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La Parola della Domenica - IV Domenica di Quaresima

Riflessioni sulle letture bibliche proposte dalla liturgia domenicale a cura di padre Valter Arrigoni, monaco diocesano

(pubblicato il 03-04-2011)
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Nelle prime due domeniche di Quaresima siamo stati inseriti nella storia della salvezza. La tentazione della diffidenza  di Adamo ed Eva e la fede rocciosa di Abramo hanno marcato la nostra via. Siamo chiamati a percorrere una strada che due margini ben chiari: da un lato il non credere, il non affidarci a Dio e dall’altro la fiducia, l’abbandono nelle sue mani. Adesso ci sono tre domeniche che vengono dal cammino battesimale della prima comunità cristiana. Il tema dell’acqua nella quale siamo stati battezzati era segnato dalla icona della samaritana. Questa domenica quarta del tempo di Quaresima troviamo il tema della luce e domenica prossima quello della vita. Il lungo racconto del cieco nato che si incontra con Gesù a Gerusalemme lo divido in quattro scene, in quattro atti e cerco di cogliere il carattere dei protagonisti. La prima scena ha come attori il cieco stesso, Gesù e gli apostoli. Questi comandano a Gesù se la menomazione del cieco, la sua cecità appunto, è la conseguenza di un peccato suo o dei suoi genitori. La mentalità del tempo vedeva nella malattia una maledizione, un castigo di Dio. Addirittura,  nonostante la parola dei profeti che insegnava che ognuno è responsabile di se stesso e del suo peccato, non aveva fatto breccia nel cuore dei giudei. “Se il padre mangia uva acerba al figli non si alligano i denti” dicevano i profeti. Ma al tempo di Gesù, i suoi stessi apostoli, non accettano questa rivelazione di Dio. In fondo ancora oggi il nostro giudizio sulle persone dipende molto, troppo, dalla famiglia di provenienza. La parola definitiva su qualcuno dipende ancora al passato della persona, dai suoi errori. Gesù oltre alla risposta che né lui né i suoi genitori hanno peccato, apre al futuro, alla speranza, alla possibilità di una vita nuova che Dio concede. Nella seconda scena rimangono solo Gesù ed il cieco e Gesù compie tre  azioni particolarmente significative. Sputa per terra e fa del fango, lo spalma sugli occhi del cieco nato e lo invia alla piscina di Siloe. Il gesto del fare il fango con la terra e la saliva ci rimanda al secondo racconto della creazione dell’uomo che viene plasmato da Dio con argilla del suolo. Gesù con questo gesto ricrea l’uomo, lo fa nuovo. Vedremo nella scena successiva che i questo uomo nuovo non viene riconosciuto. La folla che riempie il tempio si chiede si la persona che si trova di fronte è il cieco che chiedeva la carità oppure no. I genitori non lo difendono ed i farisei lo scacciano. Il secondo gesto di Gesù è spalmare il fango sugli occhi del cieco. Occorre sapere che era severamente proibito toccare i peccatori e coloro che erano malati perché la malattia era il segno manifesto dl peccato, del castigo di Dio che così segnava pubblicamente il peccatore. Toccare voleva dire contagiarsi, prendere il male. Gesù nei Vangeli ci viene spesso descritto mentre tocca le persone, entra in stretto contatto con loro. Settimana scorsa ho trovato un bellissima frase con la quale in un commento domenicale della Comunità di Bose viene spiegato l’incontro fra Gesù e la samaritana: “osare il proprio bisogno”. Per entrare in contatto con la donna di Samaria Gesù dice di avere sete, mette davanti il suo bisogno, si fa uguale a lei. Anche con il cieco, nel gesto dl toccarlo Gesù osa il suo bisogno. Ogni rapporto umano serio, adulto, vero è un osare, un mettersi a rischio, un far vedere il proprio bisogno all’altro e rischiare il ricatto, la derisione, la delusione. Ma è anche l’unica possibilità per trovare la riposta. Gesù tocca il cieco, entra in stretto rapporto con lui, si fa carico del suo bisogno. Lo invia alla piscina di Siloe, in ebraico significa “inviato”. Il cieco nato viene inviato da Cristo e diventa un testimone, un missionario, un catechista come era accaduto alla samaritana che da emarginata ed esclusa diventa colei sulla cui parola alcuni dei suoi compaesani divennero credenti. Il terzo quadro si svolge nell’area del tempio di Gerusalemme ed ha come protagonista una numerosa folla. Ci sono  i pellegrini, i fedeli, i farisei, i genitori del cieco. Nessuno lo capisce, nessuno vuole riconoscere il suo cambiamento radicale, la creatura nuova, colui che ha fatto l’esperienza di Dio. i genitori hanno paura. Occorre chiarire che il decreto secondo il quale i cristiani erano esclusi dalla sinagoga verrà stabilito solo nel novanta dopo Cristo. Il cristianesimo era visto da tutti come un corrente all’interno del giudaismo. Molti cristiani erano ebrei, si recavano (come ci raccontano gli Atti degli Apostoli) nelle sinagoghe a predicare. Quando cade Gerusalemme in mano ai Romani, Tito e Vespasiano, prima di lasciare in massa la Terra santa i maestri di Israele si riuniscono a Iamna e stabiliscono le regole per mantenere pura la loro religione. Fra queste in particolare quelle contro il cristianesimo visto come un pericolo. Anche i Farisei si scagliano contro il cieco che è stato guarito in giorno di sabato, mostrando così la loro lettura disumana della legge di Dio. gli rinfacciano il peccato per il quale era cieco. Non vogliono ammettere l’intervento di Dio ed alla fine lo scacciano. La penultima scena rivede come protagonisti Gesù ed il cieco ormai ricreato, ci vede non solo con gli occhi, non vede solo la superficie delle cose e delle persone ma anche dentro di loro. Le parole che il cieco dice sono infatti una professione di fede: “Io credo che tu sei il Signore”. Signore, in greco kurios,è la traduzione greca del termine JHWH/Dio. Il cieco afferma di credere che Gesù è Dio. la stessa affermazione di fede la far san Tommaso otto giorni dopo la Pasqua, quando dirà “mio Signore e mio Dio” che letteralmente significa “mio Signore cioè mio Dio”. Il cieco nato ci testimonia la possibilità di n cambiamento radicale, di una conversione alla quale siamo chiamati nel cammino della Quaresima che tocca il profondo del cuore e ci fa creature nuove, uomini nuovi. L’ultima scena è quella che accadrà nelle Messe di domenica prossima, nelle nostre chiese. I protagonisti dell’ultima scena siamo noi che ascoltiamo questa parola e Gesù che ce la dice. E’ un fatto tipico del Vangelo di Giovanni (lo vediamo anche nelle nozze di Cana dove non viene riportato il nome degli sposi perché siamo tutti noi, ciascuno di noi). a tutti noi vengono rivolte le parole con le quali si conclude il brano: “Se foste ciechi non avreste nessun peccato; ma siccome dite: noi vediamo, il vostro peccato rimane”. Ascoltiamo la Parola, siamo chiamati alla conversione, al cambiamento radicale, al cuore nuovo, ad essere persone nuove. Ma anche a credere e sperare che questo cambiamento è possibile per noi e per tutti.



 



Padre Valter Arrigoni



Monaco diocesano