OMELIE

Preghiera anima del ministero

Omelia di Mons. Ferretti del 29-03-2018

Messa crismale - Basilica Cattedrale - Foggia - 28/03/2018

Carissimi,
ringrazio il Signore per la gioia che dona a tutti noi, in questa liturgia crismale, nella quale facciamo memoria del nostro sacerdozio, esprimendo anche visibilmente il dono della comunione presbiterale. Mentre rinnovo i sentimenti di profonda gratitudine per il vostro generoso servizio pastorale, desidero far pervenire il grazie ai sacerdoti malati, anziani e a coloro che, pur non avendo più le energie fisiche per l’esercizio ministeriale, restano guide sagge per la santificazione della nostra Chiesa. Non posso, poi, con voi dimenticare i confratelli impegnati come fidei donum; quanti vivono momenti di difficoltà vocazionale; coloro che hanno lasciato questo mondo e partecipano alla celebrazione come intercessori nella luce della Gerusalemme celeste. Cari sacerdoti, in questo “giorno natale” dell’Eucaristia e del sacerdozio, vorrei che risuonasse nell’animo di ciascuno la triplice domanda di Gesù: mi ami tu? Mi ami proprio? Mi ami veramente? Lo amiamo davvero il Cristo? Vogliamo bene al Cristo che annunciamo agli altri, al Cristo di cui siamo ministri? Forse non abbiamo il coraggio di chiedercelo o ci lasciamo prendere da una forma di soggezione. È bello, però, uscire dalla consuetudine, dalla stanchezza, dalla pigrizia spirituale, lasciando che Gesù ponga il suo sguardo su di noi, ci contempli e tocchi la nostra esistenza. Senza l’amicizia con Lui, lo stare davanti ai suoi occhi in contemplazione, meditare le sue parole e i suoi gesti, verrà meno quello spirito di preghiera, che è l’anima e la gioia del nostro ministero. La preghiera non può essere un compito da sbrigare, un imbarazzo, addirittura una ostilità alla fruttuosità dell’apostolato. Preghiamo troppo in fretta, senza dare attenzione alle parole che diciamo; attribuiamo maggiore importanza ai programmi pastorali, che all’interesse prioritario di parlare con Dio. In realtà il segreto del presbiterato sta nel rapporto con il Signore, che ci custodisce e ci rende estranei alla mondanità spirituale. A volte, sembra che non riveliamo più sul nostro volto e nei nostri comportamenti il senso del mistero e dalle nostre conversazioni non si percepisce sempre uno stile di fiducia e di abbandono alla volontà di Dio. «Potessimo sentire che l’unica cosa che abbiamo da fare è piacere a Dio! A confronto di questo, a che cosa serve piacere al mondo, piacere ai grandi, e perfino piacere a coloro che ci amano. Che cosa può offrire questo mondo che possa paragonarsi all’amore di Cristo, nostra vita inseparabile» (J. H. Newman). Il ministero sacerdotale deve essere nutrito di preghiera. Nell’insopprimibile sete di Dio che ci portiamo dentro, la dimensione più autentica del sacerdozio è la preghiera semplice e continua che si apprende nell’orazione silenziosa che va domandata insistentemente. Questa coscienza del rapporto con il Signore è quotidianamente sottoposta alla purificazione della prova. Per noi il tempo è l’ambito in cui si gioca la nostra appartenenza al Signore: o sappiamo ordinare il tempo sentendolo come impegno oppure siamo idolàtri del tempo. Il presbitero deve santificare il tempo, cioè riservare, disciplinare, separare in modo intelligente il tempo in ciò che lui è ed è chiamato a fare. Ma come cresce il rapporto personale con il Signore nella preghiera? Vorrei sottolineare due dimensioni: la fedeltà e l’accoglienza. La fedeltà è trascorrere regolarmente con il Signore il tempo stabilito. Nessun rapporto d’amore può crescere se non si sta un poco con la persona amata. La fedeltà è la misura