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23 Ottobre, Celebrazione Eucaristica nella Dedicazione della Basilica Cattedrale

Stralci dell'indirizzo generale del Vicario diocesano, mons. Filippo Tardio, e dell'omelia dell'Arcivescovo mons. Francesco Pio Tamburrino

(pubblicato il 26-10-2009)

Tanti i
presbiteri che hanno affollato in ogni ordine e grado i banchi della chiesa
parrocchiale dedicata ai santi compatroni Guglielmo e Pellegrino per la Solenne
concelebrazione che ogni anno ricorda l’anniversario della Dedicazione della
Basilica Cattedrale. Dalla chiusura del nostro amato Tempio che custodisce la
Cappella della Icona Vetere, Patrona della città di Foggia, è la chiesa di
piazza Aldo Moro, a fare da cornice alle celebrazioni diocesane e ad accogliere
il Popolo di Dio della diocesi di Foggia-Bovino.



Ogni anno a
portare i saluti d’indirizzo è il Vicario generale mons. Filippo Tardio che ha
rivolto all’Arcivescovo parole accorate di augurio per il suo Ministero
Episcopale e di incoraggiamento ad iniziare con rinnovato entusiasmo il cammino
in comunione per il nuovo anno pastorale.



 “Una celebrazione che attesta la fedeltà di Dio
che, con la sua presenza, ci concede di partecipare all’”oggi” della salvezza e
ci manifesta il suo desiderio di impiegarci “come pietre vive per la
costruzione di un edificio spirituale” (1 Pt. 2, 5) – ha aggiunto mons. Tardio
- . Il momento che viviamo ci ricorda, anche, il legame di appartenenza alla
Chiesa, esprime la nostra volontà di lasciarci cementare attorno alla ‘Pietra
angolare’ (1 Pt. 2, 7) che è Cristo e ci conferma nella nostra identità di
figli di questa Madre che ci nutre e ci conduce nel cammino di fede”.



 Poi il Vicario ha ricordato i passaggi
importanti dell’anno appena trascorso ed ha sottolineato i nuovi importanti
impegni che attendono il presbiterio: “Vogliamo celebrare ciò che abbiamo
vissuto nell’Anno Pastorale trascorso, pronti ad esprimere la nostra
gratitudine a Dio per il cammino percorso. Siamo qui ad ammettere i nostri
errori, a chiedere perdono per i peccati di omissione e per tutto ciò che ha
impedito alla nostra Chiesa locale di essere ‘sale della terra’ e di
risplendere come ‘Luce delle Genti’. Nello stesso tempo veniamo per implorare
la forza da Dio per non arrenderci di fronte alle difficoltà ed agli ostacoli e
per chiedere il dono del discernimento da operare continuamente al fine di evitare
il pericolo di correre invano”.



 Inoltre il Vicario Generale ha ribadito ai
fedeli presenti nell’aula liturgica della chiesa dei Santi Guglielmo e
Pellegrino i compiti e i sentimenti che legano l’operare nella Chiesa al popolo
diocesano e le importanti responsabilità che la comunità diocesana assume
all’inizio di ogni nuovo percorso da compiere nel segno della fede zelante e
della reciproca comprensione: “Siamo qui perché vogliamo vivere ciò che
celebriamo, desiderosi di rivitalizzare la nostra dimensione missionaria e di
sentirci inviati da Cristo per parlare all’uomo di oggi, all’uomo che
incontriamo ed incrociamo sulla nostra strada. Per dichiarare la nostra
disponibilità ad operare nella vigna del Signore. Non possiamo e non vogliamo
essere una Chiesa inoperosa che se ne sta con le mani in mano”.



Infine i passaggi ultimi dell’indirizzo di saluto hanno riguardato gli
appuntamenti che, attendono noi tutti per questo nuovo anno pastorale, il
secondo ed ultimo legato alla Liturgia e che già anticiperà il tema della
riflessione degli anni prossimi con le meditazioni sulla Carità, la terza gamba
della Chiesa, in attesa della fondamentale guida affidata alla Lettera
pastorale che l’Arcivescovo sta per affidare alla comunità diocesana di
Foggia-Bovino: “Eccellenza, molti conoscono già il cammino che siamo chiamati a
percorrere come Chiesa diocesana per l’Anno Pastorale 2009/10. A tutti è stato
inviato il Calendario diocesano con gli appuntamenti più importanti previsti.
La comunità diocesana è in attesa della Sua Lettera Pastorale che ci presenterà
i ‘Sacramenti’ ed accompagnerà il cammino delle parrocchie, dei Gruppi,
Associazioni e Movimenti e di tutte le realtà ecclesiali per questo secondo
anno dedicato alla Liturgia. Un momento significativo dovrà risultare il
Convegno Diocesano su Testimonianza e Carità del 16 e 17 aprile 2010. Un
appuntamento che ci inviterà a prestare attenzione al territorio, ci aiuterà a
prendere maggiore coscienza degli ambienti frequentati da tanti fratelli e ci
interrogherà sulle risposte che, come Chiesa, siamo tenuti a dare. Il lavoro
degli ultimi quattro anni non può rimanere pura astrazione, ma deve
necessariamente concretizzarsi ed entrare nel tessuto delle comunità
parrocchiali. La promulgazione di un Direttorio sia per la Catechesi che per la
Liturgia potrà essere un valido strumento per raggiungere questo obiettivo. Ma
insostituibili ed indispensabili dovranno essere la collaborazione e l’impegno
di tutti. Ognuno è chiamato ed è invitato a mettere la propria parte per ottenere
un risultato soddisfacente per il bene del popolo di Dio. Nessuno può
disinteressarsi come se la cosa non lo riguardasse”.



