OMELIE

Pellegrino tra la gente

Omelia di Mons. Ferretti del 18-09-2016

Insediamento di d. Matteo Daniele come nuovo parroco di san Pietro apostolo

«Non potete servire Dio e la ricchezza». La conclusione del brano evangelico di stasera evidenzia come il rapporto tra fede e beni materiali non è secondario. Tocca ogni uomo: la sua libertà vera o la sua libertà illusoria.
L’evangelista apre la riflessione sull’ambiguità del denaro e sulla sua capacità di perversione nei confronti dell’uomo. La ricchezza viene definita “disonesta”, non solo perché è frutto e strumento di ingiustizia e di oppressione, ma soprattutto perchè ingannevole, in quanto promette e delude. L’uomo divinizza il danaro rendendolo idolo, insostituibile padrone della vita e della storia.
In realtà, l’uomo e la donna non sono più al culmine della creazione, lì è posta l’ideologia del danaro, motore di ogni corruzione e violenza. Per il denaro, infatti, tutto si compra e si vende; si uccide e si sfrutta, si distrugge il creato sempre e solo per una folle corsa all’accumulo.     Cosa fare, allora, dei beni materiali? Qual è l’uso evangelico della ricchezza? In concreto Gesù indica due criteri. 
Il primo: «procuratevi amici con la disonesta ricchezza». Ogni forma di risparmio a scapito di altri è sempre ingiusta e fonte di gravi squilibri sociali. Il vero capitale consiste nel promuovere solidarietà, farsi amici i poveri, noti e sconosciuti, vicini e lontani, perché siano loro ad accoglierci nella dimora eterna. I poveri, diceva sant’Agostino, sono, se lo vogliamo, i nostri corrieri e facchini. Essi permettono di trasferire, sin d’ora, i nostri beni nella casa che si sta preparando per noi nell’Aldilà. 
Il secondo criterio: «Chi è fedele nel poco, è fedele anche nel molto» (Lc 16,10). Il retto uso del denaro rivela l’identità del vero discepolo del Signore. Chi è capace di una giustizia trasparente nell’amministrare le cose materiali, dà garanzia anche per impegni delicati al servizio della Chiesa e del Regno. La sobrietà e semplicità di Gesù invita a verificare il tessuto delle nostre relazioni interpersonali e il rapporto con i beni materiali di cui possiamo e dobbiamo servirci senza diventare servi.
In questo contesto trova importanza la raccomandazione dell’apostolo Paolo a Timoteo, che sollecita la comunità cristiana a condurre una vita calma e tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio. Una parrocchia, perciò, è struttura che non dobbiamo mai lasciar morire, perché è la casa della gente, quella in cui il popolo lavora e agisce con mani pure, senza collera e senza contese. 
Il problema è come impostare la vita parrocchiale. Vi sono parrocchie con segreterie burocratiche che allontanano i fedeli e non permettono di arrivare a dialogare con il parroco; ci sono parrocchie con le porte chiuse, ma anche parrocchie aperte dove si accoglie, si ascolta con pazienza, c’è sempre possibilità di confessarsi, si anima l’oratorio, si incontra il Signore Gesù. Qualcuno dice che la parrocchia è passata di moda, e che questa è l’ora dei gruppi e dei movimenti. Sì, gruppi e movimenti aiutano a portare avanti la missione pastorale della Chiesa, ma senza diventare un’alternativa alla parrocchia. 

Carissimo don Matteo, la parrocchia a te affidata dalla Provvidenza sia una comunità in uscita, attenta a costruire fraternità attorno al Vangelo, che trasforma ogni situazione in una esperienza di ascolto e di amicizia. Questa è gratuita e non si può comprare, guardiamoci, allora, da una mentalità individualistica. Sia questa una parrocchia piena di fiducia reciproca e non di diffidenza; moltiplichiamo il bene e combattiamo, anzitutto in noi, la tentazione a isolarci e a difenderci da chi sentiamo diverso, sbarrando i confini e ripiegandoci nel conseguimento di una felicità solo apparente, perché vissuta per noi stessi. 
Tu diventa pellegrino che ripercorre in maniera sistematica le vie della parrocchia, entrando nelle case di ogni quartiere.
Ascolterai le attese pressanti, che a volte prendono il tono della disperazione, di quanti sono senza lavoro, senza casa, senza risorse per la sopravvivenza. Incontrerai anziani che vivono con pensioni di fame, famiglie soffocate dall’usura e dal gioco d’azzardo, giovani delusi che aspettano il regalo di un sorriso e la gioia di un ascolto gratuito per comunicare le proprie paure. 
Con l’olio della speranza e della consolazione, diventa prossimo di ognuno, attento a condividerne l’abbandono e la sofferenza. Consegna ogni mattina al Signore il tuo tempo, per lasciarti incontrare dalla gente e farti incontro. Così non sarai un burocrate o un anonimo funzionario dell’istituzione; non un consacrato con un ruolo di impiegato, mosso dai criteri dell’efficienza. Non cercare assicurazioni terrene e titoli onorifici. Il tuo stile di vita, sempre disponibile, ti avvicinerà agli umili in una carità pastorale che rende liberi e solidali. Ricorda che il segreto del sacerdozio è Cristo, nostra vita inseparabile.

A Gesù rivolgo per te la preghiera del Card. Newman:

Resta con me, ed allora inizierò a risplendere.
La luce, o Gesù, verrà tutta da Te. 
Sarai Tu che risplenderai sugli altri attraverso me.
 Fa’ che io Ti annunci senza predicare; non per mezzo
di parole, ma con l’esempio delle mie azioni.