INTERVENTI

Per una giustizia animata dall' amore

Intervento dell'Arcivescovo pronunciato in occasione della visita al Tribunale di Foggia

(pubblicato il 10-06-2024)

  • Saluto con deferenza tutti i presenti,

  • il Presidente del Tribunale, dott. Sebastiano Gentile

  • il Procuratore della Repubblica, dott. Ludovico Vaccaro

  • i Procuratori aggiunti, dott. Antonio Laronga e dott.ssa Francesca Romana Pirrelli

  • il Presidente dei Giuristi Cattolici, dott. Antonio Buccaro

  • i Signori Magistrati

  • il Personale Amministrativo e Giudiziario



ringraziando di cuore per questa occasione che oggi mi è concessa di visitare il tribunale di Foggia e di incontrare tutti voi, illustri operatori di giustizia in questa nostra provincia di Capitanata.



Vi ringrazio anche per questa opportunità di dire alcune parole e di poter così esprimere tutto il mio rispetto e il mio apprezzamento per l’attività di ricerca, di studio, di giurisprudenza che voi in questo palazzo svolgete al fine di promuovere i principi del diritto e della giustizia.



Saluto con un sentimento di rispetto e stima i magistrati, gli avvocati, e tutto il personale di cancelleria e amministrativo. A tutti permettetemi di dire citando San Paolo agli Efesini: “Grazie a voi e pace da Dio” (Ef 1, 1).



Incontrarmi con tutti voi, mi è occasione propizia per onorare nelle vostre persone, l’attività specifica e benemerita, che voi svolgete, e insieme per riaffermare la stima e la considerazione, di cui godono davanti agli occhi della Chiesa le vostre professioni, che vantano antiche e nobili tradizioni.



Voi ben sapete come la vostra attività abbia grande importanza nella vita della società, essendo destinata a salvaguardare i diritti dei cittadini e a garantire l’ordinato sviluppo di essa nella libertà e nella giustizia. La vostra responsabilità suppone rigore logico, cultura vasta e profonda, esperienza e capacità di indagare e penetrare nell’intimo del cuore umano, che è un mistero insondabile.



A ragione, la giustizia è stata definita dalla sapienza antica da Cicerone: “domina et regina virtutum” (cf. M. T. Cicerone, De Officiis, 3,6). Tale concetto, che eleva la giustizia alla dignità di virtù, esige un assiduo e vigile impegno morale, che deve ispirarsi a quei principi etici che hanno la loro consistenza nell’ordine della legge naturale e di quella positiva e che conferiscono alla norma giuridica stabilità e valore sociale.



Le sfide nella nostra terra sono molte: la criminalità organizzata. Una dilagante prassi subculturale che potremmo chiamare “dei furbetti”: aggiustare, manipolare, aggirare le leggi a proprio vantaggio. Dimenticando il bene comune nella ricerca egoistica dell’interesse personale o di una parte. La grande piaga della violenza sui deboli e in particolare sulle donne.



Poi, permettetemi di fare una breve considerazione su una visione utilitaristica della vita e il conseguente diritto all’eutanasia o allo scarto dei deboli, degli anziani o dei non più autosufficienti. A questo proposito scrive il beato giudice Rosario Livatino:  «Se l’opposizione del credente a questa legge si fonda sulla convinzione che la vita umana […] è dono divino che all’uomo non è lecito soffocare o interrompere, altrettanto motivata è l’opposizione del non credente che si fonda sulla convinzione che la vita sia tutelata dal diritto naturale, che nessun diritto positivo può violare o contraddire, dal momento che essa appartiene alla sfera dei beni “indisponibili”, che né i singoli né la collettività possono aggredire» (Canicattì, 30 aprile 1986, in Fede e diritto, a cura della Postulazione).



Poi c’è il grande tema delle carceri, del loro sovraffollamento e del senso che si dà alla detenzione. È contenimento o tentativo di rieducazione, punizione o riabilitazione col fine del reinserimento nella società?



Scrive già nel 1908 lo psicologo statunitense Abraham Maslow che nella gerarchia dei bisogni, al secondo posto, dopo i bisogni fisiologici, viene nell’individuo il bisogno di sicurezza, protezione fisica, ordine e legge.



Ma la giustizia e il bisogno di sicurezze del cittadino non sempre coincidono, come certo non coincide la giustizia con la vendetta che le vittime talvolta implorano. La protezione dei deboli, come ho già avuto modo di dire, è al primo posto nei principi una società, ma non possiamo dimenticare che anche il colpevole, l’efferato, il recidivo, sono uomini, essere umani, anche se talvolta la loro umanità è ferita e ha ferito l’umanità altrui.



Per questi motivi oltre alle norme del diritto positivo, mi permetto come arcivescovo di questa città, di proporre di allargare lo sguardo oltre i confini della giustizia puramente umana, facendo brevi considerazioni sul comportamento a Gesù di Nazareth che ha compendiato le norme del retto agire nel comandamento dell’amore di Dio e del prossimo.



Certamente ricorderete l’interrogazione rivolta a Gesù da un dottore della legge: “Maestro qual è il grande comandamento della legge?” Egli rispose: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti. E il secondo è simile al primo: amerai il prossimo tuo come te stesso. Da questi due comandamenti dipende tutta la legge” (Mt 22, 35-40).



Infatti io ritengo che se la giustizia non è animata dall’amore rischia di andare incontro a deformazioni e interpretazioni incomplete. L’amore e la carità verso l’uomo, tutti gli uomini, anche i malvagi ci preserva da vedere mostri nei colpevoli e non distinguere tra il reato e l’uomo che lo ha commesso. Scrive Giovanni Paolo II nella lettera enciclica «Dives in Misericordia» (Ioannis Pauli PP. II, Dives in Misericordia, n. 12): “L’esperienza del passato e del nostro tempo dimostra che la giustizia da sola non basta e che, anzi, può condurre alla negazione e all’annientamento di se stessa, se non si consente a quella forza più profonda, che è l’amore, di plasmare la vita umana nelle sue varie dimensioni”. Di qui “la necessità di attingere alle forze dello spirito, ancor più profonde, che condizionano l’ordine stesso della giustizia”.



Illustri Signori,



conformarsi ai princìpi di questa giustizia superiore dell’amore rende non solo autentici servitori della verità e del diritto, ma anche uomini di buona volontà, di comprensione e di misericordia; e così il servizio alla società si eleva più in alto e la vita del giurista diviene testimonianza della bontà e della giustizia stessa universale che per un credente coincide con la giustizia di Dio.



Augurandovi di essere sempre animati dal senso di pace che viene dalla ricerca della verità ma anche dal perdono e dalla misericordia, di tutto cuore auguro a tutti buon lavoro.



+Giorgio, Arcivescovo