OMELIE

Con uno sguardo contemplativo

Omelia di Mons. Ferretti del 06-08-2018

Omelia funebre per i migranti morti in incidenti sul lavoro - Basilica Cattedrale di Foggia

Carissimi,
Gesù ci sorprende sempre. La gloria di cui parla il Vangelo della Trasfigurazione non indica una certa fastosità, ma il luminoso rivelarsi di Dio.
Il cristianesimo è esperienza di luce: Dio è luce, Gesù è la luce del mondo, lo Spirito è la luce dei cuori e la fede non può che condurre il cristiano ad essere la luce del mondo.
La luce di Gesù invita a testimoniare quella relazione luminosa con il Signore, che si racconta nella carità fraterna. Dio è bellezza che crea comunione. La novità è che il Signore si accosta all’uomo e permane dentro l’esistenza quotidiana in modo luminoso, orientando ogni azione verso il suo bene ultimo e definitivo.
Perciò Gesù invita a seguire i suoi passi e loda come buono chiunque fa del bene a chiunque. Al di là di ogni discriminazione, Dio per primo non ha voluto distinguersi dagli altri. Anzi, si è fatto così vicino ad ogni uomo che qualunque cosa fatta a chiunque è fatta a Lui. Anche noi siamo chiamati a farci prossimo. Questo non è più il tempo per distrarci, ma per offrire più fortemente i segni della presenza di Gesù, che si fa carne anche nel corpo ferito di tanti poveri ed emarginati, migranti e rifugiati.
Ho incontrato nei giorni scorsi i nostri amici migranti ospiti della struttura Caritas e ho ascoltato con il cuore le loro storie di vita. Giovani desiderosi di una vita migliore per lasciarsi alle spalle la disperazione di un futuro impossibile da costruire. La casa, la madre, i fratelli così lontani…un vissuto fatto di sogni naufragati, attese deluse, parole non dette, ma anche la forza della speranza che non delude. Una Via crucis, come quella di Gesù, con tre cadute umilianti: gli uomini, le donne e i bambini coinvolti nel fenomeno delle migrazioni sono tre volte vittime.
Innanzitutto vittime di miseria, di guerra, di povertà che costringono a partire dai loro Paesi. Giovani orfani, allontanati da casa e dispersi nei villaggi, sono costretti ad evadere.
In secondo luogo, vittime del rifiuto ricevuto dai loro Paesi, iniziano la traversata del deserto, dove la fame, la sete, la morte di amici e parenti diventano le compagne di viaggio, unitamente alla caparbietà, per continuare a sfidare se stessi e il proprio futuro.
Infine vittime in Libia, dove sono comprati per essere schiavi nelle campagne o torturati in maniera impensabile e disumana nei ghetti.
Tre cadute che fanno decidere di avventurarsi per mare, preferendo anche la morte alle varie forme di schiavitù. Ma, poi, chi arriva nella nostra Terra, avverte solitudine e debolezza, fallimento e impazzimento per la fatica di una visione di vita e di uno stile non in sintonia con la propria storia. E noi? Dobbiamo avere uno sguardo accogliente senza quel silenzio superficiale…esprimere una tenerezza che è desiderio di custodire l’altro. Questi fratelli cercano un luogo dove vivere in pace, dopo aver rischiato la vita in un viaggio lungo e pericoloso, subendo fatiche e sofferenze.
Accogliere l’altro richiede un impegno concreto, una catena di aiuti e di benevolenza, un’attenzione vigilante e comprensiva. I migranti non arrivano a mani vuote: portano un carico di coraggio, capacità, energie e arricchiscono la vita di chi li accoglie. Bisogna avere la pazienza e l’umiltà di prendere contatto con il vissuto di chi ci sta accanto, riconoscendo e valorizzando la ricchezza della cultura dell’altro.
Non possiamo e non dobbiamo aver paura, consapevoli che la paura si può vincere solo nell’incontro con l’altro e nell’intrecciare una relazione frutto di un dialogo senza pregiudizi.
«Come può la moltitudine degli esclusi, dei dimenticati, dei senza tetto, dei senza tutto, dei senza nulla, credere ancora che Dio è un Padre che li ama, se noi, noi che osiamo dirci cristiani, noi che abbiamo tutto, continuiamo a lasciare il loro piatto vuoto. Non siamo soltanto credenti! Cerchiamo di essere credibili» (Mons. Camara).
Dove sono le nostre intelligenze, dove sono le nostre passioni evangeliche per la verità e la giustizia dinanzi a persone sempre più segnate da solitudine e disuguaglianza?
L’umanità ha bisogno di essere abbracciata, e molto di più quando è ferita, sminuita, soffocata dall’esclusione, fatta a pezzi e senza sapere come ricostruirsi. In questa situazione, donne e uomini credenti con una piccola parola detta bene, con un sorriso gentile e luminoso, possono versare sulle ferite sanguinanti dei nostri migranti consolazione e speranza. Quante volte non riusciamo ad impedire le lacrime sul volto dell’altro, ma possiamo accarezzarlo, porgendo semplicemente un fazzoletto.
Certo, occorre capire che il fenomeno delle migrazione è in costante aumento e necessita di una educazione nelle famiglie, nelle comunità parrocchiali, nella società, ad un nuovo rispetto della persona umana, risvegliando i valori primari e inalienabili dell’accoglienza per ogni persona, non dimenticando che l’indifferenza genera iniquità sociale e timori diffusi.
In queste ore di lutto per la morte di tanti giovani migranti percepiamo buio e desolazione e invochiamo il soffio della carezza di Dio sui nostri migranti.
La morte di tanti giovani non cancella il valore e l’intensità di ciò che hanno donato alla nostra terra.
«Confidate!», Egli dice loro: «Abbiate fiducia!» (Gv 16,33). È la Parola che il Signore rivolge a noi. Come è tutto bello quello che il Signore ha compiuto. Come dobbiamo vedere in tutto quello che Egli ha compiuto in ciascuno di noi, la caparra di un amore immenso che ci verrà donato domani; di una forza immensa che ci trascinerà do­mani sempre più su, in una purezza luminosa, in una semplicità sempre più grande, in un amore più potente.
Che cosa volete che io vi dica se non precisamente questa sola parola? Abbandoniamoci a Dio, lasciamo che Egli ci por­ti e faccia di noi quello che vuole. Il Signore compirà il Suo disegno di amore e ci farà santi.
Con Pietro, Giacomo e Giovanni, anche noi stasera vogliamo fissare il Sole, tanto da bruciare la retina dei nostri occhi. Se sul monte della Trasfigurazione abbiamo contemplato, immersi nella grande luce; nello scendere a valle siamo diventati diversi, perché coraggiosi: dovunque lasceremo cadere gli occhi, vedremo Gesù, il riflesso suo in ogni volto, in ogni altro uomo. Salutiamo i giovani dell’Africa con questa preghiera di don Divo Barsotti.
Quando verrà, fa’ che sia bella la morte.
Atto di puro abbandono all’Amore,
la sofferenza non turbi lo spirito,
nè il timore o l’angoscia.
Sappia io donarmi
senza chiederti nulle.
Chi ti ama, non può volere che Te;
Tu non sei,
se non sei l’Unico, o Dio.

Quando varrà fa’ che sia bella la morte.
In un atto di amore perfetto
possa io lasciare a Te di essere tutto,
di essere Dio, e sia beatitudine
nella tua luce perdermi
e non trovarmi più...

† Vincenzo Pelvi