’alto e la cercano con cuore generoso.

            La tua esistenza vera e retta, la fedeltà alla Chiesa richiedono anche rinuncia e sofferenza. Cresce così la vera gioia. Se tendi verso Dio, bada di non raggiungerlo da solo.

            Carissimo, tu sei nelle mani di Dio. Ripetiti e ripetiamoci questa certezza. Occupati di Lui; tocca a Lui occuparsi di te. Abbi come nido le sue mani; come bambino aggrappati fortemente a quelle mani che non ti lasceranno cadere, come ammalato nel corpo o nello spirito ripeti: nelle tue mani la mia vita.

            Gesù sia il tutto della tua vita e non si affievolisca la meraviglia dell’incontro eucaristico, lo stupore contemplativo dell’anima, lo spasimo della tua trepidante relazione con Lui.

            Fratello caro, hai accolto con tutto te stesso il dono del sacerdozio. Rimani sempre ancorato a questa certezza, la sola capace di dare gioia alla vita. La tua identità di sacerdote sta nella reciproca indissolubile appartenenza: tu sei di Dio e Lui è il tuo Signore. Essere un uomo di Dio, prendere sempre più coscienza del tuo venire da Lui e decidere di appartenergli totalmente è la radice della gioia e la ragione del servizio della Chiesa. Dovunque eserciti il ministero, in uffici di prima responsabilità o in collaborazione con altri confratelli, in quelli di umano prestigio oppure più umili e nascosti, tu sarai sempre lieto e sereno, perché ti riconoscerai soprattutto uomo di Dio e della Chiesa. E’ così che alla fine della vita potrai consegnare nell’amore tutto te stesso a Dio.

            Come sarà possibile? Andando alla scuola della Madre, Maria, a cui sei stato affidato, in Giovanni, dal tuo Amico Gesù, crocifisso per amore.

            Il Vangelo dice che l’apostolo «da quel momento la prese nella sua casa» (Gv 19,27). La casa non è soltanto il luogo in cui abitava Giovanni. Essa richiama la dimensione spirituale di un nuovo legame tra Maria e Giovanni.

            Oggi è a te, fratello sacerdote, che Cristo chiede espressamente di prendere Maria «nella tua casa», di accoglierla tra i tuoi beni più preziosi, di lasciarti avvolgere dal suo materno abbraccio.