OMELIE

Un anno di Speranza

Omelia di Mons. Ferretti del 01-01-2018

Un anno di Speranza
«Non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo. Ciechi che, pur vedendo, non vedono»: la frase di Josè Saramago, narratore portoghese e Nobel per la letteratura, richiama il rischio della cecità come indifferenza, egoismo, potere e sopraffazione, guerra di tutti contro tutti. Eppure, dentro e attorno a noi, ci sono sofferenze che vengono negate, angosce nascoste, dolori che sono rimossi. Nelle case e negli ambienti della nostra città, spesso si rimuove il dolore e ciascuno si ostina a guardare da un’altra parte per non fissare ciò che avremmo invece il dovere di vedere. Stiamo rischiando di assuefarci a quella indifferenza, quasi globale, salvo che per se stessi. Cresce il culto dell’io, sul cui altare si sacrificano gli affetti più cari. Purtroppo si riduce la realtà a se stessi, con la conseguente diffusione del narcisismo e dell’autoreferenzialità, palude dentro cui si sprofonda quasi senza accorgersene, sperimentando giornate monotone e noiose, impenetrabili e blindate. Cosa augurare per l’anno che inizia? Riprenderci quel nascosto coraggio della speranza, perché si ossigeni di stupore e futuro la nostra esistenza, meravigliosa agli occhi di Dio. Ogni uomo è mio fratello da accogliere nel profondo del cuore, mettendomi assieme in cammino nella ricerca di una giustizia più grande, un rispetto più autentico e uno sviluppo più solidale. Lottiamo contro il nemico della speranza, che è quella superficialità e diffidenza che caratterizza tante relazioni interpersonali, avventurandoci in una cultura dell’incontro, a volte carico di incognite. Fermarsi presso qualcuno per conoscerlo, ascoltarlo, scoprire come vive, comporta molto tempo e pazienza, osservazione e condivisione. E oggi, tutto questo è messo in discussione dalla fretta, dalla mobilità, dal bisogno di collezionare esperienze che non sempre favoriscono rapporti sereni e duraturi. Ma poi, ricordiamo che la relazione con l’altro si gioca attraverso lo sguardo, porta aperta o chiusa per coloro che incontriamo. È grande la differenza tra uno sguardo frettoloso e sbrigativo, spesso formale e infastidito, e uno intenso, attento, appassionato e accogliente. In realtà, dal nostro sguardo dipende la solidità e la bellezza della creazione e della democrazia, due segreti per una convivenza pienamente umana e pacifica. Il primo invita a guardare più in là verso l’essenziale della vita, cercando un altro tipo di progresso, più sano, più sociale e integrale. Solo così potremo iniziare un processo di risanamento delle relazioni con la natura. Non può esserci autentico rispetto per l’ambiente, se prima non ve n’è per l’umano, per chi è ferito nella dignità a causa di condizioni di esistenza disumane. Una nuova alleanza tra uomo e ambiente potrà realizzarsi se ci convinciamo che il dominio, il potere, l’accumulo e il consumo non bastano per dare senso e gioia al vissuto. È unico il grido del pianeta e quello dei poveri, per cui accogliere chi è in difficoltà contribuisce alla cura del creato. Anche la democrazia trova nella fraternità nutrimento e vitalità. Essa, infatti, non è mai una conquista definitiva, tanto che quando si distrugge la cultura dell’incontro, si mette in discussione la sua esistenza. L’uomo non può essere un soggetto autonomo che sceglie di fare ciò che vuole senza nuocere ad altri, oppure anche danneggiandoli, gestendo a piacere la propria vita. Lasciarci attraversare, smuovere, plasmare dal desiderio di felicità che ci accomuna tutti e che non è desiderio di possesso o di consumo, ma di libertà e dialogo: è l’augurio che interpella tutti gli uomini di buona volontà.
Mons. Vincenzo Pelvi
Arcivescovo di Foggia-Bovino