OMELIE

Ecco tua Madre: il valore redentivo della sofferenza

Omelia di Mons. Ferretti del 23-03-2015

OMELIA NELLA SOLENNITA’ DELLA B. VERGINE MARIA ICONA VETERE

CATTEDRALE - 23 MARZO 2015

        Maria nel Mistero pasquale, l’icona della crocifissione. Quale contrasto! Gesù non è più tra le braccia della Madre; ma tra altre braccia; non appoggia più il capo alla guancia di lei, ma a un’altra guancia ben dura: quella della croce. Stando ai Vangeli e a ciò che è scritto scopriamo che Maria ha vissuto tutto il Mistero pasquale, fatto di morte e di risurrezione, di abbassamento e di esaltazione, e l’ha vissuto più da vicino di tutti. A parlarci di Maria ai piedi della Croce è l’evangelista Giovanni.

        «Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Cleofa e Maria di Magdala. C’e­ra dunque un gruppo di donne, quattro in tutto. Maria, non era sola; era una delle donne. Era lì come sua madre e questo cambia tutto, po­nendo Maria in una situazione diversa dalle altre. Ho as­sistito a volte, al funerale di alcuni giovani; penso in particolare a un ragazzo. Seguivano il feretro varie donne. Tutte erano vestite di nero, tutte piangevano. Sembravano tutte uguali. Ma tra esse ce n’era una diversa, una alla quale tutti i presenti pensavano, senza voltarsi, guardavano la madre. Solo lei guardava la bara, si vedeva che le sue labbra ripetevano senza posa il nome del figlio. In quel momento ho pensato a Maria ai piedi della croce. Ma a lei fu chiesto qualcosa di più difficile: di perdonare. Quando sentì il Figlio che diceva: «Padre perdonali; perché non sanno quello che fanno» (Lc 23,34), ella ca­pì cosa il Padre celeste si aspettava da lei che dicesse con il cuore le stesse parole: «Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno». Ella perdonò.

        Di Maria sotto la croce non ci sono riferite grida, lamenti come per le donne che lo accompagnavano lungo la salita ai Calvario; non ci sono trasmesse parole, come nel ritrovamento al tempio; o come a Cana di Galilea. Ci è tra­smesso solo il suo silenzio. Maria tace, nel vangelo di Luca, al momento della nascita di Gesù, e tace, nel Vangelo di Giovanni, momento della morte di Gesù.

       La croce si esprime attraverso il silenzio. Il linguaggio della croce è il silenzio. Esso impedisce alla sofferenza di di­sperdersi, di ricercare e trovare, quaggiù la propria ricompensa.

       Se Maria poté essere tentata; come lo fu anche; Gesù nel de­serto, questo avvenne soprattutto sotto la croce. E fu una tentazione profondissima e dolorosissima, perché aveva per motivo proprio Gesù. Lei credeva alle promesse, credeva che Gesù era il Messia, il Figlio di Dio; sapeva che, se Gesù avesse pregato, il Padre gli avrebbe mandato «più di dodici legioni di angeli». Ma vede che Gesù non fa nulla; liberando se stes­so dalla croce, libererebbe anche lei dal suo profondo dolore, ma non lo fa.        

       Maria non grida: «Scendi dalla croce; salva te stesso e me!».

       Non chiede, nemmeno più a Gesù: «Fi­glio, perché ci hai fatto questo?», come disse quando, dopo averlo smarrito, lo ritrovò nel tempio (cf. Lc 2,48).

       Maria tace.

       Maria non stava dunque «presso la croce di Gesù», vicino a lui, solo in senso fisico e geografico, ma anche in senso spiritua­le. Era unita alla croce di Gesù; era dentro la stessa sofferenza. Ella fu la prima di coloro che «patiscono con Cristo».

       Soffriva nel suo cuore quello che il Figlio soffriva nella sua carne. E chi potrebbe solo pensare diversamente, se appena sa cosa vuol dire essere madre?

       La Ver­gine Maria dovette essere penetrata da una sofferenza che umanamente corrispondeva a quella del Figlio. “Una spada tra­passerà la tua anima e renderà manifesti i pensieri di molti cuo­ri” anche del tuo, se oserai credere ancora, se sarai ancora abbastanza umile da credere che tu in verità sei l’eletta fra le donne, colei che ha trovato grazia davanti a Dio!

       Stare presso la croce di Gesù. Queste parole ci dicono che la prima cosa da fare, la più importante, non è stare presso la croce in genere, ma stare presso la croce di Gesù. Ciò che conta, non è la, propria croce, ma quella di Cristo Non ­è il soffrire, ma, il credere e così appropriarsi della sofferenza di Cristo. La prima cosa è la fede. La cosa più grande di Maria sotto la croce fu la sua fede, più grande ancora che la sua sofferenza.

       È qui la fonte della forza e della fecondità della Chiesa, che viene dal predicare la Croce di Cristo, simbolo della stoltezza e della debolezza rinunciando a quella mondanità che è fatta di argomentazioni, di ironia, sarcasmo e banalità. Soffrire significa diventare aperti all’opera salvifica di Dio, offerta all’umanità in Cristo. Soffrire unisce alla Croce di Cristo non in modo intellettuale ma concreto. La Croce è soprattutto ciò che unisce. Ci unisce a Cristo e tra noi. Unisce l’uomo all’altro rendendo comprensivi e solidali. Perché nella prosperità l’uomo non comprende; nel dolore comincia a uscire dal suo egoismo e non è più impermeabile alla compassione.

      Il testamento di Gesù è universale: una madre è data a tutti i discepoli di tutti i tempi, dono fra i doni. Dalla croce Gesù dice ad ogni discepolo:

Guarda: è tua madre  non semplicemente: «Ecco tua madre».

Guarda tua madre: rivolgi gli occhi, tieni fisso lo sguardo contempla quella immagine per diven­tare come lei. Esempio non tanto da imitare, ma da rivivere in modo personale; non da ricopiare, ma da ridisegnare di nuovo. Infatti se la vocazione di Maria è unica, lo è anche la mia, con un compito unico e irripetibile. Da lei apprendo lo stile esatto il modo più umano che esista per stare davanti a Dio e ai suoi angeli, all’uomo e ai suoi sogni. Ecco tua madre, guarda tua madre. Se vuoi essere discepolo, guarda Maria, impara da lei, dai suoi gesti, dalle sue parole, dai suoi silenzi. E ripeti il suo ascolto e il suo conservare nel cuore, la sua lode, il suo prendersi cu­ra, la sua fortezza e il suo stupore, prolungando la sua presenza tenera e forte, imparando da lei come si servano Dio con serietà e i fratelli con tenerezza.

Tu che sei al di sopra di noi,

tu che sei anche in noi,

possano tutti vedere te anche in me,

possa io rendere grazie

per tutto ciò che mi accade.

Possa io non scordare in ciò i bisogni altrui.

Tienimi nel tuo amore

così come vuoi che tutti dimorino nel mio.

Io sono sotto la tua mano,

e in te è ogni forza e bontà.

Dammi puri sensi, per vederti...

Dammi umili sensi, per udirti...

Dammi sensi d’amore, per servirti...

Dammi sensi di fede, per dimorare in te...

(Dag Hammarskjòld)