INTERVENTI

Confraternite: per un nuovo stile di Chiesa

Convegno diocesano confraternite

(pubblicato il 06-05-2017)
Immagine di Confraternite: per un nuovo stile di Chiesa

Confraternite: per un nuovo stile di Chiesa

Carissimi,

l’incontro di questa sera richiama alla nostra attenzione l’esistenza di queste secolari istituzioni, le Confraternite, e l’esigenza di un loro adattamento alla nuova realtà religiosa e sociale. Nell’immaginario collettivo il termine Confraternita evoca le pittoresche coreografie di uomini in cappa bianca o colorata, che sfilano nelle feste patronali con i loro sten­dardi e crocifissi. Questo è l’aspetto più conosciuto e appariscen­te; ma le Confraternite sono istituzioni più complesse, che vanta­no nella storia della Chiesa una lunga tradizione, segnata attra­verso i tempi da alterne vicende, di grande fioritura e di deca­denza. La Confraternita può essere descritta come una corporazione ecclesiastica, composta di fedeli in prevalenza laici, canonica­mente eretta e governata da competente superiore, con lo scopo di promuovere la vita cristiana per mezzo di speciali opere buone dirette al culto divino e alla carità verso il prossimo. Si tratta dunque di Associazioni di laici riconosciute dall’autorità ecclesiastica, che intendono partecipare alla missione della Chiesa mediante attività di culto, di apostolato e di carità (cf. 1° sinodo diocesano, Cost. 160 § 4).

Dal Concilio Vaticano II ad oggi

Nella fase preparatoria del Concilio, tra le istanze inviate dall’episcopato mondiale, si suggerì anche una riflessione sulle pie asso­ciazioni dei fedeli e sull’apostolato laicale. Riguardo alle Confraternite, si chiedeva da alcuni che fossero incrementate, in particolare quel­le della dottrina cristiana, mentre da qualche voce isolata se ne pro­poneva il ridimensionamento o la soppressione. Del resto, il proble­ma dei rapporti con le diocesi e le parrocchie era già presente dopo il concilio di Trento, perché, se da un lato le Confraternite favoriva­no la pietà popolare, dall’altro tendevano a un’amministrazione au­tonoma dei loro beni e, a volte, in occasione di feste sacre, indulgevano ad abusi e a manifestazioni secolarizzate o di dubbio gusto. Anche il nuovo CIC del 1983 (a differenza di quello del 1917) non parla espressamente di Confraternite, ma tratta genericamen­te delle consociationes fidelium (così chiamate, e non più associa­tiones), distinte dagli istituti di vita consacrata (che hanno l’ob­bligo giuridico dei voti religiosi) e dalle società di vita apostolica (che sono meno legate all’istituzione ecclesiastica). Alle Confraternite, come alle altre consociazioni dei fedeli, il Codice affida il compito di tendere, «mediante l’azione comune, all’incremento di una vita più perfetta, o alla promozione del culto pubblico o della dottrina cristiana, o ad altre opere di apostolato, quali sono le iniziative di evangelizzazione, esercizio di opere di pietà e di ca­rità, animazione dell’ordine temporale mediante lo spirito cristia­no» (can. 298 §1). Le confraternite di nuova istituzione godono di personalità giuridica canonica se vengono erette dalla compe­tente autorità ecclesiastica; rimangono invece nella sfera delle as­sociazioni private se sono soltanto approvate.