 “Con questi sentimenti ed intenti, a Lei
Eccellenza – ha detto concludendo mons. Tardio -, ai confratelli presbiteri, ai
Diaconi, ai Religiosi e alle Religiose, ai laici presenti e a quanti avvertono
il senso profondo di appartenenza alla nostra Chiesa locale rivolgo l’augurio
per  una Chiesa più unita, in
comunione e desiderosa di portare con la testimonianza di vita la Buona Notizia
del Vangelo varcando ogni confine”. Per poi stringersi in un lungo abbraccio
con l’Arcivescovo, nostro Padre e Pastore.



Dopo le parole del Vicario Generale è stato
l’Arcivescovo di Foggia-Bovino, mons. Francesco Pio Tamburrino a portare alla
comunità diocesana la sua illuminante parola nell’omelia: “Oggi celebriamo
la festa della Dedicazione della chiesa-madre di Foggia, la cattedrale,
dedicata alla Madre di Dio assunta in cielo, impreziosita dalla cappella che
custodisce l’Icona Vetere, punto di convergenza della pietà e della storia di
questa nostra città
”.



Poi le riflessioni del nostro Pastore hanno
riguardato l’annoso caso dei restauri del Sacro tempio e della sua chiusura
dall’ottobre 2005: “Le vicende degli auspicati restauri radicali di questo
luogo simbolo della nostra Chiesa diocesana, fanno pensare ai tempi tristi
dell’esilio babilonese, quando il tempio di Dio in Sion era abbandonato, devastato
dalle intemperie, profanata e demolita la dimora del Nome del Signore (Sal
74[73], 3-8). […] Il ricordo annuale della dedicazione della chiesa cattedrale
è stabilito dalle norme liturgiche per rafforzare ed esprimere sempre più
intensamente la comunione di tutte le comunità parrocchiali e di tutti i fedeli
con il Vescovo diocesano e ravvivare il senso di appartenenza alla Chiesa
locale. Inoltre, ci viene offerta l’occasione per interrogarci sul significato
stesso della chiesa, intesa come edificio sacro
”.



A proposito di quest’ultimo passaggio il presule ha
sottolineato che cosa rappresenta per la liturgia e per la spiritualità
cristiana la dedicazione di una chiesa e l’esistenza stessa delle tante chiese,
intese come luoghi di culto, sparsi sul nostro territorio a partire dalle
parole del Vangelo del giorno: “È venuto il momento, in cui i veri adoratori
adoreranno il Padre in spirito e verità, perché il Padre cerca tali adoratori”.
Al tempo di Gesù era convinzione comune che Dio avesse posto la sua dimora nel
tempio di Gerusalemme (“la dimora della sua gloria”) in modo così esclusivo che
non si potevano offrire sacrifici e celebrare feste fuori di esso. Di qui i
pellegrinaggi obbligatori per la Pasqua e altre feste e le periodiche “salite
al tempio” per pregare. Gesù, con quelle parole, volle rompere questa specie di
cerchio stretto intorno a Dio che finiva per sequestrarlo dal resto del mondo.
Salomone stesso, all’atto di dedicare il primo tempio, aveva dichiarato: ‘Ma è
proprio vero che Dio abita sulla terra? Ecco, i cieli e i cieli dei cieli non
possono contenerti, tanto meno questa casa che io ho costruito’
”.



Negli
insegnamenti di Gesù ci sono già le risposte alle nostre domande è Gesù che ci
insegna: “che il tempio di Dio è, primariamente, il cuore dell’uomo che ha
accolto la sua parola […]. Il concilio Vaticano II ar­riva a chiamare la
famiglia cristiana una ‘chiesa domestica” (Lumen Gentium, 11). A che titolo,
allora, noi cristiani diamo tanta importanza alla chiesa, se ognuno di noi può
adorare il Padre in spirito e verità nel proprio cuore, o nella sua casa?
Perché questo obbligo di recarci in chiesa ogni domenica? La risposta è che
Gesù Cristo non ci salva separatamente gli uni dagli altri; egli è venuto a
formarsi un popolo, una comunità di per­sone, in comunione con lui e tra di
loro. Vale anche per la pre­senza di Dio sulla terra quello che Giovanni dice
della Ge­rusalemme celeste: “Ecco la dimora di Dio con gli uomini! Egli
dimorerà tra di loro ed essi saranno suo popolo ed egli sarà il Dio-con-loro’
(Ap 21, 3)
”.