della qualità del mio impegno nell’essere costante all’amicizia che il Signore mi offre (cf. Gv 15,15). Il Signore è sempre presente. Non devo fare altro che rivolgermi a Lui come il tutto della mia vita, presentandogli anche l’afflizione e il dolore che vivo e lasciandomi prendere da quell’Amore immenso con il quale mi unisco. L’altra dimensione è l’accoglienza. Mi dispongo a Lui, alla sua volontà, consapevole che conosce tutto di me. Ciò che il Signore gradisce è che io sia alla sua presenza, per amore suo. A riguardo, la saggezza della Chiesa ci offre momenti e strumenti da non tralasciare. Innanzitutto va curata una serena armonia tra la preghiera e il ministero. La fredda osservanza di pratiche non nutre la nostra interiorità né rende fecondo il servizio pastorale. Una grande strada aperta è la celebrazione quotidiana della Liturgia delle Ore, che contribuisce alla santificazione della giornata, realizza un contatto orante con la Parola e prepara la celebrazione dell’Eucaristia. Non possiamo, poi, fare a meno della meditazione quotidiana, come pure di una sosta prolungata davanti al SS. Sacramento in orante riflessione e in esame della nostra vita. Insostituibile resta la celebrazione quotidiana dell’Eucaristia, non soltanto per adempiere ad un impegno personale o ad una esigenza della comunità a noi affidata, ma per l’assoluto bisogno personale che ne avvertiamo, come del respiro, come della luce per la nostra vita. Spesso la vita presbiterale, per l’accumularsi degli impegni, per il prevalere di un certo disordine nell’attribuire le giuste priorità, per non saper dire “no” alle richieste della gente, non lascia posto alla cura di se stessi. Aveva ragione Gregorio Magno nel lamentarsi di sé e dei suoi presbiteri dicendo: «Ci siamo ingolfati in affanni terreni. Sì, altro è ciò che abbiamo assunto con l’ufficio presbiterale, altro è ciò che mostriamo con i fatti». Sarà l’essere in comunione con Gesù nella preghiera a darci quello zelo apostolico, che rende la nostra esistenza pane spezzato e vino versato per il mondo. Nella realtà ci attende il Signore, lì si comunica e si rivela a noi. Il dialogo con Dio nella preghiera ci porta anche ad ascoltare la sua voce nelle persone e nelle situazioni che ci circondano. Non sono due orecchie diverse, una per Dio e l’altra per la realtà. Tastare il polso al vissuto richiede la contemplazione, il rapporto familiare con Dio. Desidero concludere con le parole del Beato Paolo VI: «Viene a noi, figli del nostro tempo, mentre si va perdendo non solo l’abitudine del colloquio con Dio, ma il senso del bisogno e del dovere di adorarlo e invocarlo. Viene a noi il messaggio della preghiera, canto dello Spirito imbevuto dalla grazia e aperto alla conversazione della fede, della speranza e della carità. Viene il messaggio sublime e semplice della preghiera, perché essa altro non è che una maniera amichevole di trattare, nella quale ci troviamo molte volte a parlare, da solo a solo, con Colui che sappiamo che ci ama» (Omelia 27.09.1970). il nostro cuore stanco e deluso sarà ancora capace – ne sono certo – di esclamare e invocare qualcosa di suo, di originale che ancora oggi non è stato espresso al Signore buono e grande nell’amore. Sarà l’eterna parola: Signore io ti amo. Al di là del colloquio sentiremo che Dio ci risponderà «il Padre mio ti ama» (cf. Gv 16,26). La preghiera diventerà un sospiro, una ricchezza, una beatitudine. Vi auguro di essere beati, sin da questo momento, perché abbiamo Dio e perché siamo coloro che hanno risposto alla chiamata del Signore.
Alla Vergine Maria nostra madre e sorella affidiamo ogni sogno del nostro cuore.
† mons. Vincenzo Pelvi