In realtà, i documenti conciliari sull’apostolato dei laici corrispondono alle esigenze umane e cristiane dei fedeli e al tempo stesso si mostrano come segno della comunione e dell’unità della Chiesa in Cristo che disse: “Dove sono due o tre riuniti in mio no­me, io sono in mezzo a loro” (Mt 18,20). Anteriormente, però, alla possibilità di operare apo­stolicamente in forme aggregative, ogni fedele laico è sempre chiamato ed obbligato ad esercitare l’apostolato personale, il quale è assolutamente necessario, insostitui­bile, e, in talune circostanze, l’unico adatto e possibile per una intensificazione del dina­mismo missionario di ogni cristiano. La libertà aggregativa dei fedeli laici è da conside­rare secondo la dinamica del Battesimo, che dona la li­bertà nello Spirito, per la quale, svincolati da interessi egoistici, i cristiani sono, mediante la carità, al servizio gli uni degli altri (cfr. Gal 5,13-14). A partire dal Battesimo, comprendiamo che la connotazione fondante la vita e l’attività delle Confraternite è l’ecclesialità. Esse de­vono guardare al mistero della Chiesa per ri­trovare i propri autentici connotati. Avendo nella Chiesa di Cristo il luogo proprio di nascita, di crescita e di azio­ne, devono esprimerne il lo­ro essere realtà autenticamente ecclesiali. La qualifica “ecclesiale” non è mai da dare per scontata. Non è un’etichetta; non è un titolo acquisi­to; non è una garanzia preventiva di autenticità. Ecclesialità, infatti, è termine esigente: significa sa­pere di appartenere alla Chiesa e, più ancora, sapere di essere Chiesa ed avere il senso della Chiesa. Una Confraternita è ecclesiale, anzitutto, perché al­cuni membri del popolo di Dio liberamente vi aderisco­no e vi si impegnano in forza della loro comune parteci­pazione al sacerdozio di Cristo, ricevuta col Battesimo. Inoltre, è ecclesiale perché deriva da un dono che è ri­volto ai singoli fedeli ma per il bene comune della Chiesa, arricchita di doni con i quali l’unico Spirito la costituisce e la rinnova. In questo contesto sono da leggersi i criteri di di­scernimento e di riconoscimento delle Confraternite, che S. Giovanni Paolo II ha trattato nell’Esortazione apostolica post-sinodale Christifideles laici:

1) Il primato dato alla vocazione di ogni cristiano al­la santità, manifestata nei frutti di grazia che lo Spirito produce nei fedeli come crescita verso la pienezza della vita cristiana e la perfezione della carità. Da ciò deriva che ogni Confraternita, mentre favorisce nei suoi mem­bri l’unità tra la vita e la fede, deve essere essa stessa strumento di santità nella Chiesa.

2) La responsabilità di confessare la fede cattolica, accogliendo e proclamando la verità su Cristo, sulla Chiesa e sull’uomo in obbedienza al Magistero della Chiesa, che autenticamente la interpreta. Ne scaturisce per ogni Confraternita l’impegno a essere luogo di an­nuncio della fede e di educazione ad essa nel suo inte­grale contenuto.

3) La testimonianza di una comunione salda e con­vinta, in relazione filiale con il Papa e con il Vesco­vo “principio visibile e fondamento dell’unità” della Chiesa particolare. Tale comunione è chiamata ad esprimersi nella leale disponibilità ad accogliere i loro insegnamenti dottrinali e orientamenti pastorali. La co­munione ecclesiale esige pure il riconoscimento della le­gittima pluralità delle forme aggregative e la disponibi­lità alla loro reciproca collaborazione.

4) La conformità e la partecipazione al fine apostoli­co della Chiesa, ossia l’evangelizzazione, la santificazio­ne degli uomini e la formazione cristiana della loro co­scienza, in modo che riescano a permeare di spirito evangelico le varie comunità e i vari ambienti. Da ciò prende avvio quello slancio missionario che rende una realtà aggregativa sempre più soggetto di una nuova evangelizzazione.

5) L’impegno di una presenza nella società umana che, alla luce della dottrina sociale della Chiesa, si ponga a servizio della dignità integrale dell’uomo. A questo criterio è collegato il dovere, proprio in particolare delle Confraternite laicali, di diventare correnti vive di parte­cipazione e di solidarietà per costruire condizioni più giuste e fraterne all’interno della società.

Certo, il primo impegno delle Confraternite è quello della comunione nella Chiesa particolare. L’assolutizzare le proprie esperienze, il chiudersi in forme autosufficienti e discriminanti, il ri­tenersi come unica interpretazione o realizzazione au­tentica della Chiesa, lo stabilire cammini paralleli non convergenti sono atteggiamenti contrari alla comunione e ostacolano la missione.

È necessario, perciò, che le Confraternite laicali si mettano sempre più a servizio della comunità, se ne sen­tano parte viva e ricerchino in ogni modo l’unità, anche pastorale, con la Diocesi e con la parroc­chia.

All’interno e come cellule della Chiesa particolare vi sono le parrocchie, nelle quali si incontrano i fedeli, uomini e donne, di età differenti, di cultura e di condi­zione sociale diverse. Sono allora da considerarsi dai confratelli come esempio visibile dell’apostolato comunitario, casa comune e spazio nel quale tutte le differenze umane e culturali si fondono e sono inserite nell’universalità della Chiesa.

