OMELIE

Nel respiro del Risorto

Omelia di Mons. Ferretti del 20-02-2021

Esequie di Marco Ferrazzano - Parrocchia Spirito Santo - Foggia

Carissimi,
siamo di fronte alla tomba che nasconde Marco ai nostri occhi. Vorrei con voi gridare di svegliarlo, di uscir fuori, chiamare tanto forte da spezzare il suo sonno, frantumare il silenzio. Il dolore, cari genitori, si è immesso in ogni parte del vostro corpo e anche le lacrime non danno alcun sollievo, scendono a volte silenziose, a volte accompagnate da singhiozzi, ma non riescono ad alleggerire la desolazione dentro e accanto a voi.
Dicono, o Dio, che sei ovunque e che puoi tutto; che sei buono e hai a cuore i deboli. Dicono che non ci lasci soli e che hai sempre uno sguardo di amore per tutti noi che siamo tuoi figli. E allora, dov’eri quel giorno in cui Marco è scomparso? Non possiamo credere che Tu sia rimasto impassibile a guardare, per non vedere quello che accadeva. Perché non sei venuto dal cielo a proteggerlo? Ma so che piangi con noi e che la tua onnipotenza è nell’amore che lascia liberi, anche di sbagliare. Il silenzio è più potente delle parole, lascia tutto possibile, anche sentirsi amati e capire che per Marco non tutto è finito, perché è nelle tue mani.
Non possiamo capire il dolore, restiamo in silenzio davanti ad un evento così ingiusto che ha stravolto per sempre la storia della vostra famiglia e della città.
La morte di Marco, ne siamo certi, ci lascia un grande insegnamento. Il contesto del web è virtuale, ma il dolore e le conseguenze sono reali. Perché lo schermo che protegge gli aggressori, il più delle volte non protegge le vittime, che riportano nella loro vita vissuta la vergogna e il peso di insulti, scherni e isolamenti. Ciò che spaventa non è la violenza dei cattivi, ma l’indifferenza dei buoni di fronte all’aggressione morale e fisica che si scaglia contro la dignità di ragazzi e giovani. La rete digitale non sia un luogo di alienazione che travolge e rende senza dignità, ma un luogo concreto ricco di umanità e fraternità.
Certo, il dolore non può. Immergiamo il mistero della morte nel mistero della vita che non finisce. Come affrontare questo? Non ci sono parole, tranne il silenzio e la vicinanza. La fede nella risurrezione è chiudere gli occhi e procedere al buio, quel buio che avete incontrato. Perché ancora tanta sofferenza? Neanche Gesù risponde a questa domanda, piuttosto dice: «Vieni, facciamo un po' di strada assieme, apriamo un sentiero di vita». Il dolore in sé non ha un senso, le lacrime non vanno asciugate, né respinte. Il dolore non può essere capito, bisogna lasciarlo essere in modo da trasformare la sua energia negativa in tenerezza e amore. Il Signore ci è accanto e piange le sue lacrime. Dio non è venuto a spiegare la sofferenza, ma a riempirla della sua presenza. Egli non ama il dolore, ma nel dolore è con ciascuno di voi per moltiplicare la forza che argina ogni paura.
Dio è sempre vicino a chi ha il cuore spezzato, salva gli animi affranti. Parole che lasciano disarmati, che disorientano se non si pensa che il luogo dove risiede la felicità è Dio. La fede è una luce che fatica ad illuminarci quando ci scontriamo con la durezza di un dolore, con l’urlo lancinante che ci apre al distacco. La sofferenza non gira su se stessa, non è un flagello inutile, è una spada piantata nel centro delle nostre giornate per separarci dall’effimero; è la spinta che ci permette di approdare alle sponde dell’eterno.
Lo insegna Gesù che sulla croce nel suo abbandono non esita a rinviare al volto paterno e amoroso la sua angoscia: «Padre, nelle tue mani affido la mia vita». La desolazione e la solitudine rivelano la solidarietà con la condizione umana, con la quale il Crocifisso entra fino in fondo. All’abbandono, però, si unisce nella vicenda di Gesù, la comunione con Colui che l’abbandona: l’abbandonato accetta in obbedienza d’amore la volontà del Padre: «Padre, mi abbandono a te». La possibilità di vivere la separazione più alta apre ad una profondissima vicinanza: morire come Gesù e con Lui è abbandonarsi a Dio, lasciando che tutto si schiuda ad un’altra luce, in Colui che ci accoglie.
Non basta una vita per comprendere che nell’amore di Dio tutto è vita, anche la morte. Il senso della vita è sempre oltre.
In questo momento, l’abbraccio della città va a tutti i ragazzi e i giovani speciali, deceduti, che amarono e gioirono e ora sono nell’abbraccio di Dio. Restano a noi più vicini quando gli occhi sono in lacrime, il cuore resta muto e girano a vuoto le energie dell’esistenza, quando le angosce sembrano annullare la fede e il tempo acuisce le piaghe della loro assenza. L’amore è ciò che rimane e il nostro cuore è in loro, anche se il corpo è lontano da noi.
Carissimi,
la morte non solo può essere detta a partire dalla vita: essa anche parla alla vita.
Non dovete temere, lo ripete Gesù. Confidate, abbiate fiducia. Siamo nel respiro del Risorto.
Vincenzo Pelvi