INTERVENTI

Fortunato Maria Farina e' Venerabile

Messaggio per il decreto sull'eroicita' delle virtu' di mons. Farina

(pubblicato il 25-11-2020)
Immagine di Fortunato Maria Farina e' Venerabile

 



Il 23 novembre 2020, Papa Francesco ha autorizzato la Congregazione delle Cause dei Santi a promulgare il Decreto del Servo di Dio Fortunato Maria Farina, già Vescovo di Troia e di Foggia; nato l’8 marzo 1881 a Baronissi e morto a Foggia il 20 febbraio 1954.

Nonostante il contesto attuale, con i suoi rischi, le sue sfide e le sue opportunità, in ciascuno di noi, afferrato dalla nostalgia del soprannaturale, risuona la chiamata alla santità (cf. GeE 2). Nella parola dell’Apostolo che invita ad essere santi e immacolati nella carità (cf. Ef 1,4) si incarna la vita e il ministero di mons. Fortunato Maria Farina, già Vescovo delle Diocesi di Troia e Foggia. L’esercizio della spiritualità ignaziana e l’apertura alle profondità dell’anima, in cui abita e si fa sentire Dio, aiuta a considerare questo pastore totalmente toccato dalla grazia del Signore. La disciplina delle sue giornate, l’amore alla Scrittura, il colloquio orante con Cristo nell’Eucaristia, la vicinanza alle persone più deboli e fragili, il sì di Maria, considerata pedagoga nell’accettare la volontà del Padre, sono aspetti che hanno reso mons. Farina cantore dell’Eterno, con linguaggio vicino al sentire umano. Lo Spirito Santo precedeva ogni suo gesto, avvolgendolo di rasserenante empatia. Nell’accostare la figura del Vescovo di Troia e di Foggia, si evidenzia in lui il racconto di una comunità ecclesiale, ricca di speranze e premure pastorali. Della Chiesa locale, sentiva di essere figlio, perché esisteva prima di lui. In realtà, respirava con la Chiesa nella stessa sua luce, di giorno; nelle sue stesse tenebre, di notte. Era un autentico orante che si collocava, quale intercessore, nelle preghiere di angoscia e nei canti di festa del suo popolo per infondere vigilanza, fortezza, coraggio e profezia nel nome del Signore. Il suo tratto umano, mite, pacificante e fiducioso orientava al dialogo franco e spontaneo, spingendo tutti al risveglio della coscienza. Rigore e mitezza erano armonizzate nella sua persona tanto da renderlo al tempo stesso segno di contraddizione, ma anche ricco di stima, che chiunque lo avvicinava non riusciva più a non tributargli. Nello stargli accanto, si percepiva la paternità di un Vescovo, innamorato del cuore di Cristo; e nasceva nell’animo un sapiente messaggio di incoraggiamento e consolazione. Il luminoso esempio di vita di mons. Fortunato si potrebbe sintetizzare con tre annotazioni: è stato creatura della Parola, ministro della grazia, fratello e servo della comunità. Con l’ascolto silenzioso e la sua capacità di discernimento, è diventato una creatura della Parola, che, seminata con abbondanza, larghezza, senza calcoli o esclusioni, in mezzo a sassi e spine, interpellava coloro che sulla soglia stavano a guardare. Il suo ministero si colorava come di sapienza contadina, fatta di attesa, sorpresa, brivido ed emozione guardando il terreno dove il seme porta frutto in abbondanza. Testimoniava la pedagogia del prendersi cura, lasciandosi affiancare dal vero Seminatore, che prima si avvicina, spiega le Scritture, dopo si ferma a cena e fa ardere il cuore. Sapendo che divina eloquia cum legente crescunt, il Vescovo di Troia e Foggia ispirava la predicazione al farsi capire, sentire e muovere la volontà per realizzare quanto recepito. Ai sacerdoti soleva ripetere che il predicatore non poteva essere né un attore, né un ciarlatano, né uno schiamazzatore. Voleva, infatti, che l’annuncio fosse alieno dal rumore della pubblicità e il bene offerto si facesse nel nascondimento e nell’ombra. L’altro aspetto significativo della vita di mons. Farina è stato il desiderio di aprirsi sempre alla scoperta del mistero insondabile di Dio. Era un contemplativo e, nella preghiera, trovava la sorgente del suo essere e agire. Chi potrà mai dimenticare le lunghe ore di adorazione nella cappella dell’Episcopio, incurante del freddo gelido dell’inverno o del caldo soffocante dell’estate. Al tabernacolo tornava spesso durante il giorno, per brevi visite e per aprire o rileggere la corrispondenza che gli recava dolore e preoccupazioni. All’altare del Signore maturava i programmi pastorali e ponderava gli atti del suo governo, insegnando la via della preghiera, come la scelta migliore di tutte, l’unica arma per uscire dall’infinito mare delle proprie miserie e immergersi nel ritmo della lode eterna. «Preghiera e penitenza, ecco i mezzi soprannaturali coi quali unicamente potrò avverare la salvezza e la santificazione del mio popolo, delle anime che mi sono