INTERVENTI

La profezia femminile

Intervento al primo seminario di studio e ricerca sulla Beata Crostarosa

(pubblicato il 11-10-2016)
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Gli appuntamenti del Signore nascono dal suo amore gratuito e le donne presentate nella Scrittura, come le discepole di ogni tempo, manifestano un vissuto di paura, tristezza, fragilità, sobrietà, speranza, desiderio e fede. “Senza averlo visto, voi lo amate” (1 Pt 1,8).

Vorrei soffermarmi su Proverbi 31,10-31 e su Luca 8,1-3, due testi da valorizzare per conoscere la presenza della donna nella storia della Chiesa, che, per adempiere adeguatamente la sua missione pastorale, non può prescindere dal prezioso contributo femminile nell’ambito dell’evangelizzazione, della liturgia e della carità.

Potremmo comprendere la saggezza della donna alla luce dell’Antico testamento, riferendoci al libro dei Proverbi (31,10-31), dove viene celebrata una persona che teme il Signore, realizza opere di bene con sapienza, manifesta con passione nei confronti del povero, ha fiducia nel futuro. La donna lodata nel libro dei Proverbi svolge la sua attività in un contesto di vita ordinaria, all’interno della famiglia, nell’ambito della sua comunità. Viene così descritta una donna reale, una storia vera arricchita di tanti elementi dell’esistenza umana.

Il brano biblico suindicato non esalta la bellezza, non descrive il suo aspetto fisico e non richiama sentimenti di amore. Di questa donna si sottolinea soprattutto quello che fa. La descrizione della donna si concentra sulla sua attività alla quale si riferiscono le mani, le braccia, i fianchi, la decisione che corrisponde, a una previa valutazione (v. 16). La sua attività è instancabile: si alza quando è ancora notte, anzi la sua lampada non si spegne neppure di notte. Persona energica, costantemente impegnata nelle faccende normali di famiglia. Il marito può stare tranquillo, godersi la. stima che gli viene riconosciuta dagli altri e dedicarsi ad attività pubbliche dal momento che sua moglie progetta e realizza con decisione anche quanto normalmente era di competenza dell’uomo (es. pianta una vigna, fa affari...).

Il libro dei Proverbi eleva la donna forte, che teme il Signore, ad un alto livello di spiritualità. La donna, in realtà, non si occupa esclusivamente della sua famiglia; ella presta aiuto a chi è nel bisogno aprendo le sue mani al povero. Tra i valori perseguiti c’è la capacità di condividere parte dei propri averi con chi è svantaggiato.

In questa prospettiva la donna saggia è tale perché possiede il timore del Signore. Saggezza e fede camminano insieme. La fede della donna si incarna in gesti concreti di solidarietà che richiama il senso profondo della legge del Signore. Un progetto alternativo a quello dei nostri giorni, non centrato sul denaro, sul prestigio e sul potere, ma sulla carità che è il soccorso del Signore nel tempo della necessità attraverso le mani di un fratello. A conferma di ciò è bene collegare l’inizio del libro dei Proverbi (1,7): il timore del Signore è principio di saggezza, con la conclusione: la donna che teme Dio è da lodare (31,30). È la sapienza divina ad animare la vita di tutti i giorni e fare da antidoto alla tentazione e al male. Si tratta di possedere il dono dello Spirito che è la sapienza, distinguendo, al di là delle apparenze, dove essa si manifesta e attraverso quali frutti si può riconoscere così da accedere alla volontà di Dio.

Nel vangelo di Luca (8,1-3), poi, sono significativi due gruppi di persone che accompagnano Gesù nel ministero galileano: i dodici e le donne. Dei dodici ci viene detto che erano con lui; delle donne invece l’evangelista ci fornisce una più ampia informazione anche se di non facile interpretazione. Nell’ambiente del giudaismo, vedere Gesù accompagnato da uomini e donne era un fatto sorprendente e doveva far apparire l’itinerante profeta di Nazaret come uno stravagante.