Anche se talvolta bisognose di profondo rinnovamen­to, le parrocchie conservano nella diocesi un posto e un ruolo insostituibili, per cui non solo i singoli fedeli, ma anche le singole Confraternite devono essere convinte del particolare significato che ha l’impegno apostolico nella parrocchia.

La partecipazione alla vita della parrocchia ha il suo momento più alto e significativo nella celebrazione dei sacramenti e particolarmente dell’Eucaristia, soprattutto la domenica. La Messa domenicale, in quanto festa del Popolo di Dio, è fon­damentale per la Chiesa e deve riunire i diversi gruppi che formano il Popolo di Dio. Inoltre, vista la crescen­te carenza di sacerdoti, sarebbe incomprensibile che gruppi o raggruppamenti di qualsiasi genere chiedesse­ro una particolare celebrazione domenicale dell’Eucari­stia.

L’insegnamento di Papa Francesco (Evangelii gaudium)

Ogni Confraternita deve assaporare la gioia di evangelizzare. Ciò significa annunciare Cristo: «la sua ricchezza e la sua bellezza sono inesauribili. (...) Egli sempre può, con la sua novità, rinnovare la nostra vita e la nostra comunità, e anche se attraversa epoche oscure e debolezze ecclesiali, la proposta cristiana non invecchia mai. Gesù Cristo può anche rompere gli schemi noiosi nei quali pretendiamo di imprigionarlo e ci sorprende con la sua costante creatività divina. Ogni volta che cerchiamo di tornare alla fonte e recuperare la freschezza originale del Vangelo spuntano nuove strade, metodi creativi, altre forme di espressione, segni più eloquenti, parole cariche di rinnovato significato per il mondo attuale» (n. 11). Trovo in queste parole la ragione decisiva di ogni sforzo di rinnovamento della nostra Chiesa e delle Confraternite. La gioia incontenibile dell’incontro con Cristo induce la Chiesa ad uscire, poiché «la gioia del Vangelo che riempie la vita della comunità dei discepoli è una gioia missionaria» (n. 21). Si tratta di «passare da una pastorale di semplice conservazione a una pastorale decisamente missionaria» (n. 15). “Chiesa in uscita” è diventata una delle espressioni più ripetute con il pontificato di Francesco. Ma non è un facile slogan, bensì un impegno esigente: chiede di osare, di non rimanere seduti aspettando che gli altri vengano, ma di andare «ai crocicchi delle strade» (Mt 22,9). Il che «non vuol dire - osserva il Papa sapientemente - correre verso il mondo senza una direzione e senza senso. Molte volte è meglio rallentare il passo, mettere da parte l’ansietà per guardare negli occhi e ascoltare, o rinunciare alle urgenze per accompagnare chi è rimasto al bordo della strada. A volte è come il padre del figlio prodigo, che rimane con le porte aperte perché quando ritornerà possa entrare senza difficoltà» (n. 46). Tutto ciò domanda «il cammino di una conversione pastorale e missionaria che non può lasciare le cose come stanno» (n. 25), che è disposta ad «abbandonare il comodo criterio pastorale del “si è fatto sempre così”» (n. 33), a trasformare consuetudini, stili, orari, linguaggio e ogni struttura ecclesiale, perché «diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’autopreservazione» (n. 27). La preoccupazione che ci deve guidare è sempre quella di portare «il cuore del Vangelo», nel quale «risplende la bellezza dell’amore salvifico di Dio manifestato in Gesù Cristo morto e risorto» (n. 36). Ci deve muovere la convinzione che «tutti hanno il diritto di ricevere il Vangelo». Ma «i cristiani hanno il dovere di annunciarlo “per attrazione”» (n. 14). «Se qualcosa deve santamente inquietarci e preoccupare la nostra coscienza è che tanti nostri fratelli vivono senza la forza, la luce e la consolazione dell’amicizia con Gesù Cristo, senza una comunità di fede che li accolga, senza un orizzonte di senso e di vita. Più della 21 paura di sbagliare spero che ci muova la paura di rinchiuderci nelle strutture che ci danno una falsa protezione, nelle norme che ci trasformano in giudici implacabili, nelle abitudini in cui ci sentiamo tranquilli, mentre fuori c’è una moltitudine affamata e Gesù ci ripete senza sosta: “Voi stessi date loro da mangiare” (Mc 6,37)» (n. 49).

