OMELIE

Un cuore di giovane speranza

Omelia di Mons. Ferretti del 27-03-2018

Incontro in preparazione alla Santa Pasqua - Studenti Liceo "A. Volta" ed Istituto "V. Alfieri" - Foggia - 27/03/2018

Cari amici,

essere giovani oggi significa soprattutto essere in movimento: vivere un’età di mezzo che si fa sempre più lunga, complessa e precaria. La dimensione del movimento caratterizza diversi aspet­ti dell’esistenza: avere poche certezze, in un mondo caratterizzato da infinite possibilità; costruire il futuro, in una situazione dai contorni incerti e sfuggenti; essere affamati di relazioni, in un con­testo di crescente espansione mediatica e virtuale. La nostra vita sembra fatta di pezzi tenuti insieme a fatica, di ripensamenti e disillusioni, di battaglie vinte e perse... Ma non è que­sto un cammino immerso nella speranza? Il possesso della fede è incerto: alcuni la cercano, altri la riscoprono. La carità è messa alla prova dalle necessità e dalle fatiche, che a volte fanno emergere prepotentemente l’istinto di autoconservazione. Ma se manca la spe­ranza ci si ferma o si torna indietro. La speranza non è la virtù dei forti, ma dei giovani che sono resi forti dalla fiducia in Dio. Vivono, infatti, situazioni senza uscita, assediati da nemici molto più grandi di loro, apparentemente invincibili. Eppure, al colmo della paura, invece di paralizzarsi, si tuffano in un dinamismo che è il volto giovane della speranza. In questa prospettiva, tutte le scelte di vita sono certamente esposte a rischi maggiori che in passato, ma usufruiscono anche di maggiori opportunità per manifestare esistenze originali e preziose. Anche le lacrime danno vigore alla consapevolezza di non arrendersi all’orizzonte del bene che non giudica e non condanna, ma accoglie e rilancia una marcia in più: un di più di motivazioni, consapevolezza, relazioni, modelli, amicizia, spiritualità. Riprendiamoci il coraggio della speranza, perché si ossigeni di stupore e futuro l’esistenza, meravigliosa agli occhi di Dio. Ogni giovane è mio fratello da accogliere nel profondo del cuore, mettendomi assieme in cammino nella ricerca di una giustizia più grande, un rispetto più autentico e uno sviluppo più solidale. Lottiamo contro il nemico della speranza, che è quella superficialità e diffidenza che caratterizza tante relazioni interpersonali, avventurandoci in una cultura dell’incontro, a volte carico di incognite. Fermarsi presso qualcuno per conoscerlo, ascoltarlo, scoprire come vive, comporta molto tempo e pazienza, osservazione e condivisione. E oggi, tutto questo è messo in discussione dalla fretta, dalla mobilità, dal bisogno di collezionare esperienze che non sempre favoriscono rapporti sereni e duraturi. Ricordiamo che la relazione con l’altro si gioca attraverso lo sguardo, porta aperta o chiusa per coloro che incontriamo. È grande la differenza tra uno sguardo frettoloso e sbrigativo, spesso formale e infastidito, e uno intenso, attento, appassionato e accogliente. Non basta e non sempre fa bene il “rifugio digitale”. Perciò sì, lo sguardo è la prima forma di benevolenza, assieme allo sguardo anche la parola, non dimenticando che noi non possediamo nulla che abbia, nello stesso tempo, il potere e la leggerezza delle parole, perché nulla possiede, a un tempo, l’imponderabilità e l’immensità dello spirito. Le parole possono cambiare la vita in bene o in male. Ad esse dobbiamo in gran parte chi siamo. C’è una parola che costruisce e una che distrugge, una parola che diffonde calore e luce, un’altra che semina gelo, una che infonde fiducia e restituisce l’individuo a se stesso e al futuro, un’altra che la spegne. Considerazione dell’altro, sguardo che cura, parola che consola, presenza che accompagna: è questa la via perché ogni giovane possa sentire che la sua vita è bella, mai un peso o un problema difficile da risolvere e troppo oneroso da sopportare. Guardiamo all’esistenza quotidiana, viva, se coltiva tesori di speranze, se custodisce l’ossigeno di persone amate e un capitale di sogni, per i quali trepidare e festeggiare. Dobbiamo, in amore, praticare solo questo: andare oltre. Perché è trattenere che viene spontaneo, ma il possesso non rende mai sereni.
Un fraterno abbraccio e un augurio affettuoso.
don Vincenzo