La notizia è dirompente: delle donne, abbandonando la casa, seguono un Maestro itinerante. Quando mai era accaduta una cosa simile in Israele? Al tempo di Gesù la donna era esclusa dalla vita sociale e pubblica. Il suo spazio vitale era la casa e il ruolo consisteva nell’aver cura del marito e dei figli. L’istruzione religiosa, valore molto apprezzato nella tradizione israelita, era riservata ai soli figli maschi. Le figlie non avevano l’obbligo di imparare la Torà, ma dovevano conoscere e osservare ciò che era loro vietato, cioè i precetti negativi, quello che non dovevano fare. I precetti positivi, quello che si doveva fare, erano riservati esclusivamente ai maschi.

Questa mentalità contrasta fortemente con l’atteggiamento inclusivo di Gesù, che non fa alcuna discriminazione tra uomini e donne. «Gesù andava per le città e i villaggi, predicando e annunciando la buona novella del Regno di Dio. C’erano con lui i dodici e alcune donne che erano state guarite da spirito cattivi e da infermità: Maria di Magdala, Giovanna, moglie di Cusa, amministratore di Erode, Susanna e molte altre, che li assistevano con i loro beni». Il testo di Lc 8,1-3 è una traccia rivelatrice, una impronta della memoria, che attesta la presenza delle donne alla sua sequela.

Assieme ai dodici formavano parte del suo gruppo di discepoli. In Lc 8,1-3, l’espressione che indica la sequela è “con lui”, che, pur riferita direttamente ai dodici, può essere intesa anche riguardo alle donne. Qual era il ruolo delle donne? Proclamare il regno di Dio assieme a Gesù o servirlo (o servire il gruppo) con i propri beni? Come dobbiamo intendere questo servizio?

Fermiamoci sulla parola chiave di 8,3, cioè il verbo diakoneo (servire), l’unico verbo di cui le donne sono il soggetto attivo. In questa occasione diakoneo è accompagnato dal termine “beni”, così che l’espressione può essere tradotta: lo servivano (aiutavano, assistevano) con i loro beni. Nel Vangelo di Luca, generalmente, il verbo diakoneo si riferisce al servizio a tavola (4,39; 10,40;12,37;17,8). L’espressione di Lc 8,3 indica una realtà diversa e anche più complessa del servizio a mensa. Sebbene non sia da scartare che le donne preparassero i pasti e servissero a tavola per l’intero gruppo itinerante che accompagnava Gesù, non sembra che Luca stia parlando proprio di questo.

Ci sono altri testi dell’opera lucana che possono generare un po’, di luce sul nostro brano. Ne scegliamo soltanto due. In Lc 10,38-41 Gesù rimprovera Marta per il suo eccessivo attaccamento al lavoro casalingo Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per morte cose, ma una sola è la cosa di cui c’è bisogno e loda Maria per il suo atteggiamento di accoglienza interiore e ascolto profondo Maria si è scelta la parte migliore che non le sarà tolta. Considerando la donna come destinataria del suo messaggio, Gesù si oppone a un sistema che da sempre l’aveva confinata ai ruoli domestici, negandole ogni possibilità di istruzione. In altre parole, Gesù si schiera contro il «servire» tradizionale delle donne in favore di un ricco discepolato.

Il parallelo più vicino di Lc 8,3 però non si trova nei vangeli ma negli Atti degli apostoli. Si tratta di At 19,22: «Inviati allora in Macedonia due dei suoi aiutanti, Timoteo ed Erasto, (Paolo) si trattenne ancora un po’ di tempo nella provincia di Asia». La traduzione “aiutanti” o “collaboratori” non rende bene il senso della espressione diakoneo al dativo. La frase significa che Timoteo ed Erasto erano due di coloro che Paolo aveva mandato in missione in suo nome. In altre parole, essi erano due rappresentanti di Paolo mandati a compiere una missione specifica (cfr. diakonia in At 12,25; 21,19). Molto più quindi di due assistenti. Se a questo aggiungiamo che nel greco del - Nuovo Testamento il titolo diakono primariamente non significa servitore né diacono, ma araldo o messaggero ufficiale, possiamo tentare una nuova traduzione di Le 8,3 che tenga conto di questi dati: invece di “E molte altre [donne] che lo servivano con i loro beni”, si potrebbe leggere: “ E molte altre [donne] che usavano le loro risorse andando in missione in nome suo

