OMELIE

Un amore che "stabat"

Omelia di Mons. Ferretti del 15-09-2016

Insediamento di don Rosario De Rosa come Amministratore parrocchiale di BMV Madonna del Rosario

«Stava presso la croce di Gesù sua Madre Maria» (Gv 19,25). Nella narrazione della morte di Gesù, l’evangelista sottolinea che Maria è in piedi presso la croce. Stare in piedi vuole indicare che ella è liberamente e volontariamente presente. Giovanni non descrive una madre oppressa dal dolore, bensì la coraggiosa discepola che ha scelto di seguire il maestro a rischio della propria vita, mentre gli apostoli, che avevano giurato di essere pronti a morire per Lui, erano fuggiti.
Questo atteggiamento di sequela della volontà del Figlio, da parte della madre, vorrei che lo vivessimo tutti noi stasera, imparando da Maria a non sentire la parrocchia con un senso di oppressione (non sotto la croce, quasi schiacciati da essa), ma viverci dentro con amore, in comunione di vita con le sorelle e i fratelli di fede (presso la croce). 
Oggi, la figura di parrocchia si trova minacciata da due possibili rischi. Da una parte c’è una spinta a farne una comunità autoreferenziale, in cui ci si accontenta di trovarsi bene, coltivando rapporti “caldi”, rassicuranti. Dall’altra si diffonde l’immagine di una parrocchia come “centro di servizi” religiosi, a cui si accede per ricevere essenzialmente sacramenti, che dà per scontata la fede in quanti li richiedono, né si impegna più di tanto. Cosa fare per rinnovare la parrocchia, perché mantenga un legame vivo con la gente? Prima ancora delle cose da fare o delle iniziative da intraprendere, vengono gli atteggiamenti di fondo da assumere. Il primo degli atteggiamenti da promuovere è l’accoglienza. Consiste nel saper fare spazio a chi è, o si sente, estraneo alla comunità parrocchiale e quindi alla Chiesa stessa. È gente che noi siamo soliti dire “lontana”, ma che non è mai del tutto assente; non rinuncia a sostare nelle vicinanze della Chiesa, alla ricerca di un contatto in cui poter esprimere la fatica della propria vita. Per tutti costoro bisogna creare uno spazio ospitale, che non è un luogo, ma una rete di relazioni interpersonali. 
Ma l’accoglienza quindi non basta. C’è bisogno anche di cercare e andare incontro. È un azione che provoca la domanda di senso là dove essa tace, ma anche che contrasta le risposte dominanti nella cultura che ci circonda, quando esse suonano come lontane e contro il Vangelo. Il rinnovamento della parrocchia consiste, perciò, anche nell’attrezzarsi culturalmente in modo più adeguato. Troppo spesso ci troviamo impreparati, soprattutto nei confronti delle nuove generazioni, perché non sappiamo intercettarne linguaggi e contenuti. Più che di iniziative abbiamo bisogno di persone, di credenti, soprattutto di laici credenti, che sappiano stare tra la gente in modo significativo.
Accogliere e ricercare, ma anche proporre, offrendo l’incontro con la Verità che è il bene dell’uomo. Qui entra in gioco l’identità della fede. Chi siamo, come cristiani e come parrocchia, non è sempre percepito nella vera luce.
C’è un “successo” sociale della parrocchia che non deve illuderci e che facilmente scivola in una spiritualità di sostegno psicologico. Contro ogni deriva sociologica o psicologica della parrocchia, occorre tornare all’essenzialità della fede. Chi frequenta la parrocchia deve poter dire di aver incontrato Cristo.
Per giungere alla chiarezza di atteggiamenti è necessario che si coltivi con assiduità e fedeltà l’ascolto di Dio e della sua Parola. Solo i discepoli della Parola sanno aprirsi alla mitezza dell’accoglienza, al coraggio della ricerca e alla consapevolezza della verità. La parrocchia deve ancorare ogni rinnovamento alla lettura della Bibbia, alla sua frequentazione meditata e pregata, all’interrogarsi su come farla diventare scelta di vita.
Perché ciò si realizzi occorre pronunciare tre grandi “no” e tre grandi “sì”.
Il primo “no” è quello al disimpegno, cui nessuno ha diritto, perché i doni ricevuti da ognuno vanno vissuti nel servizio degli altri: a questo “no” deve corrispondere il “sì” alla corresponsabilità, per cui ognuno si faccia carico per la propria parte del bene comune da realizzare secondo il disegno di Dio. 
Il secondo “no” è alla divisione, cui nessuno può sentirsi autorizzato, perché i carismi vengono dall’unico Signore e sono orientati alla costruzione dell’unico Corpo, che è la Chiesa: il “sì” che ne consegue è quello al dialogo fraterno, rispettoso della diversità e volto alla costante ricerca della volontà del Signore per ciascuno e per tutti.
Il terzo “no” è quello alla pigrizia e alla nostalgia del passato, cui nessuno deve acconsentire, perché lo Spirito è sempre vivo ed operante: a questo “no” deve corrispondere il “sì” ad una continua revisione di vita personale e comunitaria.

