OMELIE

Lasciamoci stupire dalla comunione

Omelia di Mons. Ferretti del 23-10-2017

Solennità della Dedicazione della Basilica Cattedrale di Foggia
Carissimi,
la parabola evangelica ascoltata richiama il ragionamento che un uomo ricco fa tra sé. «Egli ragionava tra sé: che farò? Farò così…poi dirò a me stesso» (Lc 12, 17.18.19). Ecco un singolare dialogo in cui non ci sono interlocutori se non l’io smisurato dell’uomo abitato da cupidigia e avidità. Non c’è nessuno attorno all’uomo ricco, nessuno nella casa, nessuno nel cuore, non un volto né un amico. Un uomo ricco al centro di un deserto, solo e non felice, perché la felicità dipende da due cose: non può essere mai solitaria e ha a che fare con il dono. Nell’orizzonte dell’uomo ricco non c’è alcuna preoccupazione per gli altri, perché tutto è visto nella categoria del mio. La vita non dipende da ciò che si possiede ma dalla comunione con Dio e i fratelli. La comunione: tutti cerchiamo di concretizzarla, ma con tanta fatica. A volte la vediamo tradita. Ma ad essa siamo chiamati. È un compito e un dono. Il primo aspetto da sottolineare è l’invito a non arrenderci, ma a risvegliare la fiducia nella diffusa volontà a creare comunione. Non possiamo fidarci solo di noi stessi e delle nostre tattiche o aspirazioni. Finché ognuno non si renderà conto della propria fragilità, dei limiti o errori, penserà che la comunione manca sempre per colpa degli altri. Bisogna decentrarsi e ammettere che la gente si pone domande a cui non facciamo caso. Non comprendere ciò significa restare prigionieri del passato o di un futuro che sta solo nella nostra testa. Tante volte potremo essere insidiati dal narcisismo, uno degli ostacoli più subdoli della comunione, perché esso si nutre di potere e della conseguente ammirazione e si fa attento alla richiesta di efficienza e funzionalità. Andiamo oltre l’esistente di noi stessi, delle nostre comunità parrocchiali, dei singoli gruppi ecclesiali. Oltre significa avere a cuore la conversione missionaria della Chiesa, perché il tempo presente non è un problema ma una opportunità. Occorre osare una scelta pastorale capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura diventino un canale adeguato per annunciare Gesù. Dinanzi ad un territorio ferito e stanco, dobbiamo scoprire e trasmettere la mistica di vivere insieme, di incontrarci, appoggiarci, di partecipare a questa marea un po' caotica che può trasformarsi in una ricca esperienza di fraternità, in una carovana di solidarietà (Cf. Evangelii gaudium, 87). Chiudersi in se stessi significa nutrirsi con l’amarezza della mondanità. Se non vogliamo essere degli atei credenti, risvegliamo la forza della carità come costitutiva dell’essere umano e cristiano. È impegno primario di conversione pastorale rispettare l’alterità come differenza e non come divisione. La differenza è buona, la divisione è una perversione della diffidenza ed è cattiva. Quando nascondiamo il conflitto o trasformiamo la differenza in divisione creiamo emarginazione e disprezzo dell’altro, dichiarando morte alla relazione interpersonale. L’inferno è l’isolamento dall’altro, non è l’altro; per questo abbiamo bisogno di crescere in umiltà e verità, veri tratti dell’umanesimo cristiano. Diversamente la differenza sull’affrontare come Chiesa la collaborazione, la gestione dei beni o altre tematiche, viene considerata divisione o addirittura opposizione, anche da parte dei mezzi di comunicazione e di uomini politici. Sforziamoci di conoscere e far conoscere il percorso diocesano della nostra Chiesa. La diocesanità è una esperienza di appartenenza: si appartiene a un corpo che è la Diocesi. Senza questa consapevolezza diventiamo troppo soli, con il pericolo di diventare anche infecondi nell’apostolato. È molto triste quando le chiese rimangono chiuse o quando dei cartelli indicano i giorni e l’orario delle confessioni. La parrocchia non è un ufficio del sindacato. Alcune volte penso alle chiese che sono su strade molto popolose e mi chiedo cosa dire a un fedele che vuole adorare il Signore. La gente, invece, vede la porta aperta, entra e incontra la luce.
Cari amici,
nella mia visita pastorale, che definirei feriale, ho incontrato nelle parrocchie sacerdoti e fedeli entusiasti di conoscere il Signore e servire l’annuncio del Vangelo. Tutti ringrazio di cuore per la generosità, la passione e l’entusiasmo dell’apostolato. Stasera vorrei invitarvi ancora una volta a sognare in grande, costruendo una comunità diocesana, in grado di essere sempre più fermento di un nuovo umanesimo di cui il nostro territorio di Capitanata ha urgente bisogno. Sogno con voi:
Una Chiesa pienamente sottomessa alla Parola di Dio, nutrita e liberata da questa Parola. Occorre passare al vaglio del Vangelo le priorità che ci assegniamo sul piano pastorale o su quello morale, senza dimenticare che la comunione è il criterio di ciò che deve essere conservato o cambiato nella comunità;
Una Chiesa di popolo, dove si è legati gli uni agli altri, e che se si dividono chi ci rimette siamo tutti. Separarci dagli altri ci fa ammalare e scoraggiare. Parliamo più con i fatti che con le parole, o meglio, diciamo solo parole che partono dai fatti;
Una Chiesa che valorizza la vicaria come luogo in cui comunità parrocchiali, gruppi, movimenti e associazioni pensano, progettano, verificano le loro attività, si sostengano con incontri unitari di formazione, si raccordano con le scuole del territorio, mettano in piedi equipe di evangelizzatori di strada, portando avanti la dimensione vocazionale della pastorale diocesana;
Una Chiesa consapevole del cammino difficile di molta gente, di sofferenze insopportabili, di famiglie giovani, desiderosa di scoprire ed essere accanto ai nuovi poveri, facendo sperare nel giorno – mi auguro non lontano – in cui ogni famiglia cristiana saprà accogliere e far sedere alla propria tavola bisognosi e stranieri, senza delegare l’ospitalità a istituzioni caritative create dalla Chiesa per questo servizio di amore;
Una Chiesa che metta l’Eucarestia domenicale da celebrare come famiglia nella casa del Signore, modellandosi sulla bellezza del donare senza misura.
Miei cari,
impariamo a sognare, a guardare oltre alle fatiche di ogni giorno. Lasciamoci avvolgere da progetti che valorizzano la vita quotidiana della gente. Siate creativi di nuovi orizzonti, generativi di accoglienza e dialogo, desiderosi di relazioni curate con fantasia e carità. Tutti affido alla protezione materna della Vergine Maria, discepola del Figlio e sorella nostra. Amen.