INTERVENTI

Lc 16, 19-31, Epulone e Lazzaro

INCONTRO REGIONALE CARITAS DI PUGLIA - TRANI - 11 SETTEMBRE

(pubblicato il 11-09-2024)

MEDITAZIONE DI S.E. REV.MA MONS. GIORGIO FERRETTI,

ARCIVESCOVO METROPOLITA DI FOGGIA-BOVINO, VESCOVO DELEGATO PER LA CARITAS DI PUGLIA



«C’era un uomo ricco, che vestiva di porpora e di bisso e tutti i giorni banchettava lautamente». Quest’uomo, senza nome, non è descritto come uno sprecone, e neppure come uno sfruttatore dei suoi servi. È uno come tanti e si comporta nello stesso modo di quelli della sua condizione.

Sì, uno come tutti quelli che vivono nel nostro mondo agiato. Vesti comode, cibo buono, una casa dove vivere una vita equilibrata; fatta di affetti, di serenità.

Non vi è giudizio negativo nell’avere una casa, nel possedere cose. Non vi è moralismo nel parlare di Gesù, che entra nelle case di persone agiate, ne accetta l’ospitalità, ne condivide la mensa.

Il problema è posto da Gesù nel proseguo della narrazione: «Un mendicante di nome Lazzaro, giaceva alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi di quello che cadeva dalla mensa del ricco».

E qui Gesù sente il problema e lo espone ai suoi ascoltatori. C’è una lontananza tra ricco e il povero. Il ricco vive in casa, il povero in strada. Non si incontrano perché il ricco non vede il povero, non ha occhi per vederlo, anche se il povero sta alla sua porta e lui deve passargli davanti per entrare.

Dice con saggezza il Salmo: «L’uomo nella prosperità non capisce, è come gli animali che periscono» (Sal 48).

Si crea allora un abisso tra il ricco e Lazzaro, un abisso che è creato dalla sordità del ricco, che non si ferma, che non rivolge il suo sguardo sul povero, che si rifiuta di provare a capire i problemi di quell’uomo per strada. È questo, sorelle e fratelli, un abisso quotidiano. Un abisso anche fisico, fatto indifferenza, di leggi cattive, di inaccoglienza. Davvero ha ragione il padre Abramo: «Tra noi e voi è stabilito un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi non possono…».

Il problema del ricco non è la ricchezza in sé ma la sordità, l’insensibilità verso chi soffre nei mondi vicini e lontani. Una sordità del cuore che genera abissi davanti alla porta di casa, abissi in cui i poveri fanno naufragio.

Sì, la sordità del cuore del ricco, la nostra sordità, è direttamente e indirettamente responsabile dei tanti naufragi di questo mondo.

Ma dopo la morte dei due protagonisti di questa parabola, Gesù racconta come si apre una scena completamente diversa. Lazzaro siede lui alla mensa celeste, mentre il ricco scende negli inferi. E questo è motivo di tristezza anche per Dio. Epulone chiama Abramo padre e Abramo si rivolge a lui chiamandolo figlio. C’è una compassione per tutti i figli in cielo, ma le sponde dell’abisso sono invertite. Lo stesso abisso che il ricco ha creato ora lo inghiotte e nessuno, neppure Dio può cambiare il cuore di un uomo che non ha voluto provare compassione. Sì, l’inferno ce lo creiamo e costruiamo noi, ogni giorno, noi chiudiamo il nostro cuore e nessuno, nemmeno la misericordia di Dio può entrare.

Infatti anche lì, nell’abisso il ricco non capisce e la prova è che chiede ad Abramo di mandare Lazzaro a servirlo: «Padre Abramo, abbi pietà di me, manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e di bagnarmi la lingua perché questa fiamma mi tortura».

Come è triste la vita di quest’uomo che ha vissuto solo per sé, che ha pensato solo a sé, ai suoi bisogni da soddisfare, al suo futuro, alla sua tranquillità e oggi ancora non capisce. Anche davanti a Dio non prova vergogna per il suo peccato e continua a pensare a se stesso e a ciò di cui ha bisogno lui.

Ma, sorelle e fratelli, se la nostra vita e la vita di molti è molto simile a quella del ricco epulone, il Signore non ci condanna ma ci pone davanti un grande tesoro. Un ponte per superare l’abisso. A noi che ricchi e sazi di questo mondo, a noi che siamo i fratelli di quel ricco il Signore dona il tesoro del Vangelo, che ci ammonisce e ci guida oltre l’abisso.

Infatti alla richiesta del ricco perso negli inferi di avvisare i suoi fratelli, Abramo risponde: «Hanno Mosè e i profeti, ascoltino loro!». A noi è data questa possibilità di salvezza che è ascoltare la Scrittura. Ascoltare e vivere il Vangelo. Seguire le orme di Gesù che cammina per le strade delle città e si ferma parlare e a curare i tanti Lazzaro di questo mondo. Il Signore ha iniziato una strada da seguire per i ricchi, una strada che porta su un ponte. Un ponte sull’abisso che i poveri e ricchi possono attraversare solo insieme, solo insieme!

Ma vorrei dire di più: le nostre Caritas sono, devono essere il ponte sull’abisso per molti. Noi non siamo una élite chiusa che porta avanti progetti, ma l’anima di Carità nella Chiesa, nella città, nella nostra Puglia. Per questo dobbiamo di più spenderci per comunicare il Vangelo della carità, per coinvolgere tanti nella compassione. Perché è nell’incontro con chi è più povero, nell’incontro con chi vive per strada, con chi è straniero, chi è anziano, che si stipula come un patto sacro. Il patto tra il povero sfamato, vestito, consolato, e il ricco umanizzato.

È questo patto che consente a tutta l’umanità, a tutti i figli di Abramo di salvarsi. Beati, sorelle e fratelli coloro che faranno parte di quel patto di salvezza. Questa è la strada che ci viene indicata dal Vangelo. Una strada per tutti. Ciascuno di noi è chiamato a riflettere su questo brano del Vangelo.

E l’ultimo insegnamento di questa parabola: è che non abbiamo bisogno di fatti miracolosi per convertire il cuore e colmare gli abissi. È sufficiente vivere il Vangelo. Viverlo in amicizia. Lasciarsi toccare il cuore dalla predicazione del Vangelo, andare incontro ai più poveri, ascoltarli, aiutarli, divenire come loro amici. L’amicizia con un povero nasce da questo: dall’ascolto del Vangelo e dall’incontro con chi, abbandonato, ci tocca il cuore e ci rende così più umili.

E in ultimo vorrei dire col cuore che l’insegnamento del Vangelo non è un insegnamento datoci per spaventarci, ma per la nostra felicità e la felicità di tutti.

Sì, cari sorelle e fratelli, se non si può essere felici senza la felicità degli altri, noi con la Caritas sperimentiamo come si può essere felici con gli altri, servendo altri, i più poveri, divenendo loro amici. Questa è la felicità vera che troviamo solo ascoltando e mettendo in pratica le parole di Gesù.