Cari amici, con forza e determinazione rinunciamo all’accidia egoistica e al pessimismo sterile. Papa Francesco, nella Evangelii gaudium, richiama quell’accidia pastorale, che fa sì che gli impegni stanchino più del ragionevole, e a volte si avverte non una stanchezza felice, ma tesa, pesante, insoddisfatta e, in definitiva, non accettata. 
Questa indolenza può avere diverse origini. Un’origine sta nel non valutare la realtà come superiore alle idee. Alcuni vi cadono perché portano avanti progetti irrealizzabili e non vivono volentieri quello che con tranquillità potrebbero fare. Altri, per aver perso il contatto reale con la gente, in una spersonalizzazione della pastorale che porta a prestare maggiore attenzione all’organizzazione che alle persone, così che li entusiasma più la “tabella di marcia” che la marcia stessa. In realtà, vogliamo dominare il ritmo della vita e non essere pazienti come il contadino che aspetta che il seme germogli.
L’ansia odierna di arrivare a risultati immediati fa sì che gli operatori pastorali non tollerino facilmente il senso di qualche contraddizione, un apparente fallimento, una critica, una croce. 
Non facciamoci rubare né la gioia del Vangelo, né la speranza. Chi ci ruba la gioia ci ruba il presente. Chi ruba la speranza, ci ruba la storia, vale a dire la nostra identità comune, come persone e come comunità parrocchiale.
Reagiamo, allora, con passione e consapevolezza alla mondanità spirituale e alle guerre interne. La mondanità spirituale e le guerre tra noi si contraddistinguono per il modo in cui maltrattano l’unità e la totalità. La mondanità spirituale porta alcuni cristiani ad essere in guerra con altri cristiani che si frappongono alla loro ricerca di potere, di prestigio, di piacere o di sicurezza economica. Il che equivale a dire che si privilegia il conflitto piuttosto che l’unità. Chiediamoci se nella nostra parrocchia del Rosario alcuni non abbiano smesso di vivere un’appartenenza di cordialità e simpatia reciproca, alimentando, invece, uno spirito di gelosia, di invidia, di prepotenza e di contesa.
Più che appartenere alla Chiesa intera, con la sua ricca varietà, appartengono a questo o quel gruppo che si sente differente o speciale. Vale a dire che si preferisce la parte piuttosto che il tutto, il gruppo piuttosto che la parrocchia. Non lasciamoci rubare la comunità, non lasciamoci rubare l’amore fraterno, non distruggiamo l’unità. Mettiamo la nostra parrocchia in un movimento di uscita da sé, di missione centrata in Gesù Cristo, di impegno verso i poveri. Dio ci liberi da una Chiesa mondana sotto drappeggi spirituali o pastorali. 
Questa mondanità asfissiante si sana assaporando l’aria pura dello Spirito Santo, che ci libera dal rimanere centrati in noi stessi, nascosti in un’apparenza religiosa vuota di Dio. È chiaro che là dove ci sono lotte interne, c’è mondanità spirituale. E là dove c’è mondanità spirituale finiscono per esserci lotte interne. La mondanità spirituale sta a significare la corruzione di ciò che è spirituale sotto l’apparenza di bene. 

Cari fedeli, al Calvario Maria beve goccia a goccia l’agonia del Figlio. La spada le trafigge il cuore. In quell’ora amarissima, Gesù si nega anche il conforto di chiamare Maria “mamma”. 
Donna, ecco tuo figlio, perché l’unico bene che aveva, sua madre, prima di morire l’ha regalata a noi, alla nostra parrocchia, all’umanità intera.
Santa Maria, Regina del Rosario, prega per noi il tuo Figlio, Crocifisso;
intercedi per noi con il tuo cuore materno;
custodisci le nostre famiglie;
proteggi i giovani e i bambini;
consola quanti soffrono.
Fa’ della nostra parrocchia una casa di fraternità,
perché questo popolo spalanchi il cuore a Cristo, speranza del mondo.