affidate, alle quali consacro irrevocabilmente tutto me stesso, tutte le mie povere energie» (10 agosto 1919). E proprio nella preghiera portava la storia delle persone affidategli dalla Provvidenza per capire a cosa Dio le chiamasse, quali parole dire e con quale animus incontrarle, non perdendo mai di vista che la persona di Gesù è ciò che conta più di tutto. Mons. Farina armonizzava la regola di vita del monaco con la dinamica prossimità del Pastore d’anime: un’armonia che traspariva da ogni momento della sua giornata. Basta rileggere alcune espressioni del diario spirituale: «Levarmi per tempo e con prontezza, alle 6.30. Vestirmi alla svelta e fare subito l’offerta della giornata. Indi un’ora di orazione, comprendendo in essa anche le litanie dei santi. Poi impiegherò un’altra ora per la Santa Messa e l’Ufficio divino. Praticare il silenzio e il raccoglimento interiore e, per quanto mi sarà consentito, anche quello esteriore. Poi due ore di studio e di corrispondenza per la Diocesi, mezz’ora di studio della Sacra Scrittura. Fedeltà alle piccole mortificazioni che mi sono permesse dal padre spirituale…ricordare la mia oblazione. Lavorare con tutto l’ardore e santificarmi» (17 aprile 1938). Alla luce del motto episcopale “Frumentum Christi sum” potremmo riferire, con analogia, a mons. Farina, quanto attribuito al Mistero della fede: la carne è donata con ardente disponibilità e Cristo, restando tra noi, si vela nell’offerta quotidiana. Il Vescovo, immolandosi silenziosamente con il Risorto, nello spezzarsi, teneramente, con il corpo e lo spirito, continua ancora oggi a realizzare il legame indissolubile e salvifico tra la storia del cielo e quella della terra. Inoltre, mons. Fortunato, nell’esercizio del ministero, si comportò come fratello e servo. Chi è il più grande si deve fare come il più piccolo, e colui che governa, come colui che serve (cfr. Lc 22,26-27). Soleva ricordare ai sacerdoti che bisogna amare le anime come Gesù, sino al sacrificio e all’immolazione totale di noi stessi. Non si può concepire un apostolo senza spirito di sacrificio e di grande abnegazione, nonostante gli insuccessi dell’apostolato. La dimensione di servizio, fortemente “balsamica” per l’umanità, riflette la ricca maternità della Chiesa serva. Chi si configura a Cristo diventa carne della Chiesa, nella quale la comunione donata dal Signore assume anche una sua modulazione antropologica e sociale: dall’anima e dal cuore alle mani, ai gesti quotidiani della vita, alle iniziative intraprese, in una parola al dono reciproco e alla carità vicendevole, che ebbe momenti di autentico eroismo. Penso al periodo tragico dei bombardamenti di Foggia del 1943, quando tutte le autorità civili si allontanarono dalla città, il Vescovo con i sacerdoti rimase vicino al popolo martoriato, affrontando i problemi concreti più urgenti: dalla sepoltura dei cadaveri all’approvvigionamento dei viveri, alla stessa organizzazione civile della città. L’opposto della paura non è il coraggio ma l’amore. Chi vuole sbarazzarsi dell’amore si dispone a sbarazzarsi del fratello. Non fu così per la Chiesa di Foggia che offrì consolazione e aiuto. È proprio della carità coltivare la concordia, conservare l’unità, superare le divisioni, raddrizzare le vie tortuose e consolidare le virtù. Ciò permise al Vescovo Farina di essere presente nella difficile scelta politica del tempo, con i suoi interventi carichi di equilibrio, speranza evangelica e pace sociale. Immergendosi nel popolo e nelle sue sofferenze toccava le piaghe e le povertà della sua gente, discernendo la volontà di Dio. Ciò lo spingeva ad essere aperto all’incontro e al dialogo e incontrare Dio dovunque si facesse trovare, nella storia concreta di ogni persona, orientando sempre le circostanze ad una lettura positiva della grazia divina. La più bella eredità che mons. Fortunato lascia è la sua vita in dono. Così si può riassumere la sua esistenza. Ma una vita non si riassume mai; essa si spende, si dissemina, si sparge e noi continueremo a raccoglierne i semi di risurrezione, il frutto del suo lavoro, per cantare le meraviglie del Risorto. La pubblicazione del volume, curata amorevolmente da mons. Orazio Pepe, in occasione della dichiarata venerabilità, come atto di profonda riconoscenza verso quest’uomo di Dio, è un ulteriore impegno a guardare al vescovo Farina come ad un padre, fissando quelle mani sempre in atto di benedire e quegli occhi buoni come il sorriso e devoti come una preghiera. Ci conceda il Signore di essere degni della sua memoria e ispiri la vocazione alla santità in tutti, nella certezza che «né chi pianta, né chi irriga vale qualche cosa, ma Dio che fa crescere» (1Cor 3,7).

Vincenzo Pelvi