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La Parola della Domenica - Solennità del Corpo e del Sangue del Signore

Genesi 14,18-20; 1 Corinti 11,23-26; Luca 9,11b-17.

(pubblicato il 06-06-2010)
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San Francesco, non essendo un sacerdote, non celebrò mai la messa. Volle rimanere diacono. Anche quando parla della messa come memoriale della Pasqua, è sempre e soprattutto per indicare quale deve essere l’atteggiamento di chi la celebra e di chi vi partecipa. Ai suoi frati dice di non fare abuso di messe. Ne basta una al giorno. I sacerdoti presenti in comunità la celebrino a turno.





 



 



    Si lamenta oggi da parte di liturgisti e pastoralisti un’ inflazione di messe. Se ne celebrano a tutte le ore del giorno,e, spesso, non per motivi pastorali. Dobbiamo sinceramente domandarci se, dando importanza esclusiva alla messa, che è fons et  culmen della liturgia e della vita cristiana, non si corra il rischio di farne qualcosa che tutto altro è che fons et culmen. Perché può essere considerata e “vissuta” come qualcosa che non attiene all’ esistenza, alle scelte da compiere ogni giorno e gli obblighi e i doveri che ogni cristiano in quanto uomo e credente ha da onorare, come cittadino e fedele. Non dobbiamo mai dimenticare che il momento cultuale è importante ed è necessario, ma non è l’unico: ad esso attingiamo quell’ethos che diventa un sentire secondo Cristo e secondo lo Spirito, sentire che va vissuto e testimoniato nella concretezza della vita di ogni giorno, ogni momento.



 





 



 



Che la celebrazione della messa, che è “sacro convito in cui si riceve Cristo, memoriale della Passione del Signore, partecipazione ai beni della salvezza e pregustamento della consumata intimità di vita trinitaria” (cfr l’antifona: O sacrum convivium), sia affidata alle nostre mani, può indurci nella tentazione di pensare che, in un certo senso, possa essere realizzata quando e quante volte noi vogliamo. In quanto affidatari, possiamo pensare di poterne disporre come padroni. Ho sentito a volte preti, esemplari per costumi e zelo pastorale: “E’ sempre un bene celebrare”.



 





 



 



   Certo, Dio si affida alle nostre mani. Ma dovrebbe proprio questo suo affidarsi a renderci sempre più consapevoli che la messa, l’eucarestia è puro dono. Il corpo e il sangue di Cristo, i segni della sua Passione per noi vanno ricevuti aprendo ad essi il cuore e le mani, la vita, non concependo pensieri di utilizzo a nostro vantaggio, mettendo le mani su di essi come dei padroni. Si possono far pagare i doni di Dio se non col denaro, con l’imporre soggezioni alle proprie vedute che seguono una logica “carnale” e  che umiliano e avviliscono coloro che, invitati, partecipano alla mensa del Signore.



 



 



La  salvezza non si realizza quando io m’impossesso di Dio – impossessarsene è, comunque impossibile, se non mediante una riduzione di Dio a cosa, a un idolo – ma solo quando io mi lascio possedere da Dio. La celebrazione della messa deve essere la celebrazione della mia disponibilità a lasciarmi “prendere”, cristificare nella potenza dello Spirito, e offrire e mangiare per nutrire nella fede il Cristo che è in ogni uomo. E questa mia disponibilità nei riguardi di ciò che Dio vuole realizzare in me e attraverso di me deve ogni giorno sempre più crescere, ad ogni celebrazione di messa, nella misura della disponibilità di Dio verso di me a donarsi a me, nella mia fragilità di creatura, di essere bisognoso ogni giorno ancor di più di misericordia e di perdono.



 





 



 



   La conservazione dei segni eucaristici nella nostre chiese oggi più che mai deve significare che il sacramento che abbiamo ricevuto non è ancora del tutto accolto da noi finché col corpo e col sangue del Signore non assimiliamo tutta intera la sua vita. La presenza eucaristica nelle nostre chiese è nel segno della riservatezza, della discrezione, del nascondimento e della pura gratuità. E’ degno e giusto e salutare che pieghiamo le nostre ginocchia dinanzi al mistero dell’invisibile ma più vera presenza dell’impenitente amore di Dio per noi che è Gesù Cristo, via verità  e vita Dobbiamo riscoprire il valore, il bisogno, la necessità dell’adorazione, del “perdere tempo davanti a Lui per niente”, in totale assoluta libertà d’amore,per testimoniargi la nostra incondizionata disponibilità ad accoglierlo quale Dio con noi, di ciascuno e di tutti, Dio affamato i relazioni con l’uomo che vuole arricchirsi dell’umanità di tutti gli uomini da lui redenti e salvati, nel dono di sé sulla croce, che ora si fa presente, sotto i nostri occhi, nel pane dell’altare.



 



 



L’eucarestia è Dio che perpetua il dono di sé all’uomo. Dono che apporta vita vera, che accresce in noi l’adozione a figli e ci configura all’unigenito del Padre, che ci partecipa lo stesso suo potere di dare la vita per il mondo, di perderla e  come pane spezzato offrirla in nutrimento di tutte le buone attese e  speranze  che rendono degna, su questa terra,  la vita di un uomo.



   mons. Donato Coco