OMELIE

Aspirate ai carismi più alti

Omelia di Mons. Ferretti del 13-09-2016

Ingresso parroci in solidum nella parrocchia BMV Madre della Chiesa

Carissimi,
c’è un tratto singolare del Vangelo di Luca, appena ascoltato, che presenta il dolore di una madre che accompagna alla tomba il suo unico figlio. Gesù si avvicina, tocca la bara e ordina al ragazzo di alzarsi. Tocca la bara. Il più delle volte Gesù tocca le persone, i loro organi malati, prende per mano. Al Signore interessa non solo ridare la vita ma riempire di vita i luoghi di odio, violenza e divisione. Il corteo di morte si ferma dinanzi al Signore autore della vita. Anche una diocesi, una parrocchia, una struttura pastorale potrebbe essere luogo di morte. Stasera Gesù ci raggiunge e ci esorta con S. Paolo: questa comunità parrocchiale è il Corpo di Cristo e, ognuno, secondo la propria parte, ne è membro. Tutte le membra del Corpo, pur essendo molte, sono un corpo solo; Gesù ci percepisce come membra del suo corpo, ha per noi la medesima compassione di una madre verso il figlio. Così il sacerdote, particolarmente il parroco.
Chi è il parroco? Lo incontri ad ogni ora, in famiglia, ai vicoli della parrocchia per invitare, incoraggiare, ascoltare, consolare, sostenere e custodire. Egli non conosce riposo e non gli è consentito di avere spazi per la sua vita privata. Ha per cuore la comunità, per intuito la concretezza, per respiro il sacrificio; il suo linguaggio è l’accoglienza, il suo sguardo è seme di sorrisi e di speranza. Il parroco ha la cultura della vicinanza: prende sul serio le persone, riconosce la forza della grazia del battesimo, invita con la sua coraggiosa creatività, simpatia ed apostolato. 
Chi è il parroco a Foggia? È  il prossimo che diventa prossimo, l’uomo dell’accompagnamento, l’apostolo dal cuore aperto e solidale. Per lui non conta la carriera, la propria immagine, l’organizzazione della struttura, ma il valore della persona, immagine di Dio. La diffidenza, l’abitudine, il rifugio nel privato sono tentazioni alle quali un parroco risponde riscaldando i cuori, diffondendo stima e affetto, dimenticando offese e rancori. Sul suo volto, così, è descritta la semplicità e la familiarità, il dolore e la tenerezza. I fedeli, pur senza definizioni precise, vedono nel parroco il medico e l’insegnante, colui che si fa stato, comune, famiglia. Un uomo di frontiera, quindi, che non dimentica il primo annuncio del Vangelo, attento all’ambiente, che assimila per trasformarlo secondo le vie di Dio. Ma soprattutto il parroco è colui che fa sua la parola di Paolo: aspirate al carisma più grande, che è la comunione, sia con gli altri sacerdoti che con i fedeli laici. Lavorare insieme non è una fastidiosa ingerenza, una inutile complicazione, una perdita di tempo, una forma di mortificazione. 
Quali sono, allora, le difficoltà della comunione? 
La prima è nell’animo “meschino” del presbitero. Il termine può sembrare forte, ma come poter definire un animo pastorale che, anche senza colpa, è rattrappito nell’ambito della propria comunità? Occorre coltivare la magnanimità, vivere in orizzonti ampi, oltre le siepi della parrocchia, concepire progetti vasti, vibrare per i problemi seri, portare la bellezza della missione. Questo animo si apre alla collaborazione e la considera un dono da coltivare e non un imbroglio da evitare.
La seconda radice di mancanza di comunione è l’invidia. Il lavoro altrui, l’apporto degli altri lo si considera come concorrenza. Invece di lasciarsi aiutare, il sacerdote pensa di essere assediato, perdendo il suo ruolo, quasi non sapendo più ritrovare la sua identità ministeriale.
Una terza radice della incapacità di tessere comunione e collaborazione è data dalla sfiducia nel lavoro altrui, nella loro competenza e capacità, guardarsi fra preti e laici con sospetto e diffidenza. È opportuno non considerare l’apostolato dei laici come una teoria inutile, impraticabile secondo alcuni sacerdoti, addirittura dannosa, accusando i fedeli di impreparazione, immaturità, supponenza e mancanza di senso ecclesiale.
Aspirate ai carismi più grandi. È più importante il livello di efficienza del lavoro pastorale oppure la dignità della persona che lo vivono e la loro crescita nella carità? Collaborando si impara a collaborare, la funzione educativa del parroco nel presbiterio e nella parrocchia è quella di far crescere confratelli e fedeli nella capacità e nelle competenze, in vista di una responsabilità sempre più condivisa della missione ecclesiale. Un sacerdote deve sostenere e accompagnare il sacerdozio battesimale di tutti i fedeli. Egli è uno scopritore di talenti, mandato a suscitare e coordinare le virtù degli altri, offrendo luoghi di collaborazione. I laici non sono utenti di un’azienda! La comunità si compone di credenti, non di clienti, perciò non spegniamo i carismi. 
L’augurio per i carissimi don Sebastiano e don Francesco Paolo lo prendo dall’ufficio delle letture odierno, memoria liturgica di san Giovanni Crisostomo. Parlando ai fedeli, affermava: «dove sono io, là ci siete anche voi. Dove siete voi, ci sono anche io. Noi siamo un solo corpo. Anche se distanti, siamo uniti nella carità; neppure la morte ci può separare. Voi siete i miei concittadini, i miei genitori, i miei fratelli, i miei figli, le mie membra, il mio corpo, la mia luce, più amabile della luce del giorno. La vostra carità mi intreccia la corona per la vita futura».