OMELIE
DOMENICA DI PASQUA - RESURREZIONE DEL SIGNORE
Omelia di Mons. Ferretti del 31-03-2024
Il Vangelo della risurrezione ci parla di tre donne che si recano al sepolcro all’alba del primo giorno della settimana. Hanno seguito Gesù dalla Galilea e sono rimaste con lui nei tre anni della vita pubblica. Non l’hanno mai lasciato: sono salite con lui a Gerusalemme e sono giunte sin sotto la croce. Ora, dopo la sua morte, mentre tutto ormai sembra finito, vogliono fare ancora un ultimo atto di amore verso il corpo senza vita del loro maestro. Non hanno ceduto alla paura, come gli apostoli, e in quel sabato non sono tornate alla vita precedente come i due di Emmaus. Non si rassegnano a quella morte; non vogliono separarsi da Gesù. E si recano al sepolcro con gli olii aromatici per compiere un gesto di amore analogo a quello di cui ci parla il Vangelo di Giovanni, quell’unzione a Betania avvenuta sei giorni prima della Pasqua. Guidate da questo amore che le ha portate sin sotto la croce si recano al sepolcro. Tutti i Vangeli fanno iniziare la risurrezione davanti alla tomba di quel crocifisso.
Abbiamo anche noi, insieme, sorelle e fratelli, in questi giorni santi seguito Gesù fin sotto la croce. Lo abbiamo seguito nella preghiera, siamo stati suoi commensali nell’Ultima Cena, ci siamo lasciati lavare i piedi da Lui, abbiamo vegliato la notte del Giovedì e ci siamo inginocchiati il Venerdì sotto la sua croce.
Sì, insieme si comprende ancor più che la risurrezione parte dalla tomba di Gesù, dalle tante tombe degli uomini, dai tanti luoghi di dolore. La liturgia della notte di Pasqua per questo inizia attorno al cero spento, segno del corpo di Gesù senza vita. Il cero spento raccogliere anche le tante vite spente in questo mondo a motivo dell’odio, delle guerre, delle vendette, dei femminicidi, della indifferenza al male.
Certo, anche noi, come quelle tre donne, ci interroghiamo: “Chi ci farà rotolare via la pietra dall’ingresso del sepolcro?” Com’è possibile vincere il male e allontanare la violenza dal mondo? Ma quelle tre donne – come sa fare solo la donna, la madre - continuarono il loro cammino, senza cedere alla rassegnazione e, giunte alla tomba, nota l’evangelista: “Alzando lo sguardo verso l’alto”. Cercando aiuto dall’alto. Quella preoccupazione – chi rotolerà la pietra - era divenuta una preghiera.
Ma il Signore aveva già risposto alla loro preghiera, già aveva inviato l’angelo a rotolare la pietra pesante e ad annunciare loro che Cristo era risorto: “E’ risorto non è qui!”. Sono le parole del giovane vestito di bianco.
Anche per noi quel cero spento si è acceso e la sua luce si è comunicata a tutti. Il buio della notte è stato illuminato dall’amore del Signore che ha vinto la morte. E la luce più si comunicava più diffondeva chiarore; proprio come l’amore. Il Signore non solo non si è ritirato dalla storia, ma l’ha come percorsa fino in fondo, fin nel più basso. È il senso della Kenosi, abbassamento di Cristo fino alla morte, fino alla discesa agli inferi di Gesù che la Chiesa ci fa ricordare nel Sabato Santo. Gesù, amico degli uomini, di tutti gli uomini, ha iniziato dagli inferi a comunicare la sua luce a coloro che erano incarcerati nel buio della storia.
E a noi, discepoli dell’ultima ora, è stata consegnata quella stessa luce di risurrezione. E siamo stati chiamati questa notte a continuare a diffonderla oltre queste mura, oltre noi stessi.
Sì, assieme a Lui dobbiamo continuare a discendere negli inferi di questo mondo, nei luoghi dimenticati dagli uomini, là dove sono schiacciati dal male, dalla guerra, dalla violenza, dall’ingiustizia, dalla fame, dalla solitudine, dall’inaccoglienza, dall’attesa della condanna.
Il Vangelo, l’angelo bianco di questa notte, ha ripetuto anche a noi, come a quelle tre donne: “Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui… Ora andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro che egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto”.
Nelle donne al timore segue l'annuncio, il kerygma: Gesù Nazareno, il crocifisso, è risorto (sarebbe meglio tradurre "fu risuscitato"). Il verbo usato è un passivo, e ciò è risolutivo perché quando il verbo è passivo il soggetto è sempre Dio.
Il kerygma è il contenuto essenziale dell'annuncio, ed è diviso in tre elementi, tre momenti. Il primo qui presente (come in 1Cor 15,4 laddove si usa la stessa espressione) è "Gesù Nazareno", proprio quel Gesù che conoscete, buono, che avete visto, con cui avete vissuto, con cui siete stati. Il secondo elemento dell'annuncio è il "crocifisso": la morte. E infine il risorto: "fu risuscitato", Dio l'ha fatto risorgere.
E le donne sono inviate ad annunciare il kerygma agli apostoli. A coloro che avevano dimenticato le parole di Gesù, come tante volte anche noi dimentichiamo la Parola di Dio. Erano fuggiti, tutti. Ma Gesù non li abbandona. Continua a chiamarli. Alle donne chiede di dire agli apostoli di andare in Galilea. Li incontrerà lì, come la prima volta.
Sì, Gesù torna in Galilea, come per un nuovo inizio. E la nostra Galilea è qui, è Foggia.
È la nostra Galilea da cui ripartire con il Signore risorto. Quelle tre donne lo comprendono. E la Chiesa ci esorta a comunicare alla città e al mondo la forza della risurrezione.
E questo è il messaggio: la famiglia dei popoli abbandoni la guerra, cancelli gli odi, bandisca la violenza, e ci sia un mondo ove i poveri sono amati e non più umiliati, gli stranieri accolti, i bambini possono crescere nella pace e gli anziani vivere in serenità gli ultimi anni della loro vita! È il grande sogno che della risurrezione ci viene consegnato. Per questo sogno vogliamo pregare e lavorare.
Non possiamo indugiare. “Ora andate!”, dice l’angelo alle donne. Sì, c’è fretta. C’è come una corsa da vincere. Da una parte c’è infatti l’affermarsi della violenza e del dolore e dall’altra la forza debole dell’amore e della preghiera. Il Vangelo di Pasqua ci indica la via dell’amore come l’unica che vince il male.
Care sorelle e cari fratelli, non dubitiamo, non restiamo diffidenti. Impariamo dalle donne a correre, a non restare fermi nelle nostre abitudini e bloccati nelle nostre durezze.
In questi giorni la Parola di Dio ci è stata comunicata con ricchezza ed abbondanza. È stato riversato nei nostri cuori un patrimonio grande, un tesoro prezioso di sapienza spirituale ed umana che ci permette di essere nel mondo testimoni efficaci dell’amore gratuito che ci rende operatori di misericordia e di pace, e fa di noi, nonostante la nostra pochezza, dei discepoli che non temono di vivere i grandi orizzonti dell’amore di Gesù.
Custodiamo il grande dono di questa Pasqua. Accogliamola come un grande dono da portare ovunque il Signore ci invia. E la luce di Cristo risorto, il suo amore e la sua compassione siano con tutti noi, ora e sempre. Amen.