OMELIE

Incontro Comunità Neocatecumenali a s. Giovanni Rotondo

Omelia di Mons. Ferretti del 03-09-2017

Carissimi,

l’obbedienza alla Parola di Dio conduce il profeta Geremia a denunciare le ingiustizie e le violenze che si ammettono all’interno del popolo di Dio e a incontrare, così, opposizione, emarginazione, derisione da parte di coloro a cui profetizza.

Egli, infatti, dichiara apertamente il disagio nel dover “gridare”, ogni volta che parla, ciò che chiunque non può essere mai felice di dover dire agli altri. Del resto, anche quando la Parola del Signore diventa per noi causa di vergogna e scherno tutto il giorno (cf. Ger 20,8), perché ci impedisce di chiudere gli occhi davanti al male, non è possibile resistere alla sua forza di attrazione: «Mi hai sedotto, Signore, e mi sono lasciato sedurre» (Ger 20,7). Dinanzi all’ascolto della Parola potremmo anche provare a non pensare e parlare secondo Dio, ma se la voce illumina i nostri cuori, rinnegare la verità significa rinnegare se stessi.

È lo stesso Geremia che riconosce la Parola come fuoco ardente, trattenuto nelle sue ossa; si sforzava di contenerla, ma non poteva (cf. Ger 20,9). Al cuore della crisi (non parlerò più in suo nome), Geremia trova la conferma della sua vocazione all’annuncio nel più profondo di se stesso; nel cuore infiammato dalla Parola.

Se il Signore è una passione, anche la crisi, la delusione e l’amarezza saranno momenti di verità della fede e della vocazione.

Di fronte al dissidio interiore di Geremia appare più comprensibile e meno folle il messaggio dell’evangelista.

Sono passati mesi da quando i discepoli hanno incontrato Gesù per la prima volta, e questo incontro ha sconvolto il loro cuore. Lo hanno seguito. All’inizio le loro speranze non sono state deluse; guarigioni e miracoli così vari e numerosi…un futuro promettente con il Maestro di Nazareth.

Ecco, improvvisamente, le cose sembrano essersi modificate. Gesù viene spiato, combattuto in pubblico. Ma soprattutto è Gesù che sembra cambiato quando parla di sofferenza, del fatto che sarà messo a morte e di una sua misteriosa risurrezione. Pietro crede che Gesù stia attraversando un momento di scoraggiamento e ha bisogno di una parola amica che lo conforti. Non pensa secondo Dio ma secondo gli uomini.

Con grande schiettezza, tuttavia, Matteo lascia emergere una questione di fondo, ossia il fatto che tra il Maestro e i suoi discepoli, Gesù e la Chiesa, vi è sì continuità ma anche profonda diversità. Si vede bene il netto distacco che esiste tra Cristo e i suoi apostoli, rappresentati dal “primo” di loro, Pietro.

È un divario che infastidisce molte persone ma che, innanzitutto – se vogliamo essere sinceri come l’evangelista –, sentiamo gravare su noi che di questa Chiesa siamo e restiamo membra e dalla quale non possiamo troppo facilmente prendere le distanze. In effetti, Gesù stesso riconosce che la Chiesa in quanto tale può diventare pietra d’inciampo, piuttosto che di sostegno; diaframma che allontana, anziché luce che attira.

La proposta di Gesù, come sempre, è molto semplice e chiara: la distanza che esiste tra lui e la Chiesa può essere colmata solo mediante una rinnovata e costante azione di riavvicinamento da parte nostra nei suoi confronti. Ovvero – nel linguaggio concreto e immediato di Gesù –, seguendo Lui. Rimane questo, insomma, l’atteggiamento caratteristico e fondamentale dei discepoli, da intendere non soltanto come singoli, ma anche come Chiesa nel suo insieme.

Una Chiesa che mette da parte ogni preoccupazione per se stessa, per la propria rilevanza pubblica, per la propria influenza, perfino per la propria sussistenza. Solo perdendo se stessa, infatti, essa può dare un’immagine, sia pure sempre pallida, e attestare la presenza di Colui che ha rivelato la grandezza d’animo di Dio perdendo tutto se stesso sulla croce.

Sono riflessioni che ci devono coinvolgere tutti, in quanto membri attivi e responsabili della comunità cristiana, ma che devono anche rasserenarci, di fronte alla crescente marginalità della Chiesa nel mondo contemporaneo. Appare, questa, una perdita (di consensi, di influenza, di prestigio) ma, se la viviamo come un maggiore avvicinamento a Cristo e al suo amore crocifisso, essa diventerà indubbiamente di una fecondità più grande.

Rimane sempre da rinnovare, per la Chiesa nel suo insieme, per ciascuno di noi, quel costante, quotidiano riavvicinamento a Cristo, quella progressiva assunzione del suo modo di pensare e di vivere secondo il suo stile e i suoi sentimenti che immettono nel corpo intero della Chiesa le fresche energie dello Spirito di Cristo.

      La croce è sempre scandalo: solo integrando lo scandalo della croce nel nostro cammino di fede, possiamo evitare di divenire noi stessi motivo di scandalo per il Vangelo e di scandalizzarci noi del Messia crocifisso (cf. Mt 26,31: «Tutti voi vi scandalizzerete di me in questa notte»). Pietro, nella sua ribellione alla croce di Gesù, esprime l’atteggiamento di repulsione che spesso è anche nostro e ci porta a confessare rettamente la fede e a smentire tale confessione nella prassi. La croce è l’elemento più radicalmente estraneo al mondo: Pietro che si ribella mostra il suo conformismo mondano, il suo essere conforme ai parametri e ai criteri della mondanità, il suo pensare e sentire in modo conforme agli uomini e non secondo Dio.

È il nostro culto spirituale, non un culto liturgico ma esistenziale che riesce a plasmare le scelte di vita alla luce del Vangelo.