OMELIE

Dalla vanità alla verità

Omelia di Mons. Ferretti del 04-09-2017

Insediamento di d. Diego Massimo Di Leo come nuovo parroco alla parrocchia B.M.V. del Rosario

Carissimi,

nel Vangelo odierno si passa dall’entusiasmo all’aggressione, dall’ammirazione al rifiuto. Come cambia in fretta il cuore degli abitanti di Nazareth. All’inizio sono lusingati e felici, ma poi si arrabbiano e per poco non uccidono Gesù.

Cosa avviene tra questi due momenti. All’inizio gli abitanti di Nazareth sono fieri di tale concittadino, stregati dalla sua parola, meravigliati dalle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca. Tuttavia c’è qualcosa di nuovo. Gesù bambino era figlio della loro città. Il padre era Giuseppe, loro vicino di casa. Ma Gesù adulto deve compiere la missione di salvezza affidatagli dal Padre.

I nazareni non possono pretendere i miracoli fatti a Cafarnao. Nessun profeta – dichiara Gesù – è bene accetto in patria. La grazia di Dio non si può dirottare a proprio vantaggio.

Di qui lo scandalo, lo sdegno, la mormorazione, il tentativo di gettarlo giù dal monte. Nazareth non ha alcun diritto su Gesù; è la città, come Gerusalemme, che perde l’occasione della visita del Signore, al punto che in questi luoghi Gesù non compie miracoli, a causa della mancanza di fede.

Anche noi spesso preferiamo miracoli e visioni alla parola di Dio; vorremmo segni che non lascino dubbi e ci liberino dalla fatica di credere. Non serve vedere Dio; bastano il suo Vangelo e il suo Spirito che riscalda il cuore.

Anche nelle nostre parrocchie si crede di sapere tutto di Dio, delle sue simpatie e della sua logica. Un Dio prevedibile nelle sue azioni. Ma il Dio di Gesù è per sua natura imprevedibile e non intende rendersi disponibile per il vantaggio di qualcuno. Purtroppo quando il Signore non ci accontenta e squarcia il velo delle nostre abitudini e della nostra presunzione, anche se professiamo di essere a Lui vicini e familiari, reagiamo con una terribile e peccaminosa ostilità al cammino di salvezza che propone. Tale arroganza, ammantata di ipocrita spiritualità, scaturisce dalla presunzione di avere sempre una precedenza (cf I Tess 4,15) con cui ci illudiamo di essere o almeno sentirci superiori agli altri.

Con grande schiettezza, l’evangelista lascia emergere una questione di fondo, ossia il fatto che tra il Maestro e i suoi discepoli, Gesù e la Chiesa, vi è sì continuità ma anche profonda diversità. Si vede bene il netto distacco che esiste tra Cristo e i suoi concittadini.

È un divario che infastidisce molte persone ma che, innanzitutto – se vogliamo essere sinceri come l’evangelista –, sentiamo gravare su noi che di questa Chiesa siamo e restiamo membra e dalla quale non possiamo troppo facilmente prendere le distanze. In effetti, Gesù stesso riconosce che la Chiesa in quanto tale può diventare pietra d’inciampo, piuttosto che di sostegno; diaframma che allontana, anziché luce che attira.

La proposta di Gesù, come sempre, è molto semplice e chiara: la distanza che esiste tra lui e la Chiesa può essere colmata solo mediante una rinnovata e costante azione di riavvicinamento da parte nostra nei suoi confronti. Ovvero – nel linguaggio concreto e immediato di Gesù –, seguendo Lui. Rimane questo, insomma, l’atteggiamento caratteristico e fondamentale dei discepoli, da intendere non soltanto come singoli, ma anche come Chiesa nel suo insieme.

Una Chiesa che mette da parte ogni preoccupazione per se stessa, per la propria rilevanza pubblica, per la propria influenza, perfino per la propria sussistenza. Solo perdendo se stessa, infatti, essa può dare un’immagine, sia pure sempre pallida, e attestare la presenza di Colui che ha rivelato la grandezza d’animo di Dio perdendo tutto se stesso sulla croce.

Sono riflessioni che ci devono coinvolgere, in quanto membri attivi e responsabili della comunità cristiana, ma che devono anche rasserenarci, di fronte alla crescente marginalità della Chiesa nel mondo contemporaneo. Appare, questa, una perdita (di consensi, di influenza, di prestigio) ma, se la viviamo come un maggiore avvicinamento a Cristo e al suo amore crocifisso, essa diventerà indubbiamente di una fecondità più grande.

Rimane sempre da rinnovare, per la Chiesa nel suo insieme, per ciascuno di noi, quel costante, quotidiano riavvicinamento a Cristo, quella progressiva assunzione del suo modo di pensare e di vivere secondo il suo stile e i suoi sentimenti che immettono nel corpo intero della Chiesa le fresche energie dello Spirito di Cristo.

      «Si recò a Nazareth dove era stato allevato ed entrò, secondo il suo solito, nell’assemblea e si alzò a leggere» (Lc 4,16). Dopo aver letto quelle parole, arrotolò il volume, «lo diede all’inserviente e si sedette. Gli occhi di tutti nella sinagoga erano fissi su di lui» (Lc 4,20). Anche ora, se lo volete, nella nostra assemblea, potete fissare gli occhi sul Salvatore. Quando dirigerai il profondo del tuo cuore alla contemplazione della Sapienza, della Verità e del Figlio unigenito di Dio, i tuoi occhi vedranno Gesù. Beata l’assemblea dove tutti hanno gli occhi fissi su di Lui. Come vorrei che questa parrocchia vivesse una testimonianza simile; che tutti i fedeli, donne e uomini, tenessero fissi su Gesù gli occhi non del corpo, ma dell’anima. Quando volgerete lo sguardo su di lui, la sua luce e la sua contemplazione renderanno più luminosi i vostri occhi e potrete dire: «Ha brillato su di noi la luce del tuo volto, Signore» (Sal 4,7). «A lui è gloria e potenza nei secoli dei secoli. Amen» (1Pt 4,11).