OMELIE

La gioia di un Dio di casa

Omelia di Mons. Ferretti del 23-10-2018

Anniversario della Dedicazione della Basilica Cattedrale di Foggia

Cari amici,
celebriamo la Dedicazione della Chiesa Cattedrale. Il suo semplice esserci nella città, pur in un contesto di desertificazione spirituale, ricorda che anche in una società secolarizzata non si possono tagliare le radici e l’eredità della fede, la testimonianza della storia, il centro della vita liturgica della diocesi. La vocazione prima della Cattedrale non è quella di essere un museo, né una meta turistica o una prestigiosa sala di concerto, ma il luogo che accoglie la Chiesa locale nella sua unità. A riguardo, non ci aiuta l’odierna sensibilità legislativa che tende a sostituire, nell’immaginario sociale, un cristianesimo culturale con il cristianesimo cultuale, legato alla fede realmente vissuta. Stasera, accogliamo l’invito di Gesù che deve fermarsi in questo tempio, casa di ciascuno. C’è un dovere (devo) che urge nel cuore di Dio: abitare la nostra Chiesa. Come Zaccheo, accogliamo il Signore, in questo luogo, dove si incontrano il desiderio di Dio e quello dell’uomo, che, per entrambi, è desiderio di gioia. Non vi è niente di più bello che essere raggiunti da Cristo, sorpresi dal Vangelo. Non vi è niente di più bello che conoscere Lui e comunicare agli altri l’amicizia con Lui. La testimonianza della nostra Chiesa vuole essere, perciò, un servizio alla gioia di un Dio di casa, familiare, che illumina la vita rendendola libera, bella e grande. Chiesa di Foggia, non aver paura di Cristo! Egli non toglie nulla e dona tutto. Spalanca le porte alla gioia del Vangelo. Cos’è la gioia? La gioia non si riduce a una forma di benessere o a un conforto di emozioni; è una espressione profonda del cuore che si dispone alla bontà, alla verità e alla bellezza. Essa è un fremito dello Spirito, che contagia di santità le nostre liturgie, prediche, ogni catechesi e attività pastorale. Purtroppo la società moltiplica le occasioni di piacere, ma difficilmente riesce a procurare la gioia. San Paolo VI amava ripetere che la gioia viene dallo Spirito: «il denaro, le comodità, l’igiene, la sicurezza materiale spesso non manca; e tuttavia la noia, la malinconia, la tristezza rimangono sfortunatamente la porzione di molti. Questa situazione non può, tuttavia, impedirci di parlare della gioia, di sperare la gioia». Purtroppo, tante volte l’impegno pastorale sembra che non faccia incontrare la gioia, perché manca di amicizia e di ospitalità. L’amicizia è vera fonte di gioia in ciascuna relazione interpersonale, perché è premura e attenzione a qualcuno che ci cammina accanto, anche se da noi fisicamente lontano. Ogni incontro autentico può essere vissuto con il silenzio o la parola: l’amico è allo stesso tempo la persona a cui possiamo raccontare tutto, e quella accanto alla quale possiamo mantenerci in silenzio senza disagio. La gioia viene dall’essere amico con chi racconta la vita, condivide le piccole esperienze e si ispira a Colui che è luce ai nostri passi; come pure, la gioia può esigere disponibilità all’ascolto di un mondo interiore e di una sensibilità meravigliosa che non possono esprimersi con le parole. Certo, la gioia si nutre di segni, semplici e profondi: penso allo sguardo sorridente di Gesù e a quello di Zaccheo, alla condivisione dei beni e al coinvolgersi in una sequela: «Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena» (Gv 15,11). L’altro elemento che caratterizza uno stile pastorale gioioso è l’accoglienza. La gioia, infatti, nasce in una cultura di ospitalità, quando accogliamo l’altro come dono. Zaccheo accoglie Gesù pieno di gioia. In questo senso gioire viene sempre dal non programmato, determinato, dal già annunciato. È l’inedito, il non deciso, la strada della Provvidenza. La gioia è nella dimensione dell’inatteso e della sorpresa. Come sarebbe entusiasmante per il nostro ministero arrivare alla fine della giornata ricordando quel gesto, quella parola, quell’incontro di chiunque (e non solo dei nostri) che ha messo nell’animo serenità e pace. È questa ospitalità il faro di una Chiesa missionaria, che cammina con tutti, entra nelle case, incontra le persone con uno sguardo di amore e misericordia, che ama i poveri, i malati, i rattristati, i piccoli; una Chiesa umile che è libera e che libera.
Donaci, Gesù, una Chiesa con il cuore aperto, in attesa della luce dai mille volti, che segue l’incanto della gioia, senza badare a linee di frontiera, ma disponibile e generosa verso coloro che sono, come noi, in cammino, con le loro domande, le loro gioie e le loro angosce, e nei quali possiamo vedere lo sguardo di Gesù e toccare le sue ferite.