In tale contesto va studiata la riflessione di Papa Francesco sulla pietà popolare (122-126), una “spiritualità incarnata nella cultura dei semplici” che non è vuota di contenuti bensì li scopre e li esprime. “Il camminare insieme verso i santuari e il partecipare ad altre manifestazioni della pietà popolare, portando con sé anche i figli o invitando altre persone, è in sé stesso un atto di evangelizzazione”. “Non coartiamo né pretendiamo di controllare questa forza missionaria!”. Anzi chiede di avvicinarsi a questa realtà della pietà popolare con lo sguardo del Buon Pastore che non cerca di giudicare, ma di amare perché “Solamente a partire dalla connaturalità affettiva che l’amore dà possiamo apprezzare la vita teologale presente nella pietà dei popoli cristiani, specialmente nei poveri”. Le manifestazioni della pietà popolare di chi guarda con amore e commozione a un crocifisso, a una immagine sacra, chi accende una candela, chi prega per un figlio malato e per lui offre sacrifici… non può – dice il Papa – vedere queste azioni unicamente come una ricerca naturale della divinità. “Sono la manifestazione di una vita teologale animata dall’azione dello Spirito Santo che è stato riversato nei nostri cuori (cfr Rm 5,5)”. Tuttavia, sempre nella medesima Esortazione Apostolica, il Papa ai nn. 69 e 70 ci chiede di “accompagnare, curare e rafforzare la ricchezza che già esiste” – e quindi anche la pietà popolare – con una necessaria purificazione e maturazione. Durante le processioni, ad esempio, sono assolutamente proibite dai documenti ufficiali della Chiesa le questue, come pure esigere offerte per la consegna di immagini sacre. Il Papa mette in guardia anche da ciò che non è pietà popolare: “forme esteriori di alcuni gruppi, ipotetiche rivelazioni private che si assolutizzano… un certo cristianesimo fatto di devozioni, proprio di un modo individuale e sentimentale di vivere la fede…” che in realtà non corrisponde ad un’autentica “pietà popolare”. Andrebbero forse esplicitate delle indicazioni, non solo liturgiche, ma di carattere amministrativo, per le ricorrenze e i festeggiamenti delle Confraternite. Qui il Papa ci rimprovera qualora fossimo caduti o cadessimo nel seguente pericolo: “Alcuni – scrive – promuovono queste espressioni senza preoccuperai della promozione sociale e della formazione dei fedeli, e in certi casi lo fanno per ottenere benefici economici o qualche potere sugli altri”. Dobbiamo stare attenti. Là dove si corrono questi pericoli è bene intervenire, poiché sono queste forme che hanno prodotto negli ultimi decenni una rottura nella trasmissione generazionale della fede cristiana nel popolo.

La priorità della formazione

Perché possano vivere il loro slancio missionario, è necessario che le realtà aggregative siano scuole di for­mazione. Ogni Confraternita deve essere luogo di annun­cio e di proposta della fede, scuola di educazione al suo contenuto integrale. Lo scopo formativo della Confraternita è di condurre i propri membri a personalizzare la fede ed a viverla coerentemente, giungendo ad una sem­pre più chiara consapevolezza della propria, esaltante ed esigente dignità cristiana; di sostenere la loro vita di co­munione; di aiutarli ad essere fedeli e generosi ministri della nuova evangelizzazione.

Formazione umana

Nel contesto della formazione integrale e unitaria dei fedeli laici e in vista della loro azione apostolica e missionaria, è fondamentale la formazione alla crescita nei valori umani. I laici facciano pure gran conto della competenza professionale, del senso della famiglia e del senso civico e di quelle virtù che ri­guardano i rapporti sociali, cioè la probità, lo spirito di giustizia, la sincerità, la cortesia, la fortezza d’animo, senza le quali non ci può essere neanche la vita cristia­na.

Formazione spirituale

Anima di tutta la formazione è senza dubbio quella spirituale. Essa mira alla pienezza della, vita cri­stiana e ha come termine, sempre nuovo, Gesù stesso, come dice l’Apostolo: “finché non sia formato Cristo in voi” (Gal 4,19). Sotto questo aspetto la formazione si propone di toccare il cuore di ognuno e di trasformarlo mediante un processo continuo di conversione e di con­figurazione a Cristo. Da qui la neces­sità di valorizzare in ogni Confraternita la lectio divi­na, la direzione spirituale e i momenti forti dello spi­rito (esercizi, ritiri, giornate di spiritualità) per la conti­nua revisione di vita, di vivere la centralità dell’Eucari­stia e di favorire il ricorso frequente al sacramento della Riconciliazione.

