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Mons. Perego al Convegno Pastorale Diocesano

Intervista al Direttore Generale della Fondazione Migrantes

(pubblicato il 08-04-2011)
Immagine di Mons. Perego al Convegno Pastorale Diocesano

“Siate misericordiosi come il Padre Vostro” è il titolo del secondo Convegno Pastorale Diocesano, organizzato dall’Arcidiocesi di Foggia - Bovino. Il settimanale diocesano “Voce di Popolo” per l’occasione ha intervistato mons. Giancarlo Perego, Direttore Generale della Fondazione Migrantes presso la Conferenza Episcopale Italiana, che è intervenuto, venerdì 1 aprile, sul tema “Risorsa educativa della carità, anima delle ‘alleanze’ educative”.



“Risorsa educativa della carità, anima delle Alleanze educative”. Questo è il tema della sua relazione, nell’ambito del 2° Convegno Pastorale dell’Arcidiocesi di Foggia-Bovino. Come coniugare la carità con l’emergenza educativa delle fasce a rischio e degli operatori della formazione?

“Sviluppando il tema dell’educazione occorre sempre avere queste due attenzioni. Da una parte, i fragili e dall’altra le persone che formiamo affinché siano in grado di leggere e ascoltare il mondo e intercettare dentro la storia chi ha bisogno di essere accompagnato. Entrambe le attenzioni trovano una sintesi nella carità, che diventa uno strumento indispensabile per ricostruire le nostre comunità perché sappiano essere luoghi di accoglienza, di relazione e di incontro. La carità rappresenta gli occhiali con cui leggere le nuove povertà e i nuovi bisogni. Basti pensare, ai 198 volti di nazionalità diverse che arrivano tra noi e che parlano 140 lingue diverse. Pensiamo ai giovani che rischiano di ammalarsi di anoressia o di bulimia (3 mila morti ogni anno), alle vittime di usura (500 mila persone), alle persone che perdono il lavoro a 50 anni e non riescono più ad entrare in un percorso lavorativo e, tante volte, perdono anche il senso della vita. L’Italia è una delle nazioni, in Europa, con il maggior numero di suicidi. La carità ci consente di intercettare questi nuovi volti e ripensare alle nostre strutture sociali, ai nostri luoghi di incontro, alle nostre parrocchie come luoghi importanti in cui amare Dio e il prossimo con tutto noi stessi”.



In considerazione dell’ultima emergenza immigrazione, in quale direzione ridisegnare le politiche migratorie?

“In tre direzioni diverse: la politica migratoria internazionale, europea e italiana.

La politica migratoria internazionale deve riconoscere che 10 anni fa erano 100 milioni le persone che si spostavano nel mondo, oggi ne sono 200 milioni. Migrano perché ci sono 22 guerre in atto, perché 1 miliardo di persone ha fame, 1 miliardo e 400 milioni di persone ha sete, perché ci sono disastri ambientali gravissimi. Questo livello di politica delle migrazioni chiede più cooperazione, una cooperazione internazionale che, invece, in questi anni, è stata debolissima e si è indebolita in maniera vergognosa.

Passiamo alla politica migratoria dell’Europa, che è unita sul piano dei mercati, ma è debolissima sul piano sociale e non sa leggere un fenomeno importante, quale i 70 milioni di migranti. Rischia, quindi, di lasciare ad ogni singolo Stato un problema che ormai è comune. L’Europa deve capire come fare politica del lavoro e politica della famiglia insieme.

Per quanto riguarda il nostro Paese, la politica migratoria è debole perché non ha saputo leggere un fenomeno che stava crescendo. Vent’anni fa, quando abbiamo fatto il primo Dossier Immigrazione, gli immigrati erano poco meno di 500 mila, oggi ne sono 5 milioni. E la politica non è cambiata. Questo significa che occorre fare una politica delle migrazioni attenta non solo alla logica della sicurezza, ma anche a quella dei luoghi sociali. Non si può fare una politica migratoria senza cambiare anche la politica scolastica, familiare e del lavoro. Quando avviene un fatto come Lampedusa emerge profondamente la debolezza della nostra politica migratoria. Difatti, dopo un mese e mezzo, non ancora riusciamo a dare uno status ai 20 mila che sono arrivati. Non riusciamo, quindi, a dare un Decreto Flussi Straordinari per questa regolarizzazione. Abbiamo fatto diventare le persone che sono giunte nel nostro paese dei vagabondi nel contesto italiano e in quello europeo. Queste difficoltà non possono venire con l’arrivo di 20 mila persone, quando ogni anno, in Italia, gestiamo l’arrivo di 30 milioni di turisti. Ancora una volta, l’accoglienza passa solo attraverso la logica di mercato e non passa, invece, attraverso la logica della mobilità. E questo non solo in Italia ma anche nel contesto europeo. Pensiamo alla Francia: è stata la prima a spendere 300 milioni di euro per mandare dei missili e bombardare in una settimana uno Stato e non è pronta ad accogliere persone che stanno passando nella propria frontiera per raggiungere i propri familiari. È un’altra dimostrazione di un’Europa sociale debole e ancora più indebolita nella lettura delle migrazioni”.



Quindi, la logica del profitto, ancora una volta, toglie spazio alla dimensione etica dell’esistenza. Da qui, l’esigenza di una nuova formazione culturale per la cittadinanza italiana ed europea. Qual è il ruolo di Migrantes in questo processo di formazione per favorire la cooperazione europea?

“Il ruolo di Migrantes si colloca proprio sul piano culturale e sul piano pastorale. Evidenziamo tre strumenti di formazione fondamentali: il Dossier Immigrazione, il Rapporto Italiani nel mondo, e la lettura specifica sul mondo dei rom. Questi strumenti sono indispensabili per aiutare a leggere le minoranze dentro la città senza escluderle, perché la democrazia vera è un percorso di inclusione, come dice Norberto Bobbio. Tutte le volte che noi escludiamo qualcuno non stiamo facendo democrazia, non stiamo costruendo città. Ecco, la Migrantes cerca di essere attenta sul piano culturale e sul piano pastorale alla verità delle migrazioni perché si possa leggere in questo incontro fra popoli un segno dei tempi”.



Nell’ultima Lettera Pastorale l’Arcivescovo, mons. Francesco Pio Tamburrino, parla dell’esercizio della carità come occasione fondamentale per declinare i valori cristiani nel nostro quotidiano. Rispetto al fenomeno migratorio, come possiamo declinare nelle nostre vite l’esercizio della carità? “La carità è ciò che ci aiuta a fare in modo che la città sia un luogo di tutti, in cui non si facciano parti uguali tra disuguali. La carità non dà a tutti le stesse cose ma la carità ama di più chi ha bisogno di essere amato di più. Quando abbiamo messo al centro della città i poteri: da una parte, la Cattedrale e dall’altra il Comune abbiamo perso di vista chi doveva essere al centro della nostra città. Quando Giorgio La Pira costruì il quartiere, riconosciuto più bello in tutta Europa, nella sua Firenze, per prima cosa ha edificato il giardino, la scuola, la chiesa. Insomma, i luoghi comuni, attorno ai quali hanno valore i luoghi dell’abitazione, i luoghi dell’impresa, i luoghi della vita. Ecco, una carità che si coniuga con la giustizia è una carità che diventa forma della città, oltre che forma della Chiesa. Non è un caso che la Chiesa si chiama anche agape, la Chiesa è carità. È la prospettiva su cui i cristiani, anche nella formazione sociale e politica, devono muoversi per riuscire veramente a cambiare questo mondo e a renderlo migliore. Perché è proprio vero che è possibile cambiare questo mondo”.