OMELIE

Servire come stile sinodale

Omelia di Mons. Ferretti del 17-10-2021

Omelia per l'apertura della Fase diocesana del Sino dei Vescovi - Santuario Madre di Dio Incoronata - Foggia

Carissimi,

il brano evangelico ascoltato riprende quella meravigliosa verità spesso ripetuta da Gesù: «il Figlio dell’uomo non è venuto per farsi servire ma per servire e dare la vita in riscatto per tutti». Liberamente Gesù acconsente ad essere ridotto alla condizione di schiavo, a morire come maledetto dando la propria vita per gli altri. Isolato e negato, scende sino al fondo dell’abisso, ma lì offre perdono e riconciliazione, donando la pace come ecumenica.

Venuto per manifestare una solidarietà universale. È diventato trasparenza invisibile, toccabile con mano, dell’amore di Dio e della sua alleanza. Ed è questa solidarietà che il credente, a sua volta, deve testimoniare se vuole essere seguace del Maestro.

È tempo di scendere dall’alto verso il basso, forse dolorosamente, ma anche gioiosamente, e somigliare a Gesù servo, venuto non per farsi servire. Dio è mio servitore, si china sull’umanità, abbraccia la fragilità e la debolezza con profonda tenerezza. Così Gesù capovolge l’idea di Dio: tra greci e romani gli dèi erano tanto importanti quanto più potenti. Gesù, invece, presenta il volto di Dio, il cui potere è l’amore che si inchina e invita a fare lo stesso. Immaginate l’umanità dove ciascuno corre ai piedi dell’altro e si prostra non davanti ai potenti, ma agli ultimi. Non abbiamo ancora pensato abbastanza a cosa significhi avere un Dio, nostro servitore. Il padrone fa paura, il servo no e Cristo ci libera dalla paura: quella di Dio.

La grande svolta è il passaggio dalla religione alla fede. La religione a volte nasce dalla paura di Dio, la fede, invece, dalla consapevolezza che Dio ci ama e che siamo amati da Lui e dobbiamo amarci reciprocamente. Allora il servizio di cui parla Gesù è aiutare gli altri ad aprirsi alle loro migliori potenzialità. Il noi e non l’io sia sempre cercato nell’ascolto, offerto nel dialogo, difeso nella fraternità. Di qui la via della sinodalità come feconda espressione di una prossimità inedita e senza limiti. Ecco la Chiesa in uscita che si nutre del pane dell’esodo, del camminare e seminare sempre di nuovo, sempre oltre.

In realtà Chiesa e sinodo sono sinonimi, perché la Chiesa non è altro che il camminare assieme come popolo sui sentieri della storia, incontro a Cristo Signore. Egli, infatti, ascolta tutti, si lascia toccare e guarisce. Non è forse questa una bella immagine per comprendere in cosa consista per la Chiesa il camminare insieme, al di là di ogni forma troppo umana di consenso, compromesso, strategie di potere? Se viene a mancare Gesù e al suo posto si insedia qualche altro, la Chiesa diventa un contratto tra ministri ordinati e comunità, il cui dialogo finirà per seguire la trama del gioco politico.

Una Chiesa sinodale è innanzitutto questo: uomini e donne, affascinati da Gesù, non si stancano mai di cercare il suo volto nelle Scritture, nei fratelli e nelle sorelle, nelle pieghe del tempo, che non si credono mai arrivati. Una Chiesa guarita dal suo Signore, che sana le ferite e le malattie del nostro tempo. Entriamo nel tempio del cuore. In realtà siamo più felici quando serviamo di quando siamo serviti, perché creati ad immagine del Figlio, che non ritenne un privilegio essere come Dio, ma svuotò se stesso.

La Chiesa non è uno Stato. Essa si sente spinta non solo a formare i suoi figli, ma a lasciarsi formare essa stessa vivendo al suo interno secondo modelli di relazione fondati sul Vangelo, secondo quelle modalità che sono capaci di esprimere una comunità alternativa. Come affermava il card. Martini, una comunità che, in una società connotata da relazioni fragili, conflittuali e di tipo consumistico, esprima la possibilità di relazioni gratuite, forti e durature, cementate dalla mutua accettazione e dal perdono reciproco. Siamo attenti, perché una brama di potere, supremazia e privilegi, non è un desiderio, ma una vera e propria malattia del cuore. Gesù ha scelto il posto più umile e la sua livrea non è quella di un re, ma di uno schiavo divorato dall’amore.

Stasera ciascuno invochi lo Spirito, che guidi la nostra Diocesi con la sua luce: apri, anzi spalanca la porta del tuo cuore a Cristo, vincendo paura e risentimento, immaginando che l’altro è uno specchio meraviglioso di occasioni. Se hai perso il vigore interiore, i sogni, l’entusiasmo, la speranza e la generosità, lasciati portare dal sogno e dal rischio e riparti per cambiare il mondo, riaccendere il futuro, contemplare il cielo e il mondo intorno a te. Camminerai al passo del vento in sintonia con lo Spirito. È tempo di cambiare, di osare, anche se la novità si intravede poco ma prodigi e meraviglie anticipano la certezza che le porte dei cieli sono accoglienti e un abito di luce e di festa è già preparato per te nel Regno della Gloria.

È quanto auguro avvenga per tutti noi, con l’intercessione di Maria, nostra Sorella orante.

Vincenzo Pelvi