OMELIE

Con il flauto e con il lamento

Omelia di Mons. Ferretti del 14-09-2016

Insediamento di don Rocco Giannetta come nuovo parroco di san Luigi Gonzaga

Carissimi,
la croce spaventa. Nessuno più di me amerebbe una esistenza sicura e tranquilla. Niente di più di dolce che stare a scrutare il mistero. Invece predicare, correggere, edificare, impegnarsi per gli altri, è un grande peso. 
La croce è una dura fatica, ferisce, non è comprensibile, eppure è la Parola della vita, la Via alla Verità tutta intera. Non devo fissare la croce di dietro, quella di mero legno nudo, che viene dagli uomini come mezzo di un amore sfigurato e velato da un odio produttore di morte. Bisogna che fissi la croce davanti, quella di carne, Gesù donato dal Padre, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.
Dinanzi la croce non sorgono domande, ma una placida contemplazione di un Dio pazzo di amore, disposto a tutto per me. Braccia allargate per ospitarmi, capo chinato per baciarmi, cuore aperto per accogliermi: è davvero la gloria di Dio l’uomo vivente!
In essa ritrovo me stesso e la forma della carità più piena. Ma quante volte mi lascio prendere da una certa ottusità e lentezza a capire: come Nicodemo di fronte a Gesù. Il velo del tempio si è squarciato, quel velo che sembrava scavare un fossato tra me e Dio, tra cielo e terra, tra sacro e profano, l’abisso, d’un tratto, è stato colmato. 
Il Signore muore solo per amore, obbedendo e umiliando se stesso sino alla morte e alla morte di croce. Il Principio della libertà diviene schiavo e mette al centro il Padre e l’uomo e, con la sua Parola, libera dalle antiche catene, dai pregiudizi oppressivi, dalle ipocrisie di sempre; offre la parola a chi non l’ha mai avuta, dà occhi a chi è ritenuto cieco, fa camminare coloro che sono immobilizzati.
Uno come Gesù era pericoloso e andava crocifisso. Egli, però, non è sceso dalla croce. Forse ci si aspettava che per la croce e il dolore avesse rimangiato quelle meraviglie che incantavano i piccoli, la difesa per la dignità violata. Non è sceso dalla croce per essere compagno dei nostri giorni, quando il cielo si fa buio e la passione per il bene sembra sconfitta. Il Crocifisso ancora oggi passa per le case di tanti che soffrono, di coloro che hanno paura del futuro, di chi subisce violenza e abbandono, dei tanti che forse non hanno neppure da mangiare e stanno, magari, vicino a noi. 
Cari amici, il sacerdote è l’uomo innamorato della croce. È l’uomo che riconosce in essa il volto di una madre che insegna, tra prove e sofferenze, tanto da conoscere i dolori del parto e l’angoscia di dover continuare a rischiare la vita per amore. L’amore puro guarisce le ferite dell’amore tradito. 
Nell’annuncio del Vangelo, il parroco non deve mai aver paura: «per amore di Sion non tacerò» (Is 62,1). Il monito di Isaia risuona ancora, incoraggia e assicura che chi è con Dio, non resterà colpito dal male. 
Assimilato al Crocifisso, il parroco diventa agnello immolato. In questa scelta misteriosa è racchiuso il senso autentico del ministero sacerdotale. Il successo della sua azione non sta nella potenza che annienta i nemici; la sua fecondità proviene dall’apparente fallimento umano, dalla consegna inerme alla morte di croce. Nella debolezza dell’uomo confidente in Dio si manifesta la forza dell’Eterno (cf. 2Cor 12, 9). 
Come afferma sant’Ambrogio nel commentare il cap. 7 del Vangelo di Luca: «il Crocifisso non si offre – come uno spettacolo – ad una contemplazione esterna; ci assume nella sua vita: ci chiama con il flauto e con il lamento e ci condiziona a sé in modo totale. Non si può star fermi quando invita alla danza, non si può non piangere quando invita al lamento. Bisogna essere disposti a questa insicurezza, al passaggio dalla danza al pianto. La croce è prima di tutto questo distacco dai propri programmi, è la disposizione al cambiamento». 
Si è buon Pastore se si diventa Agnello. Tra coraggio e fragilità, entusiasmo e debolezza, un parroco sale sulla croce come il maestro Gesù, prendendo la distanza da ogni forma di potere per affermare se stesso in nome del Vangelo. Il suo compito è guidare il gregge, non dall’alto di un trono, ma dall’alto della croce: un impegno di amore. Non solo, perché dove maggiore è l’amore, minore è la fatica; i fedeli sono amati dal Pastore come figli, e, perciò, lo riamano come Padre (cf. S. Agostino, Sermone 340,1). 
La paternità del parroco fa tanto bene, quando si è vicini con tenerezza e comprensione a tutte le persone. Si diventa prete per stare in mezzo alla gente, specie se abbandonata, dimenticata e imperfetta. Ecco che l’amore casto di un sacerdote si popola di volti, raccoglie storie di vita, assume in sé le gioie e le sofferenze dei fedeli, dà un volto di carne all’amore terso della Chiesa. 
Abiti questo sublime modello di amore nella nostra parrocchia di san Luigi, perchè sia lieta e serena, con il volto di mamma che comprende, accompagna e accarezza. È bella la nostra parrocchia! Una madre laboriosa, cosciente di appartenere a Cristo, ma sempre desiderosa di santificazione. Come dichiara Bernanos: «l’unico modo per riformare la comunità è soffrire in essa e per essa ». 
Madre e croce stanno insieme: madre che dà la vita e croce che purifica e anima con la speranza il nostro annuncio di pace e di misericordia.