INTERVENTI

Vincere la paura

Messaggio alla Città per la solennità dell'Assunzione di Maria SS.ma

(pubblicato il 14-08-2018)
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Carissimi,

come nascono le paure nella nostra mente? Non è facile spiegare, perché esse, difficili da identificarsi, sembrano non avere un nome. Imprecise e sfuggenti, comportano angoscia e smarrimento. Qualcuno le definisce “sindrome dell’insicurezza del vivere quotidiano”, attraversato da malattia, allarme economico, incertezza del futuro e soprattutto paura dell’altro, specialmente se migrante o rifugiato. Nell’incontrare un immigrato emergono due paure, la mia e quella che prova lo straniero. La sua paura è quella di chi è venuto in un mondo a lui radicalmente estraneo, di cui non conosce nulla. La mia è quella di ritrovarmi di fronte ad uno sconosciuto che, entrato nella “mia” terra e nel “mio” spazio, mi lascia intravedere che forse molti altri lo seguiranno. «Avere queste paure non è peccato. Il peccato è lasciare, invece, che queste paure determinino le nostre risposte, condizionino le nostre scelte, compromettano il rispetto e la generosità, alimentino l’odio e il rifiuto» (Papa Francesco). Certo, accogliere i migranti esige che essi rispettino le leggi, la nostra cultura e le nostre tradizioni, ma anche che noi ci apriamo alla ricchezza della diversità, senza pregiudizi, comprendendo il loro desiderio di una vita migliore alla ricerca di lasciarsi alle spalle la disperazione di un futuro impossibile da costruire. Non è facile entrare nella cultura dell’altro, mettersi nei panni di persone così diverse da noi, comprenderne i pensieri e le esperienze. Ma non possiamo pensare che i nuovi arrivati disturbino l’ordine costituito, “rubando” qualcosa di quanto si è faticosamente ricostruito. Eppure, le paure si possono vincere intrecciando una relazione interpersonale, cammino esigente e a volte faticoso, perché comporta il riconoscere l’altro nella sua dignità e desiderare di fargli posto nel proprio cuore. Dall’incontro vero nasce il dialogo, che non ha come fine l’uniformità, ma la ricerca di un senso con-diviso a partire da presupposti differenti. In un recente volume della filosofa spagnola, Adela Cortina, si fotografano le società occidentali avvolte da aporofobia (àporos = senza risorse): un atteggiamento negativo di ostilità verso i migranti, distinto dal razzismo e dalla xenofobia. Ciò che crea rifiuto, forse, non è la provenienza dei migranti, cioè la loro condizione di stranieri, ma è la povertà intesa, non solo come indigenza, ma anche come mancata definizione di un ruolo sociale con un vuoto sociopolitico in cui vivono. La condizione esistenziale dei migranti, secondo l’autrice spagnola, incarnerebbe l’incertezza umana. I migranti sono persone che non sanno cosa accadrà loro e quanto la loro condizione provvisoria e sospesa possa dimostrarsi definitiva. In realtà, noi cerchiamo solo prosperità e i migranti come i nostri disoccupati, i poveri come i giovani precari ci infastidiscono. Abbiamo paura di questa carovana di disagiati che non risultano necessari alla nostra ricerca di felicità. Per cui uno straniero non fa paura e non viene marginalizzato se ricco e famoso (vedi i calciatori o le modelle), anzi gode di prestigio e viene imitato. Solo chi è nel bisogno e non ha nulla da offrire viene scartato, perché non ha alcuna capacità contrattuale esigita  (purtroppo) per essere riconosciuto cittadino nella società. Andrà evitato, allora, il rischio che le differenze diventino distanze, con la conseguente mancanza di sereni legami sociali. Pluralità è la convivialità delle differenze, radicata nella comune appartenenza alla famiglia umana e nella singolarissima capacità di libertà che risveglia l’energia della vita, seminando amore nel mondo. Il voler trattenere, il timore di perdere qualcosa, il concentrarsi sui propri costi-benefici, fermarsi ai nostri vantaggi immediati e chiudere le relazioni disumanizza e uccide. Non dobbiamo aver paura dell’uomo. Insieme si può risvegliare quel coraggio che fa respirare la speranza negata. Apriamo lo sguardo e scommettiamo con lungimiranza nelle relazioni, nella condivisione dei progetti, nella integrazione. Non negare le nostre paure, ma non negare dentro di noi il senso di solidarietà, di tenerezza, di premurosa attenzione e la ricerca di una giustizia più grande.

Senza il sì all’altro, non c’è futuro.

† Vincenzo Pelvi