“Questa
dimora di Dio in mezzo al suo popolo ha un nome preciso: si chiama ‘Chiesa’
– ha aggiunto mons. Tamburrino –. È essa
il luogo della sua presen­za sulla terra. Certo, la Chiesa, così intesa, non si
identifica con il luogo o l’edificio. Essa è, anzitutto, il popolo dei redenti
[…] l’edificio sacro è il segno visibile. Esso è il luogo privile­giato del
nostro incontro con Dio perché è il luogo dove si realizza e si rende visibile
la comunità cristiana. Il nome ecclesia (da ek-kaleo che in greco significa
convoco) gli viene proprio da questo fatto: dall’essere il luogo dove si
riunisco­no “i chiamati” da Dio in Gesù Cristo, il luogo della convo­cazione e
dell’assemblea. Ma è il luogo privilegiato dell’in­contro con Dio anche e
soprattutto perché è il luogo dove risuona la parola di Cristo e dove si
celebra il suo memoriale che è l’Eucaristia
”.



Anche le
Letture segnano il passo dell’intensa omelia del nostro Pastore e il
riferimento a San Pietro, nella seconda lettura, ha svelato anche un profondo
significato simbolico della chiesa intesa come edifi­cio: “Essa, con le sue
pietre poste una sull’altra e distribuite in pareti intorno all’altare, è
l’immagine efficace del tempio in­visibile formato dalle pietre vive che sono i
battezzati, edifi­cati sulla pietra angolare, scelta, preziosa, che è Gesù
Cristo: ‘Carissimi, stringendovi al Signore, pietra viva, rigettata dagli
uomini, ma scelta e preziosa davanti a Dio, anche voi venite im­piegati come
pietre vive per la costruzione di un edificio spiri­tuale, per un sacerdozio
santo’
”.



Ed anche il
santo vescovo di Ippona, ha sviluppato questa metafora sulla Chiesa fatta di
uomini riportata da Mons. Tamburrino: “Mediante la fede gli uomini divengono
materiale disponibile per la costru­zione; mediante il battesimo e la
predicazione sono come sgrossati e levigati; ma solo quando sono uniti insieme
dalla ca­rità divengono davvero casa di Dio. Se le pietre non aderisse­ro tra
loro, se non si amassero, nessuno entrerebbe in questa casa (Sermone 336). La Chiesa
deve essere, dunque, il segno dell’amore vicendevole tra coloro che spezzano un
unico pane”
.



Anche le
considerazioni sulla qualità della nostra vita ecclesiale intesa come
espressione della nostra comunione di fede, comunione di amore, comunione di servizio
e luogo di fraternità. hanno interessato le meditazioni del vescovo che ha
ripreso due significative citazioni una riferibile agli inizi degli anni ’60 di
J. Hamer che ha scritto un volume di ecclesiologia intitolato: “La Chiesa è
comunione”. E l’altra dello studioso C. Spicq, in quello stesso periodo ha definito
la Chiesa come “lo spazio vitale dell’amore”. “Possiamo chiederci, onestamente,
fino a che punto queste belle formule corrispondano alla nostra realtà
diocesana e alle esperienze delle nostre comunità parrocchiali -ha aggiunto con
forza il presule -. Ma non dobbiamo neppure rassegnarci a vivere nella miseria
delle divisioni e dei protagonismi che distruggono alla base la comunione
Abbiamo bisogno di far crescere l’amicizia tra di noi”. Per poi concludere
questo breve spunto sulla comunione all’interno della fraternità con le parole
tratte dall’opera Rabbi Hillel che affermava: “Non ti separare dalla
comunità; non avere fiducia in te stesso fino al giorno della tua morte; non
giudicare il tuo compagno fino a che pure tu non ti troverai nelle sue
condizioni (Pirqé Avot Detti dei Padri, 5)
”.



Infine
l’Arcivescovo ha tracciato il percorso che compirà la comunità diocesana ed in
primis il presbiterio che, sotto la guida di don Manlio Sodi, ha cominciato le
riflessioni per quest’anno pastorale, approfondendo la vita sacramentale delle
comunità nei suoi aspetti costitutivi.



A fare da
guida quest’anno anche la figura del santo curato d’Ars, San Giovanni Maria
Vianney che è stato citato dall’Arcivescovo affidando a lui le ultime piene di
saggezza spirituale: “Se comprendessimo bene che cos’è un prete sulla terra,
moriremmo: non di spavento, ma di amore... Senza il prete, la morte e la
passione di Nostro Signore non servirebbero a niente. È il prete che continua
l’opera della redenzione sulla terra... Che gioverebbe una casa piena di oro,
se non ci fosse nessuno che ce ne apre la porta? Il prete possiede la chiave
dei tesori celesti, è lui che apre la porta; egli è l’economo del buon Dio,
l’amministratore dei suoi beni. Lasciate una parrocchia per venti anni senza un
prete: vi si adoreranno le bestie... Il prete, non è prete per sé; lo è per voi
”.