OMELIE

Servi dell’accoglienza

Omelia di Mons. Ferretti del 22-09-2018

Ordinazioni diaconali - San Marco in Lamis 
Carissimi,
il Vangelo offre tre nomi di Gesù: servo, ultimo, bambino, nomi così lontani dalla nostra mentalità. E lo fa dentro una scena particolare. Gesù cammina e ripete l’annuncio della sua Pasqua. Sarà consegnato nelle mani degli uomini: colui che ha affidato la vita nelle mani di Dio, vedrà finire le sua esistenza in balìa degli uomini, dei peccatori. I discepoli non comprendono la sua parola e hanno paura di chiedergli spiegazioni. Preferiscono il buio alla luce, il non sapere alla ricerca della verità. Essi seguono Gesù senza interrogarlo, senza pensare e riflettere, senza domandare e interrogare il motivo della loro sequela. Anche noi potremmo seguire Gesù senza cercarlo, per abitudine e con la paura di chiedere spiegazioni. Invece di partecipare al dramma della vita del Signore, i discepoli si interrogano tra loro su chi sia il più grande. Quando manca la comunicazione tra i discepoli e Gesù si insinua la logica della competizione, della forza, del potere nella realtà ecclesiale. Ma la Parola del Vangelo, che è Cristo morto e risorto, chiede di assumere la logica del primo che diventa servitore di tutti. La dignità di una persona non sta nel posto che occupa, nel lavoro che svolge, nelle cose che possiede, nel successo che ottiene. La grandezza si misura unicamente nello spirito di servizio che si caratterizza come accoglienza. Accogliere significa essere poveri in spirito, ascoltare, rendersi disponibili, ospitare, lasciarsi sconvolgere nelle proprie idee e abitudini. È l’accoglienza simile a quella dei bambini la verifica della autenticità del nostro servizio diaconale.
Cari,
vorrei che voi non diventaste dei titolari di schemi prefabbricati, esecutori di servizi al Parroco presso cui venite affidati. La vostra missione non può restringersi nell’accompagnare i morti al cimitero o fare i battesimi e benedire le nozze quando il Parroco è occupato. I diaconi devono essere instancabili evangelizzatori. Liberi dall’arroganza, devono rincorrere la gente, andare a trovarla nelle loro case, dove vive momenti di solitudine, di tristezza, di dolore e accanto non c’è nessuno che dia loro un sorriso, una carezza, una mano di aiuto. Intuite, prima che gli altri ve lo dicano, i bisogni della gente. Andate incontro a chiunque e riempite i vostri cuori di volti e di nomi, allontanando rassegnazione e paura. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date. In un mondo dove si crede di comprare tutto, mostrate con gioia il primato dell’annuncio del Vangelo. Il diacono stesso deve ascoltare la Parola divina e conformarsi ad essa, nella preghiera quotidiana e nel silenzio dell’ascolto. Non si evangelizza se non ci si lascia evangelizzare. Aiutate i fratelli a leggere, meditare la Parola e renderla viva nella propria esistenza. Per me questo è il servizio prioritario del carisma diaconale, che la nostra Chiesa vi affida. Si eviterà, così, l’immagine del diacono come una specie di intermediario tra i sacerdoti e i fedeli. Ci sono, infatti, due tentazioni: il clericalismo (sembra quasi che il diacono prenda il posto del presbitero) e il funzionalismo (una mano d’opera pastorale per ogni emergenza). Non possiamo, inoltre, dimenticare che l’identità del servizio diaconale si gioca nella relazione tra due vocazioni connesse tra loro: quella conferita dal grado del sacramento dell’Ordine e quella matrimoniale e familiare. Si tratta di due ambiti distinti, ma che non possono essere separati. L’identità del diacono sarà sempre più piena e il ministero più fruttuoso, quanto migliore sarà la qualità della relazione con la propria sposa, i figli, e la partecipazione della famiglia al cammino che egli è chiamato a vivere. L’esperienza dice che il contributo delle mogli non si limita a un consenso formale, semmai concesso per non dispiacere alla scelta personale del marito; al contrario si esprime quotidianamente nella condivisione e nella disponibilità a vivere come coppia e famiglia un unico percorso di santità. Quanto più crescerà il mutuo amore in famiglia, tanto più il diaconato sarà un invito a credere e vivere fortemente l’amicizia con il Signore nella comunità ecclesiale. Come amava sottolineare don Tonino Bello, ordinando alcuni diaconi permanenti nella Cattedrale di Molfetta: “tanti auguri perché anche le vostre consorti vi diano una mano in questo compito. Siano generose quando, dovendo trascorrere un po' di tempo in casa, rinunceranno perché voi dovete andare a prestare il vostro servizio alla comunità. Questo sacrificio che voi fate al Signore, sarà benedetto da Dio e non abbiate paura, perché il Signore non toglie mai senza aggiungere il doppio di quello che ha sottratto”.
Santo Stefano, San Lorenzo, San Vincenzo di Saragozza, diaconi significativi della prima comunità cristiana, vi siano accanto e vi assistano con la loro intercessione celeste.
+ Vincenzo Pelvi