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La Parola della Domenica - IV Domenica del Tempo Ordinario

Riflessioni sulle letture della liturgia di domenica 30 gennaio a cura di padre Valter Arrigoni, monaco diocesano

(pubblicato il 30-01-2011)
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All’inizio di questa riflessione dobbiamo chiarire due parole che troveremo nelle letture di oggi. Il profeta Sofonia scrive “ Lascerò in mezzo a te un popolo umile e povero. Confiderà nel Signore il resto di Israele”. Il tema del “resto” accompagna l’Antico Testamento. San Paolo nella sua dottrina su Gesù Cristo arriverà a dire che il resto di Israele è lo stesso Gesù Cristo cioè l’unico giusto, vero giusto rimasto, dal quale il Padre farà nascere il suo popolo: la Chiesa. Il resto di Israele è, nella spiritualità di Sofonia,  composto da coloro, poveri ed umili, che hanno solo in YHWH la loro ricchezza, la loro sicurezza. Spesso nella storia del popolo santo ci sono stati momenti nei quali la ricchezza, la potenza, la forza hanno fatto dimenticare Dio. Allora Dio ha mandato guerre, deportazioni (come al tempo di Sofonia), carestie, pestilenze, per ridurre il  numero degli israeliti e lasciare solo quelli che avevano fede. Che avevano nella fede la loro unica ricchezza. San Paolo scrive ai cristiani di Corinto almeno due lettere nelle quali li invita all’unità. Celebre è il cantico della carità che si trova nella prima delle due lettere arrivate a noi. Interessante è il fatto che questo cantico si trova inserito nella parte della lettera che ha come argomento centrale la liturgia. Sì perchè è la celebrazione dell'Eucaristia il centro esistenziale della nostra vita, e della nostra fede. I cristiani di Corinto vivevano una profonda divisione fra le persone e fra i gruppi (oggi li chiameremmo associazioni). La causa delle divisioni Paolo la fa consistere nella superbia delle persone, in particolare di coloro che si ritengono superiori perchè hanno un ruolo sociale, ecclesiastico, perchè sono ricche. Paolo richiama la comunità alla verità scrivendo:” Non ci sono fra voi molti sapienti dal punto di vista umano, molti potenti né molti nobili. Ma quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono (che hanno la presunzione di essere  superiori, di esistere senza bisogno di Dio). Perchè nessuno possa vantarsi di fronte a Dio... che si vanta, si vanti nel Signore”. Queste parole che Dio ci dona attraverso la Chiesa in questa domenica sono attualissime. Purtroppo anche nelle nostre comunità, ecclesiali, parrocchiali, familiari, vi sono divisioni, c'è superbia, prevale il giudizio di condanna e la conseguente emarginazione delle persone, di coloro che continuiamo a chiamare fratelli e sorelle. Veniamo poi alla pagina del Vangelo di Matteo. Sicuramente una delle più celebri ma purtroppo ancora una volta meno vissute. Io preferisco chiamarla la pagina dei graffi sull'anima. Mi pare che “beatitudini” sia una parola troppo dolce, troppo accondiscendente e che non ci invita alla conversione. Il termine “beati” non rispetta l'idea che aveva Gesù nel dire “ashrei”. I settanta sapienti che tradussero la Bibbia dall'ebraico in greco tradussero con “makarios” che in greco significa beato la parola ebraica “ashrei” che significa invece “orsù alziamoci e mettiamoci in cammino verso ...”. Questa parola è quella usata da Mosè nell'Esodo per raccogliere il popolo e perchè si mettesse in marcia verso la Terra promessa. Le beatitudini allora non vanno lette come la consolazione che attende  gli sfortunati dopo la morte ma come la nuova legge del nuovo popolo che Dio si è scelto. La stessa ambientazione di Matteo che pone il discorso delle beatitudini sulla montagna richiama per i cristiani che provenivano dl giudaismo il monte Sinai e le tavole della Legge che Mosè ricevette sulla montagna. Anche i verbi usati da Matteo esprimono la solennità del momento: “Gesù salì, si mise in cattedra, aprì la bocca ed cominciò a parlare insegnando e dicendo”. Le beatitudini sono lo stile di vita del cristiano, la legge che Gesù è venuto a portare. Il vero imitatore di Gesù Cristo è “povero in spirito; nel pianto; mite; affamato ed assetato di giustizia; misericordioso; puro di cuore; operatore di pace; perseguitato”. Il premio di questo atteggiamento esistenziale è Dio stesso. Non qualcosa di consolante dopo la morte ma già qui e adesso. Le conseguenze di questi atteggiamenti sono sinonimi del vocabolario ebraico per indicare Dio stesso: “avrà il Regno dei cieli; sarà consolato; avrà in eredità la terra; sarà saziato; troverà misericordia; vedrà Dio; sarà chiamato figlio di Dio; avrà il Regno dei cieli”.