Riassumendo, il nuovo rapporto stabilito da Gesù con le donne e l’uso di “diakoneo- diakonia” negli Atti degli apostoli ci ha permesso di interpretare il servizio delle donne di Lc 8,3 in maniera piuttosto ampia. Forse si potrebbe parlare di un servizio missionario che diventa espressione di una chiamata¬-scelta interiore alla quale non si può sfuggire, un servizio aperto a tutti e a tutto, senza limiti né pregiudizi. Inteso in questa maniera, la diakonia delle donne acquista un’altra rilevanza.

Possiamo immaginare le donne accanto a Gesù e ai discepoli pregando, dando testimonianza, accogliendo i bisognosi, parlando di questioni profonde, condividendo la loro esperienza missionaria e imparando a evangelizzare dall’unico Maestro. Ciò trova il suo culmine nel fatto che le donne sono testimoni della crocifissione, non hanno abbandonato Gesù nel momento finale, anzi, lo hanno seguito fedelmente fino alla sua morte. Sono loro che il mattino di Pasqua diventano le prime testimoni della sua risurrezione, a cui viene affidato l’annunzio pasquale, rese degne di vedere e di rendere visibile la vittoria della vita sulla morte.

Di qui alcune linee fondamentali che caratterizzano la sequela delle donne accanto ai discepoli:

1.    Una qualità di accoglienza da parte della donna, che si affianca a un maggiore attivismo da parte dell’uomo. Questo permette una maturazione e una custodia duratura del messaggio. La capacità di ascolto e di contemplazione della donna favorisce la penetrazione profonda dell’evento della salvezza.

2.    Una capacità di anticipazione da parte della donna, che precede e prefigura successivi comportamenti maschili, sia nel servizio, che nel dono di se stessi, nell’intuizione della verità che salva, nel ricordo delle parole del Signore come nell’annuncio. Anzi le donne hanno talvolta un’azione di provocazione per indurre all’azione di salvezza. La missione è invitata ad allargarsi, viene sospinta oltre i confini già segnati. Con la sua semplice presenza, con iniziative pratiche o con richieste verbali esplicite, la donna fa superare limiti codificati, allarga gli orizzonti della missione.

In sintesi, se da una parte la donna antecede, accoglie, interiorizza, assimila, approfondisce e permette uno sviluppo più ampio e universale alla salvezza; dall’altra l’uomo porta a compimento con gesti puntuali, pratici, di risanamento, di misericordia, di annunzio, quanto è stato iniziato. L’attività dell’uomo esige un contrappunto femminile di slancio preveniente, di apertura sempre maggiore, senza il quale l’impeto del vangelo si affievolisce.

La necessaria complementarità dei sessi si esplicita in un’armonica “unidualità” relazionale. Tornando alla Scrittura, risaltano con particolare efficacia le figure di diverse donne che parlano attraverso gesti e sanno trovare parole, gesti spontanei, imprevisti, dettati dall’amore e indifferenti all’opinione degli altri, gesti coraggiosi e originali. Come osservava opportunamente Yves Congar: «La Chiesa si trova ormai di fronte ad un duplice compito: da una parte diventare più pienamente maschile e femminile, dall’altra salvare i valori femminili senza mantenere le donne nel gineceo delle qualità attraenti e passive, da cui esse vogliono uscire per essere trattate semplicemente come persone». 

Certo non dimentichiamo che per la presenza della Madre del Signore, nel cristianesimo le donne hanno un ruolo imprescindibile. È bene, perciò, associarle non solo al silenzio della Vergine Maria, alla sua presenza discreta e di umile servizio, ma anche al suo generoso e fedele coinvolgimento nell’adesione a Gesù, il Signore.