Formazione dottrinale

La responsabilità nel confessare la fede e l’impe­gno apostolico richiedono la salda e cordiale adesione all’insegnamento della Chiesa circa la fede da credere e da applicare nella vita. Di qui l’urgenza di una formazione dottrinale, richie­sta dalla fede. In questo contesto è importante e necessaria una cate­chesi sistematica, nella quale la fede è assunta e spiegata nella sua integralità e secondo la Tradizione viva e il Magistero della Chiesa. Punto di riferimento provvidenziale per la cateche­si è il Catechismo della Chiesa Cattolica. Le diverse realtà aggregative lo accolgano cordialmente e lo valo­rizzino come dono prezioso e autorevole, strumento valido e fecondo di ulteriori approfondimenti conoscitivi e di un autentico rinnovamento spirituale e morale.

Formazione culturale

La nuova evangelizzazione è chiamata a orien­tarsi verso gli areopaghi del mondo moderno, come il riconoscimento e la promozione della dignità della per­sona umana, il rispetto dei suoi naturali diritti tra cui quelli inviolabili alla vita e alla libertà religiosa e di co­scienza; il valore unico e insostituibile della famiglia, fondata sul matrimonio; la giustizia e la solidarietà; la li­bertà di educazione; il servizio per la pace, il volontariato e la salvaguardia del creato. Le Confraternite laicali e le organizzazioni di laici cristiani sono particolarmente qualificate per questo impegno formativo, in quanto co­stituiscono per la Chiesa come degli avamposti nel mon­do della scuola e della cultura, della scienza, della politi­ca, della economia e del lavoro.

Conclusioni

Le Confraternite sono enti che perseguono il fine di culto e la cura delle anime, secondo la definizione civilistica. Esse sono soggette all’autorità e vigilanza ecclesiastica, sia per le attività proprie di culto, che per la gestione nonché amministrazione di beni. I beni delle Confraternite sono beni ecclesiastici, quindi sotto la sorveglianza del vescovo, secondo la normativa canonica. La gestione dei beni della Chiesa, è autentica dimensione di carità pastorale, perché sull’amministrazione dei beni ecclesiastici c’è il sacrificio, le lacrime, il sudore e il sangue del popolo di Dio, dalla cui carità questi beni provengono. Ne consegue che la stessa gestione dei beni, a qualsiasi titolo ricevuti o acquisiti, non può essere considerata di natura privatistica, ma deve essere soggetta alle norme amministrative proprie della diocesi. Un esempio recente è dato dall’attività di costruzione e gestione dei loculi cimiteriali che si è sviluppata nel corso del tempo, con una importante gestione di denaro con una non evidente trasparenza (costruzione, assegnazione, gestione, eventuale rinuncia dell’uso e riassegnazione ad un nuovo usurario). Amministrare è un’arte che sa esercitare solo chi si lascia guidare sia dalla logica evangelica del dono, sia dalla consapevolezza che il criterio principale di valutazione delle strutture pastorali non è la redditività, ma la corrispondenza alla missione della Chiesa, tenendo lo sguardo rivolto a Cristo e l’orecchio aperto alla sua Parola e attento alla voce dei poveri. La storia è, indubbiamente, un patrimonio di esperienze preziose da conservare e da usare come spinta verso il futuro, in grado di fornire forza e coraggio per il proseguimento del cammino delle Confraternite. Vi incoraggio pertanto a lavorare assieme, perché il criterio-guida sia quello apostolico, missionario, con una speciale attenzione alle situazioni di disagio, di povertà, di difficoltà, nella consapevolezza che anche queste oggi vanno affrontate con soluzioni adeguate. Così diventa possibile portare il Vangelo a tutti, valorizzare le risorse umane, sostenendo le comunità parrocchiali che più hanno bisogno. Non lasciamoci vincere dalla tentazione dell’attaccamento a un passato glorioso; facciamo invece un grande gioco di squadra per meglio rispondere alle nuove sfide che il territorio della diocesi domanda, senza paure e senza immaginare scenari apocalittici. Vi esorto a dare testimonianza di collaborazione e di condivisione fraterna agli uffici e alle direttive della Curia diocesana e invoco su tutti voi la benedizione del Signore, per intercessione di Maria Santissima Madre della Chiesa, che, con la sua tenerezza, veglia sempre su di noi.